La settimana scorsa, il 6 luglio, è stato pubblicato il nuovo capitolo per smartphone del franchise di videogiochi più famoso del pianeta. Pokémon Go è una app per dispositivi iOS e Android che, dopo un lungo periodo di closed beta, ha finalmente avviato la distribuzione globale del titolo partendo dal Nord America e passando per Nuova Zelanda e Australia.
E il resto del mondo? Be’, al momento la fase di rollout è stata sospesa perché i server di Niantic, la casa di sviluppo del gioco, non stanno riuscendo a sostenere l’assurdo flusso di giocatori. Infatti, Pokémon Go ha riscontrato un successo che nessuno avrebbe potuto prevedere. Non mi riferisco solamente a numeri duri e puri—basti sapere che, al momento, negli Stati Uniti, Pokémon Go è installato su più dispositivi Android di Tinder e i suoi utenti attivi giornalieri stanno per sorpassare quelli di Twitter—il titolo di Niantic ha anche fatto detonare una Tsar Bomba mediatica di proporzioni incredibili.
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Nel frattempo, gli stock di Nintendo stanno salendo alle stelle e in appena una settimana l’iter narrativo attorno alla app ha fatto un giro talmente largo che siamo già arrivati a parlare di “tragedia”, con un pezzo su The Atlantic che spiega nel dettaglio da dove arriva Pokémon Go. Ah, inoltre, l’account Twitter di YouPorn ha appena comunicato al globo terracqueo che secondo Google Trend, la query ‘Pokémon Go’ è ufficialmente più ricercata di ‘porn’. Ok, abbiamo anche capito che Google Trend non è esattamente affidabile come fonte, però il paragone fa ben intendere la magnitudo dell’evento.
Ma PERCHÈ?
Non credo di esagerare a definire il “fenomeno Pokémon Go” una psicosi collettiva in piena regola: ne stanno parlando tutti e il flusso di conversazioni online è completamente zuppo della scia lumacosa di Pokémon Go, che sta lentamente sfiorando in un modo o nell’altro qualunque essere umano del pianeta Terra. Come è possibile?
Sarebbe stupido e ingenuo limitarsi a lodare le qualità del gioco in sé. Pokémon Go tutto sommato funziona bene: certo, soffre di alcuni limiti di design piuttosto evidenti, come il fatto che io debba davvero gironzolare in giro a piedi per catturare i Pokémon, perché farlo in metropolitana durante i tragitti giornalieri emoziona un po’ troppo il GPS del mio smartphone e rende impossibile la cattura dei mostri.
O ancora il fatto che giocare a Pokémon Go per più di qualche decina di minuti comporti il necessario acquisto di un gruppo elettrogeno con cui rifocillare la batteria del telefono. Ma, siamo sinceri, sono problemi comuni un po’ a tutti i giochi per smartphone, e dubito che Pokémon Go potrà davvero cambiare le regole dell’industria dei videogiochi sul lungo periodo. Il miracolo è un altro.
La realtà è che Niantic, la casa di produzione, si era preparata bene per questo momento: il geocaching, il principio fondamentale del gameplay di Pokémon Go—ovvero sfruttare i luoghi e le coordinate GPS del mondo reale come input narrativo e ludico per il titolo, magari con l’ausilio della realtà aumentata—, è un campo che Niantic ha elevato allo stato dell’arte grazie ad anni di esperienza.
Sempre di Niantic, per esempio, è stato Ingress, uno dei videogiochi mobile per smartphone più acclamati, in cui il giocatore veniva chiamato a “piantare la bandiera” in determinati luoghi fisici del mondo reale recandovisi fisicamente per portare avanti la propria fazione nel gioco. In breve, se su Ingress lo scopo era quello di collegare vari punti del mondo reale per aumentare il punteggio, in Pokémon Go bisogna gironzolare fisicamente per scoprire dei nuovi punti in cui catturare Pokémon.
Niantic, quindi, ha cominciato a lavorare a Pokémon Go senza aspettarsi sorprese: bastava prendere tutti i dati generati dagli utenti su Ingress e ri-utilizzarli per Pokémon Go—I luoghi più frequentati, le foto di questi luoghi, i punti di interesse. C’era già tutto, e i nuovi giocatori di Pokémon Go hanno l’impressione di trovarsi davanti a un gioco che conosce perfettamente le loro città e le loro strade: quello di Pokémon Go è un mondo accogliente e paradossalmente inedito: in che modo questo universo virtuale rispecchia quello reale? È mero desiderio di esplorazione, motore immobile della civiltà pre-fotografia satellitare.
Forse la tempesta perfetta di Niantic si sta consumando in maniera troppo rapida e violenta per portare a risultati globalmente positivi per il titolo e la casa di sviluppo.
I Pokémon vogliono che le persone parlino
È inutile parlare del fattore nostalgia: i Pokémon li conosciamo tutti e i Pokémon conoscono noi—Non è una novità. Ciò che spesso, però, si ignora e sottovaluta è quanto i Pokémon, nel corso della loro storia, abbiano fortemente voluto far incontrare i loro giocatori—E proprio questo aspetto potrebbe essere una delle cifre più importanti del successo di Pokémon Go.
Nei giorni scorsi hanno spopolato ritratti felici di raggianti gruppi di persone prima completamente sconosciute che si incontravano e conoscevano proprio grazie a Pokémon Go: è il miracolo dei social network? Il web 4.0 che trascende i limiti digitali e ci fa stringere amicizia anche nel mondo reale? Sono le incredibili meccaniche del capolavoro di Niantic? Col cazzo: i Pokémon incoraggiano da sempre le persone a parlare di Pokémon.
Si era visto agli albori, con il colpo di genio di Nintendo che aveva cominciato a vendere i Game Link, dei cavetti per collegare i GameBoy così da scambiare i Pokémon con gli amici. La stessa tendenza era emersa con la tuttora presente scelta di mettere in vendita due diverse versioni dello stesso gioco, entrambe munite di alcuni Pokémon che nell’altra versione non si potevano trovare. Chi aveva Pokémon Rubino cercava chi aveva Pokémon Zaffiro per parlare, scambiare e discutere del gioco.
Così si creava la magia: grazie ai Pokémon, che presto passavano in secondo piano, si creavano amicizie e gruppi. Anni dopo non ci si ricorda più del gioco, ma delle persone che si sono incontrate grazie ad esso—Un bel ricordo, no? Come fai a non volerne di più? Non puoi, infatti. I nomi dei Pokémon, i loro luoghi e i topoi narrativi che il titolo sfruttava rimbombano durante ogni passo fatto su Pokémon Go.
Pokémon Meteora
La tempesta perfetta di Niantic, però, potrebbe starsi consumando in maniera troppo rapida e violenta per portare a risultati globalmente positivi per il titolo e la casa di sviluppo. A differenza degli altri capitoli di Pokémon, infatti, Pokémon Go trascura una fase molto importante dei titoli più classici del franchise: gran parte del tempo veniva speso per conto proprio, a gironzolare virtualmente dentro Kanto o Johto per allenare i propri Pokémon, in attesa del prossimo incontro. Era un processo lento, noioso e a tratti frustrante: era una parte del gameplay che cementava il rapporto tra il giocatore e il gioco.
In Pokémon Go questa cosa non succede: ogni istanza di gioco è necessariamente interattiva e sociale—Devi uscire di casa, camminare, cercare, sfidare, paragonare i tuoi punteggi. È una bella fatica, e non credo (e felicissimo di sbagliarmi) che la maggior parte dei giocatori avrà voglia di sforzarsi più di tanto sul lungo periodo.
Pokémon Go è immediatamente diventato un carattere di folklore senza avere tempo di essere provato, digerito e giudicato. Sono spuntati come funghi i fatti di cronaca legati al gioco, le persone hanno cominciato a scherzarci sopra: Pokémon Go è diventato un meme, un’unità culturale endemica che rischia di perdere molto in fretta legame con il gioco vero e proprio.
I Pokémon erano cultura pop e Pokémon Go è a sua volta diventato parte della cultura pop: una crescita esponenziale, che rapportata al numero incredibile e in costante crescita di giocatori rischia di disperdersi rapidamente perché colpevole di non aver dato il tempo al gioco stesso di costruire delle fondamenta solide. Ci ricordiamo i Pokémon perché hanno incidentalmente creato delle dinamiche sociali piacevoli—Al contrario, rischiamo di scordarci rapidamente di Pokémon Go perché ci fa catturare incidentalmente dei Pokémon mentre inseguivamo le dinamiche sociali che il gioco ci promette.
La triste verità è che le storie su Pokémon Go ci divertono più di Pokémon Go stesso, e adoriamo crogiolarci in questo apparentemente eterno istante amarcord in cui tutti gioiamo dei nostri ricordi—Un miracolo per gli azionisti di Nintendo, ma un piccolo dramma per chi sperava di trovarsi improvvisamente coinvolto in un Guinnes World Record da 45 ore di gioco consecutive per portare al livello 100 tutta la propria squadra Pokémon. Forse Pokémon ci sta facendo impazzire troppo.