A gennaio, sulla home page del sito del comune ligure di Torriglia, campeggiò per ventiquattr’ore l’immagine di un guerrigliero arabo in sella a un destriero mentre innalzava una bandiera nera recante la Shahada, la testimonianza fondante della fede musulmana—”Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo messaggero”.
Le indagini della polizia postale ligure, coordinate dal Pm genovese Federico Manotti, hanno ricondotto al Fallaga Team, noto gruppo internazionale di hacker tunisini poi sgominato dalle forze dell’ordine francesi.
Videos by VICE
Le ricerche della Postale si sono focalizzate sull’analisi dei “like” e delle interazioni degli utenti all’interno di una delle Facebook del Fallaga, ponendo un’attenzione particolare sugli utenti residenti in Italia: i loro commenti, i “mi piace”, le condivisioni effettuate.
È così che tre uomini, due italiani e un tunisino residenti al centro-nord, sono finiti sotto indagine per la loro “affiliazione” alla pagina del gruppo hacker algerino. L’apprezzamento alla pagina e ad alcuni dei contenuti pubblicati – tra cui un video dove Saddam Hussein inneggia allo “sterminio di tutti gli ebrei” – hanno costituito, per gli inquirenti, un motivo sufficiente per l’avvio di un’indagine più approfondita sui profili dei tre e le loro possibili affiliazioni al terrorismo locale o internazionale.
Ma si può essere indagati per apologia di terrorismo a causa di un “mi piace” su Facebook?
Nei giorni scorsi la Procura della Repubblica di Genova ha diramato un “decalogo” – ad uso interno e di indirizzo, quindi non vincolante – per chiarire meglio i comportamenti da adottare in casi simili, regolati dal nuovo decreto anti-terrorismo ma ancora scarsamente “testati” all’interno sistema giudiziario nazionale.
Chiarendo prima di tutto un punto: seguire pagine o postare contenuti di matrice terroristica non costituisce, di per sé, un reato.
Leggi anche: Nel Regno Unito, Facebook ha pagato meno tasse del lavoratore medio
Se un like o un retweet non costituiscono ancora un crimine, tuttavia il “supporto telematico” attraverso i social network può portare all’apertura di un’indagine: secondo quanto riportato da Giuseppe Filetto su La Repubblica Genova, il documento spiega che “Le manifestazioni di apprezzamento, o di adesione, attraverso l’apposizione del mi piace o del condividi (laddove si tratti di Facebook) ovvero della stellina o del retweet (laddove si tratti di Twitter) possono costituire uno spunto investigativo suscettibile di approfondimento (attraverso accertamenti preliminari da adottare di iniziativa) sulla base di intese precostituite tra Polizia Postale e Digos.”
Il decalogo è stato inviato dalla Procura, oltre che alla Polizia Postale della Liguria, anche agli uffici della Digos di Genova, Savona, La Spezia e Massa Carrara.
“La manifestazione di apprezzamento o di adesione può costituire uno spunto investigativo,” si legge ancora nel documento, secondo quanto riportato da Filetto. L’indagine verrebbe avviata “al fine di consentire l’acquisizione di ulteriori informazioni, riguardanti in particolare la sussistenza di pregressi (e recenti) comportamenti sintomatici di adesione o vicinanza ad ambienti eversivi.”
Solo nel caso di “indizi di frequente e sistematica adesione ad atti di terrorismo da parte del sospettato, si procederà alla notizia di reato.” In pratica: se i “mi piace” e le successive ricerche portassero alla scoperta di prove relative all’affiliazione del soggetto con cellule islamiste, o a una comprovata attività di propaganda, reclutamento o addestramento, allora si entrerebbe nel penale.
“Dopo Charlie Hebdo, le normative in materia di attività di proselitismo, istigazione e apologia del terrorismo attraverso il web hanno subìto una stretta,” ha spiegato a VICE News l’avvocato cassazionista Fulvio Sarzana, esperto di tematiche giuridiche relative al web e alla comunicazione. “Stando alle nuove disposizioni, chi mantiene una condotta apologetica potrebbe dover rispondere di un reato,” con pene aumentate fino a due terzi nel caso in cui i reati di terrorismo siano compiuti “attraverso strumenti informatici o telematici.”
Il monitoraggio dei social network per attività di anti-terrorismo non è un’esclusiva italiana. Già nel 2012, infatti, l’FBI aveva arrestato quattro uomini dopo aver tracciato la loro attività su Facebook, dove reclutavano attentatori e combattenti per al Qaeda e pianificavano atti terroristici contro obiettivi americani.
Leggi anche: Questo allegato e-mail prosciuga il tuo conto bancario prima che tu te ne accorga
In Italia, a proposito del rischio connesso all’utilizzo dei “mi piace” su Facebook, l’avvocato Sarzana ha citato un caso avvenuto a Parma qualche mese fa. Un utente, dopo un’accesa discussione con un altro utente sul social network, ha denunciato quest’ultimo per diffamazione, citando allo stesso tempo in giudizio anche tutti gli utenti che avevano messo “mi piace” al commento incriminato.
Nell’attesa di capire come la cassazione si esprimerà su questo caso particolare, e quali conseguenze possa avere questo caso-studio sulle modalità operative della Digos, l’applicazione delle normative vigenti in tema di anti-terrorismo telematico resta da approfondire.
“Allo stato attuale non è chiarito se il coinvolgimento a pagine Facebook di gruppi terroristici sia effettivamente apologia o istigazione alla criminalità,” ha spiegato Sarzana. “Il ‘mi piace’ può sicuramente essere, però, il viatico che conduce a step successivi di indagine: intercettazioni, perquisizioni, interrogatori.”
Segui VICE News Italia su su Twitter e su Facebook
Segui Valerio su Twitter: @valeriobassan