Música

Perché ascolto solo musica orribile


Confessioni è la rubrica di Noisey in cui scriviamo perché ad alcuni di noi piacciono le cose che non vi piacciono.

Qualche giorno fa mi è capitato di scrivere su Facebook che “Dune Mosse” di Zucchero, contenuto nel disco Blue’s, potrebbe essere tranquillamente un pezzo degli Indigesti, leggendario gruppo punk-hardcore italiano degli anni Ottanta non più in attività. Era un’affermazione a metà tra il serio e il provocatorio, serio perché il testo ricorda davvero uno di quelli a dir poco sconclusionati di Rudy Medea, provocatorio perché… ma che, davero?

È stato a quel punto che un collega, dopo aver evidentemente adocchiato la mia bacheca con orrore, ha deciso di scrivermi in privato: “Ti devo parlare”, mi ha detto. Io stavo già sudando freddo, ma in realtà la sua richiesta è stata semplicissima e mi ha colpito diretta e brutale come una freccia: “sai, dovresti scrivere un post sulla musica di merda che ti ascolti… Tipo i Tre Allegri Ragazzi Morti, quelle cose lì, e dovresti spiegare perché ti piace questa musica mostruosa”.

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Ci sono due precisazioni da fare a questo punto, prima del momento della pubblica gogna: tanto per cominciare io non ascolto i Tre Allegri Ragazzi Morti (ma di questo parleremo più avanti) e secondariamente sono anche convinto di non ascoltare musica di merda. Diciamo che ascolto musica molto, molto facile. Per avere un quadro chiaro dei miei ascolti nell’ultimo periodo ho provato a controllare le mie statistiche su last.fm, e mi sono accorto che sì, ho effettivamente ascoltato “Cosa Mi Manchi a Fare” di Calcutta per 120 cazzo di volte nel giro di cinque mesi e, nel complesso, ho totalizzato l’orrore di 537 ascolti di brani contenuti in Mainstream. In realtà, più che vergognarmi, la prima cosa che ho pensato è stata che probabilmente gli ascolti della Dark Polo Gang (di cui purtroppo YouTube non tiene traccia) avrebbero sicuramente potuto asfaltare quel 537, e comunque nulla si sarebbe mai avvicinato al numero che troneggia accanto ai miei ascolti dei Baustelle. 5000 play, diluiti in sette anni di ascolti, e ora lo posso raccontare su Noisey (noto portale musicale generalista) senza essere menato: la vita è incredibile, non è vero?

Oltre a queste statistiche quello che mi salta all’occhio è che nell’ultimo sementre praticamente non ho mai ascoltato dischi nuovi, nel senso di cose che non conoscevo. Ho un modo di fruire la musica poco investigativo e quando lo faccio, prevalentemente sull’autobus o mentre cammino, mi rivolgo principalmente a dischi che conoscevo già, oppure a cose che so per certe saranno estremamente immediate e comprensibili al primo ascolto, tipo Calcutta e i Tre Allegri Ragazzi Morti.

Scusate


Quali turbe mentali potrebbero spingere una persona, in questo caso io, ma vale per qualsiasi persona, ad ascoltare “La Mia Vita Senza Te” dei Tre Allegri Ragazzi Morti per trenta volte in tre settimane? Per rispondere a questa domanda bisogna tornare indietro nel tempo e fissare il me stesso dodicenne che, alla FNAC di Roma, stringe tra le braccia il disco I Più Corrotti di Gel e Metal Carter, sotto lo sguardo perplesso di suo padre e noncurante del bollino Explicit Content, ma anzi: soddisfatto. Se fissate quel ragazzino non vedrete la scintilla della consapevolezza musicale (nemmeno se lo fissate fortissimo), ma da qualche parte in fondo al cervello sapevo che il Sergente di Metallo e il suo cavallo bendato avrebbero segnato il mio destino per sempre. È per colpa di quel disco se sono cresciuto a pane e rap italiano (dieta che, casomai decideste di dare alla luca un nuovo goblin che infesti il pianeta, è assolutamente sconsigliata).

Inizialmente ascoltavo Fabri Fibra, da poco fuori con Bugiardo, poi il Truceklan che a Roma era d’obbligo (adoravo e adoro In The Panchine). Conoscevo tutto, mandavo tutti i testi a memoria e me li ricordo ancora tutti, purtroppo non posso farci niente: ho sprecato il 50% del mio hard disk fisiologico per imparare i testi di Benassa. Piano piano ho iniziato ad appassionarmi anche alla vecchia scuola del rap anni Novanta, e per anni ho avuto una vera e propria venerazione per Dj Gruff. Salvavo tutti i suoi svarioni virtuali su un file di testo e l’ultima volta che ho controllato aveva raggiunto trenta pagine di lunghezza. Il mio amore per il rap italiano toccò il suo zenit in prima superiore, quando avevo ascoltato probabilmente ogni disco di rap italiano che fosse possibile reperire in rete. A un certo punto ero così infottato che pensai seriamente di farmi i dread come un altro dei miei idoli, e cioè Yared dei Camelz (il quale, solamente due anni più tardi, ha minacciato di fucilarmi, ma questa è un’altra storia).

Ho vissuto, contestualmente al rap, anche anche una piccolissima fase in cui credevo di essere un punk: ascoltavo i Nabat, i Nerorgasmo, i Discharge e via discorrendo. Indossavo le magliette Fruit of the Loom (di un paio di taglie più grandi, perché ero comunque una testa hip hop) con le copertine in bassa risoluzione degli EP dei Negazione, e ricordo bene che per almeno un paio di giorni presi in considerazione l’idea di rasarmi la testa, come uno skinhead. Oggi di quella piccola parentesi sono rimasti praticamente solo i CCCP, che ai tempi non capivo e non potevo capire fino in fondo. Poi è successo qualcosa: ho scoperto gli Smiths. A quindici anni quel ragazzino che aveva ascoltato quasi esclusivamente il rap e il punk hardcore ne rimane folgorato. Ricordo di non aver provato un’emozione così grande neanche dopo aver scopato per la prima volta, giusto qualche mese dopo—The Queen Is Dead è breve e intenso. Proprio come il sesso :(.

Tutta l’aggressività che avevo tenuto dentro a causa dei troppi ascolti di Metal Carter e dei Negazione si era magicamente trasformata in una meravigliosa energia empatica: grazie alla voce ed ai testi di Morrissey mi sentivo compreso e meno solo. Mi ero riconciliato con il mondo. Proprio da qui ha inizio la catastrofe che mi ha portato a scrivere questo pezzo: nonostante alle superiori abbia frugato disperatamente Rate Your Music e in generale tutto l’internet alla ricerca di dischi che somigliassero agli Smiths, non ho trovavo mai niente che mi piacesse tanto quanto gli originali Smiths. Il metro di paragone era troppo alto, niente riusciva a reggere il confronto con la loro discografia. In pratica ero fottuto, ed era tutta colpa di Morrissey.

Morrissey (a sinistra) e una statua di cera dell’autore (a destra


Quando non ascoltavo gli Smiths tornavo ad ascoltare il rap italiano, per la disperazione: quel loop mi aveva incatenato e non sapevo come uscirne. Qualche anno fa avevo persino chiesto aiuto su un forum, perché questa cosa che la musica non mi piaceva più come prima mi faceva stare male. La soluzione che tutti mi davano era: ascolta più dischi. Li ascoltavo e non cambiava nulla perché non entravano, magari mi piacevano anche, intendiamoci, ma dopo averli ascoltati per un paio di giorni finivo col dimenticarli. Piano piano, complice questo disincanto per le cose nuove che ascoltavo e che non si incastravano con le mie (altissime) pretese, mi sono disaffezionato alla musica e ho iniziato a coltivare nuovi interessi, che mi appagano di più a livello emotivo e intellettuale.

Alla fine, ho smesso quasi del tutto di cercare nuova musica: semplicemente aspettavo che fosse la musica ad arrivare da me e non sono più uscito da quel loop. È un errore di cui sono ben consapevole, e sarebbe brutto per il me-quindicenne sentire queste parole, che equivalgono ad aver gettato la spugna, ad essersi arresi, ma tutti questo ci porta a “La Mia Vita Senza Te” dei Tre Allegri Ragazzi Morti, la quale (MOLLATEMI) è un brano meraviglioso, sembra una filastrocca apotropaica per scacciare i fantasmi, i fantasmi del cuore, in questo caso. Il pezzo (soprattutto nella sua versione acustica, registrata dal vivo) mi piace proprio perché è una canzone che non si scolla più dalla testa, che rimane in circolo per diversi giorni prima di essere espulso dall’apparato uditivo.

Non sono d’accordo (nota dell’Editore)

Ecco il motivo per cui l’ho ascoltata a ripetizione nelle ultime settimane: perché mi è piaciuta al primo ascolto. Il mio sconforto verso la musica si è tradotto nell’ascoltare a ripetizione ciò che prima facie mi è piaciuto, senza essere troppo stronzo e severo nei giudizi, oppure ad ascoltare i dischi che ho amato di più nella prima adolescenza: le canzoni che ai tempi “stavano al mio fianco” (per dirla con Rubber Ring) sono quelle in cui trovo conforto quando avrei soltanto bisogno di “scomparire in un abbraccio”. C’è un motivo se Alta Fedeltà di Nick Hornby è uno dei miei libri preferiti, in assoluto. Ecco perché col tempo ho abbassato la guardia, perché la mia guardia prima era così alta che non faceva passare nulla. Adesso ho il problema opposto: tutto quello che è pop ed estremamente orecchiabile sembra piacermi, ma ho deciso che va bene così. Il disco di Calcutta è perfettamente funzionale a questo bisogno di immediatezza: è un disco composto essenzialmente di slogan, perfetto per essere cantato a squarciagola ai concerti e trovare un po’ di catarsi.

Ad un livello più consapevole e più critico ho una predilezione per il pop raffinato e ben scritto a livello testuale, quello cioè che sa farsi “cavallo veloce”, come diceva Manlio Sgalambrio, e che è in grado di veicolare messaggi importanti, che spesso e volentieri stridono con la semplicità degli arrangiamenti. È la grande lezione del Maestro Battiato, immagino. Non sono solo canzonette, e se si prende ciò che di buono c’è stato in questa mia sorta di “conversione” si può ascoltare “La favola di Adamo ed Eva” di Max Gazzè senza alcun pregiudizio, e magari alla fine ce la fate anche voi a capire che è un capolavoro.

E adesso scusate ma vado ad ascoltare il nuovo disco di Zucchero, Black Cat, che mi giurano essere davvero incredibile.

Matteo è esperto di Dark Polo, vestiti da donna e ritorni di fiamma, seguilo su Twitter: @realmattycon