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Perché le donne piangono più spesso degli uomini quando si arrabbiano?

Io e il mio ragazzo abbiamo sviluppato un pattern piuttosto funzionale nella risoluzione delle litigate: ci chiariamo tramite whatsapp. Credo che la cosa sia iniziata quando una sera eravamo andati a mangiare in uno di quei ristoranti misteriosamente popolari in cui sei costretto a sederti a tavola con altri sconosciuti. Subito prima di entrare, avevamo avuto una mini discussione, che lui, ingenuo, pensava fosse morta lì. Immediatamente, come sempre mi accade in questi casi, i miei occhi si sono riempiti di lacrimoni inarrestabili e io sono andata a sedermi cercando di non sbattere mai le palpebre.

Dopo aver ordinato in uno stato catatonico, il mio ragazzo mi ha chiesto cosa avessi. Ecco, io non potevo dirglielo. Se lo avessi fatto, il mio ramen avrebbe traboccato per le lacrime e io mi sarei disidratata: da qui la strategia di whatsapp.Questo espediente funziona ma non risolve il problema a monte: perché la maggior parte delle donne piange quando si arrabbia?

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Non appena mi sono posta questa domanda, mi è tornata in mente la pagina di un mio libro di neuroscienze. A corredo del paragrafo che descriveva un filone di studi sulle emozioni e sulla percezione di queste ultime, c’era una serie di fotografie di espressioni facciali appartenenti a uomini e donne che dovevano rappresentare specifiche emozioni che altri soggetti sperimentali avrebbero poi codificato. L’informazione che mi aveva colpito era quella che riportava il fenomeno per cui le espressioni facciali delle donne che esprimevano rabbia venivano spesso scambiate per espressioni di frustrazione, impotenza o tristezza.

La tesi per cui uomini e donne sperimenterebbero la rabbia in maniera diversa non è supportata dalla ricerca.

Per tanti anni i luoghi comuni sull’argomento tendevano a suffragare la tesi per cui le donne non sapevano bene come esprimere la rabbia e avevano addirittura difficoltà a sperimentarla. Per esempio Celia Halas nel 1981 scriveva: “La rabbia è un’emozione che le donne esprimono molto meno frequentemente degli uomini”. Un anno più tardi Collier affermava che molte donne trovano impensabile l’idea della rabbia a prescindere dai motivi che ne giustificherebbero la presenza.

La tesi per cui uomini e donne sperimenterebbero la rabbia in maniera diversa non è supportata dalla ricerca, perché i circuiti neurologici attivati dalla rabbia sono gli stessi. Ma allora cos’è che fa sì che le reazioni comportamentali siano spesso differenti?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo far riferimento a uno dei temi-pilastro della biologia, della neuropsichiatria e delle neuroscienze: il dibattito natura/cultura. Negli ultimi anni la comunità scientifica ha aderito quasi completamente al concetto per cui la base dello studio dell’uomo non può prescindere dall’idea secondo cui noi siamo il prodotto di un delicato intreccio di fattori genetici e ambientali che si intersecano e si modificano a vicenda durante il corso di tutta la nostra vita.

Intorno all’inizio del secolo parecchi ricercatori si sono interrogati su come gli stereotipi culturali potessero influenzare l’emotività. Lo studio di Plant e colleghi del 2000 è sicuramente tra i più adeguati per rispondere al perché io diventi un idrante ogni volta che litigo.

Prima di tutto gli autori hanno condotto un breve esperimento su come gli stereotipi culturali e le credenze personali interagissero tra loro. Le credenze del loro campione, formato da 117 studenti universitari, hanno confermato i luoghi comuni sulle emozioni relativamente al genere: le donne esprimono più emozioni degli uomini e più intensamente, gli uomini hanno un’emotività ristretta; le donne provano più spesso imbarazzo, gli uomini esprimono più spesso la rabbia e l’orgoglio.

In una società in cui le donne occupano sempre di più ruoli di potere, il piangere è un segno di debolezza a cui nessuna vorrebbe sottostare.

Il secondo studio è sicuramente il più interessante e ci riporta a quella pagina di libro che mi aveva colpito. In questo caso gli sperimentatori hanno presentato ai soggetti due foto che ritraevano un uomo e una donna le cui espressioni facciali di rabbia e tristezza erano state mescolate in modo tale da ottenere un’ unica espressione facciale ambigua per entrambi i sessi che poteva essere codificata sia come rabbiosa sia come triste. I risultati mostravano che nel giudicare l’espressione ambigua maschile, i partecipanti la identificavano come rabbiosa. Nel caso della donna, l’espressione veniva giudicata frustrata, triste, impotente.

Questi risultati, così come molti altri sia precedenti sia successivi, dimostrano quanto siamo malleabili dall’ambiente che ci circonda e quanto siano potenti gli stereotipi di genere nel determinare reazioni fisiologiche basilari.

Ancora oggi, nel 2016, una donna che si arrabbia o una donna assertiva si mette in una condizione di rischio sia sociale sia lavorativa. Per quanto la situazione stia cambiando—anche molto rapidamente—le donne in linea di massima sono ancora vittime di uno status sociale che permette loro di esprimere emozioni che ruotano attorno alla sfera della debolezza e dell’impotenza. Gli uomini dal canto loro esprimono con più facilità emozioni che ruotano attorno al tema della dominanza. Ribadisco nuovamente il concetto per cui questa distinzione non riguarda l’esperienza interna ma quella espressiva, quella esterna.

Una volta iniziata la mia ricerca tra articoli vecchi di quindici anni ho deciso di andare a recuperare alcuni libri sullo sviluppo del linguaggio nella prima infanzia per capire quanto siano preponderanti le prime forme di comunicazione nel rafforzare i ruoli di genere.

Anche in questo caso, alcuni ricercatori si sono concentrati sulle differenze del linguaggio genitoriale relativamente al genere del bambino. Già nel 1987 una ricerca di Dunn e altri mostrava che le madri adoperano un linguaggio più emotivo con le figlie femmine sia a 18 mesi sia a 24 mesi. Il risultato è che a due anni le bambine parlano molto di più delle loro emozioni rispetto ai coetanei maschi, confermando lo stereotipo delle femmine “più emotive”. In particolare la tristezza è un’emozione molto enfatizzata dalle madri quando parlano con le figlie rispetto a quando lo fanno con i figli.

Cosa fare quindi con questa mole di informazioni?

Anni fa avevo un carissimo amico che ora ho un po’ perso di vista. Aveva una fidanzata con cui spesso litigava e quando questo accadeva, lei scoppiava in lacrime. Per lui questa reazione era manipolatoria. Ecco, prima di tutto io penso che bisogna smetterla di pensare che le donne piangano per intenerire o manipolare chicchessia. Io piango molto più spesso per rabbia che non per tristezza, e vi assicuro che in quei casi vorrei staccare la testa del malcapitato e usarla come una pignatta (aderentemente con il tema dell’articolo, con le donne non litigo praticamente mai). Tra l’altro in una società che sta mutando così rapidamente e in cui le donne occupano sempre di più ruoli di potere, il piangere è un segno di debolezza a cui nessuna vorrebbe sottostare.

La forza degli stereotipi risiede nel loro essere nascosti nelle pieghe della quotidianità, nel non essere pensati. Nel momento in cui diventano espliciti perdono parte del loro vantaggio. Voglio pensare che se mia madre avesse fatto delle ricerche sul tema quando era incinta, ora non mi troverei a litigare su whatsapp come una scema.