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'Cat Person', il racconto su una notte di brutto sesso di cui tutti parlano

È partito tutto da un racconto sul New Yorker, ma è diventato un dibattito sui ruoli di genere, le relazioni e le donne.
Foto via Unsplash.

C’è un'espressione che da qualche giorno domina il dibattito culturale americano, si fa largo nella mia bolla di Facebook e si insinua con sempre maggiore insistenza nelle conversazioni con amici e colleghi: è quella di cat person—due parole che fino a ieri non dicevano nulla, e che oggi sottintendono una miriade di temi e interpretazioni.

Ma andiamo con ordine. Cat Person è il titolo di una racconto pubblicato sul New Yorker e firmato dalla scrittrice statunitense Kristen Roupenian—che ha una fellowship alla University of Michigan ed è prossima alla pubblicazione del suo primo libro, quindi di fatto fino all'altro giorno sconosciuta ai più.

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La storia, narrata in terza persona e dalla prospettiva della protagonista, racconta la breve e banale frequentazione tra Robert (un 34enne di cui praticamente sappiamo solo che ha dei gatti che non si vedranno mai, un po' di pancia e un senso dell'umorismo non troppo pronunciato) e Margot (una studentessa di 20 anni). I due si conoscono nel cinema in cui Margot lavora, e cominciano uno scambio di messaggi che si fa sempre più frequente e intimo: dalle battute e i link a caso agli scenari immaginati per scherzare, Margot si costruisce nella sua testa un’idea di Robert di cui pian piano finisce per invaghirsi.

Quando finalmente si ritrovano a uscire le cose vanno molto diversamente da come Margot si era immaginata. Inizialmente la studentessa ha l’impressione di non piacere a Robert—che sembra disinteressato a qualsiasi contatto fisico con lei e desideroso di concludere l’appuntamento il prima possibile. Margot comincia a farsi paranoie e si interroga su cosa ha sbagliato, finché la situazione non si ribalta.

In seguito a un’incomprensione infatti Margot riprende fiducia e, dopo qualche birra, vari cambiamenti di idea sul filo del gli piaccio-non gli piaccio/mi piace-non mi piace e un bacio molto brutto, Margot si ritrova a chiedere a Robert di spostarsi dal locale in cui si trovano a casa di lui.

È allora che la storia entra nel fulcro e che per Margot subentra il “fattore scesa”: tutti i dubbi che ha avuto fino a quel momento sul conto di Robert si fanno certezze. Non le piace, punto. Quando si trovano a letto non vorrebbe fare sesso, ma continua perché crede che farlo sia meno complicato del trovare un modo educato di fermare ciò che lei stessa pensa di aver avviato. Non le piace il modo in cui lui le parla a letto, il modo in cui la tocca, e se non fosse in quella situazione le verrebbe da sorridere nel pensare a lui che, mentre ha perso l'erezione, continua a dirle "quanto me lo fai venire duro." Eppure, Margot non asseconda questo disagio e rimane con Robert fino a notte fonda.

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Nei giorni successivi, ignora suoi i messaggi e non trova le parole per dirgli che non ha alcuna intenzione di rivederlo. Lo fa una sua amica prendendole di mano il cellulare, e tutto si ferma per un po', fino a quando lo rivede in un locale, lo evita, e lui le manda una serie di messaggi (probabilmente da ubriaco) che partono con un “aiutami a capire cosa ho fatto di male”, passano per un "hai riso quando ti ho chiesto se eri vergine perché ti sei scopata un sacco di ragazzi?" e finiscono con un “troia”.

La trama è questa e non c’è da stupirsi che il racconto abbia parlato direttamente a molte delle persone che l'hanno letto. Traccia—in modo chiaro, realistico e delicato—una situazione in cui tante penso si siano trovate almeno una volta nella vita. Quella in cui capisci che il sesso che stai per fare non ti piacerà ma che farlo è meno complicato che interromperlo. O, più in generale, quella costellazione di indecisioni, incomprensioni, segnali male interpretati, scoperte e dubbi che forma l’universo dei primi appuntamenti.

Ma il racconto non è andato solo bene. È andato bene come a un racconto del New Yorker non succedeva dal 1997, quando era stato pubblicato Brokeback Mountain. A cinque giorni dalla sua uscita, è il racconto del New Yorker più letto del 2017, e uno dei 100 pezzi più letti in assoluto sul sito. L’autrice, da persona che su Twitter non raggiungeva i 200 follower, è finita al centro dell’attenzione mediatica, protagonista di numerose interviste sui giornali più prestigiosi. La storia ha dato vita a decine e decine di articoli.

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Migliaia di donne lo hanno commentato: ne sono rimaste infastidite, lo hanno apprezzato, si sono interrogate su chi fosse la vittima nella storia. Molti uomini si sono sentiti chiamati in causa, ribellandosi su Twitter per come è ritratto il protagonista maschile.

Di conseguenza, l’espressione cat person ha finito per rappresentare non solo il titolo di una storia ma la suddetta situazione di quel sesso brutto che si fa malvolentieri perché è sempre meno imbarazzante che fermare la giostra, e ne è nato un dibattito sui ruoli, le conseguenze e il significato di questo tipo di sesso, oltre che sui ruoli di genere.

Ma da cosa deriva tutto questo successo e cosa ci dice del momento in cui viviamo?

Credo che questa storia non possa essere separata dal contesto e dal tempo nella quale è uscita: ovvero da quella che ormai viene definita l’era post-Weinstein, in cui situazioni che per decenni sono state taciute vengono ora dibattute e viste sotto una luce e una consapevolezza nuove.

Migliaia di persone, infatti, hanno letto la storia—sarà perché aprendola con il cellulare sembra non comparisse la parola “fiction” della categoria, sarà perché potrebbe essere benissimo una testimonianza—pensando che fosse autobiografica. E hanno attribuito ad essa un valore più ampio, inserendola nel contesto del movimento #metoo—quello con cui le donne denunciavano le molestie in seguito alle prime rivelazioni del caso Weinstein. In altre parole, Margot è stata interpretata non come la protagonista una situazione di sesso di cui si farebbe volentieri a meno, ma di una situazione in cui, in quanto donna, si trova è trovata dover far cose che non avrebbe voluto fare.

Mentre sull’Atlantic è stato evidenziato come il fatto che la storia sia stata presa per vera sottolinei l’incapacità di considerare le donne capaci di usare l’immaginazione per scrivere racconti, sul Guardian si è parlato dell’esagerata reazione—o anche esagerato odio— che si scatena quando è una donna a scrivere di temi come relazioni e sesso. Ma questa storia sembra rientrare nel contesto del movimento #metoo in un senso più lato, quasi come una sua evoluzione, della possibilità delle donne di essere viste come soggetti a 360 gradi. Come soggetti attivi nelle interazioni uomo-donna, che prendono le loro decisioni anche riguardo al sesso e a come rapportarsi con esso. Decisioni di cui spesso ci si pente, anche.

Per molti, è tutto parte di un cambiamento in atto, e di un nuovo modo di vedere e parlare della donna e delle questioni di genere—con tutti i problemi di assestamento che i grandi cambiamenti comportano. Compreso il fatto che migliaia di persone in tutto il mondo (come dimostrato dall'account Twitter Men react to cat person) si trovino a stupirsi leggendo il racconto di una situazione che per molte è normale amministrazione.

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