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Perché quello che pensa Steve Bannon riguarda anche l'Europa

Un'analisi del chief strategist di Donald Trump.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Durante il suo discorso d'insediamento dello scorso 20 gennaio, Donald Trump a un certo punto ha dichiarato che uno degli obiettivi della sua presidenza sarà quello di "restituire il potere a voi, il popolo"—una frase soprendentemente simile a quanto dice il personaggio di Bane in The Dark Knight Rises.

Per quanto possa suonare bizzarro, diversi commentatori hanno evidenziato come quel riferimento potrebbe non essere del tutto casuale. Da tempo Bane è uno degli idoli "culturali" dell'alt-right, quella nebulosa di troll ed estremisti di destra che ha trovato una qualche forma di rappresentanza alla Casa Bianca non solo in Trump, ma soprattutto in chi ha (molto probabilmente) scritto quel discorso: Stephen K. Bannon.

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Probabilmente il suo nome non dice ancora molto in Italia; eppure, l'attuale chief strategist (consigliere strategico) della Casa Bianca è la chiave per capire l'orientamento profondo dell'amministazione Trump, nonché una figura davvero sui generis.

Prima di completare la scalata al potere, nei suoi 63 anni di vita Bannon si è reinventato più e più volte. Dopo essersi laureato alla Harvard Business School finisce a lavorare per Goldman Sachs. Negli Novanta e i primi del Duemila è invece produttore cinematografico (e in questa veste—secondo il TIME—avrebbe anche intrattenuto rapporti commerciali con le società di Silvio Berlusconi) nonché autore di alcuni documentari. La sua carriera a cavallo tra affari e spettacolo è costellata anche di stranezze, come il coinvolgimento nella (fallita) costruzione di una biosfera artificiale e la scrittura di un "musical rap."

Alla fine degli anni zero, dimostrando di avere un certo fiuto politico, Bannon si avvicina a Sarah Palin e al movimento dei Tea Party. La vera svolta risale però al 2012, quando prende il controllo di Breitbart News—il sito dell'estrema destra complottista americana, fondato nel 2007 da Andrew Breitbart—e lo trasforma in un'autentica potenza mediatica. Sotto la sua guida, il sito esaspera ulteriormente una linea editoriale già contro qualsiasi cosa: l'establishment repubblicano, i media, i liberal, le femministe ("un branco di lesbiche," secondo Bannon), gli immigrati, le minoranze etniche, i musulmani, e così via.

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Non appena Trump—una vecchia conoscenza di Bannon—annuncia la sua candidatura, il capo di Breitbart scorge un'enorme opportunità per sé e per il sito. Quest'ultimo diventa contestualmente la "piattaforma per l'alt-right" (inglobandone esponenti in vista come Milo Yiannopolous) e soprattutto l'organo principe della propaganda trumpiana, al punto tale da guadagnarsi l'appellativo di "Pravda di Trump."

Nell'agosto del 2016 l'appoggio sfegatato di Breitbart viene premiato dal candidato repubblicano, che nomina Bannon a chief executive della campagna. La sua centralità è riconfermata anche dopo la vittoria elettorale con il ruolo di principale consigliere di Trump ed una libertà di manovra che lo rende—secondo la storia di copertina del TIME di qualche settimana fa—"il secondo uomo più potente al mondo."

La riprova di quanto Bannon sia cruciale e determinante all'interno dell'amministrazione di Trump la si è avuta durante la prima, frenetica settimana di presidenza. Stando a diversi retroscena sarebbe stato lui ad aver ispirato il famigerato "Muslim ban"—bloccato dalla magistratura americana e pronto a essere riproposto—e tutte le misure più dure sull'immigrazione, scavalcando anche il dipartimento della sicurezza interna. Con una mossa senza precedenti, inoltre, è stato inserito nel Consiglio nazionale della sicurezza (l'organo che ha il compito di assistere il presidente su sicurezza nazionale e politica estera).

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Una fonte dell'amministrazione interpellata da BuzzFeed, pur negando che Bannon sia una specie di burattinaio, conferma che il consigliere rappresenta la persona che meglio di chiunque altro "capisce il sentimento populista che il presidente ha intercettato durante la campagna elettorale."

Personalmente, trovo che sia proprio questo l'aspetto più preoccupante di Bannon: l'essere un acuto inteprete dello zeitgeist politico, e una persona che ha le idee molto chiare verso quale direzione debbano andare gli Stati Uniti e il mondo occidentale.

Sebbene si sia paragonato a Lenin ("voleva distruggere lo stato: è il mio stesso obiettivo"), l'ossessione politica di Bannon sarebbe in realtà la "teoria generazionale" degli storici William Strauss e Neil Howe—e in un particolare un libro del 1997 intitolato The Fourth Turning: An American Prophecy. Riassumendo al massimo: per i due autori la storia americana si sviluppa in cicli di ottant'anni, al termine dei quali si verificano grandi crisi—le "quarte svolte"—che distruggono il vecchio ordine e ne creano uno nuovo.

Il consigliere di Trump è convinto che la crisi economica del 2008 abbia segnato l'inizio di un'altra "Quarta svolta." A sostenerlo è il professore David Kaiser, intervistato da Bannon nel 2009 in vista del suo documentario Generation Zero. "Sapeva tutto della teoria," dice Kaiser all'Huffington Post. "Parlava delle guerre che segnano il culmine delle 'Quattro Svolte': c'è stata la Rivoluzione Americana, la Guerra Civile, la Seconda Guerra Mondiale. Evidentemente, per la 'Quarta Svolta' si aspettava un conflitto altrettanto esteso."

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I riferimenti alla guerra e all'Apocalisse, del resto, abbondano negli interventi di Bannon. Nel marzo del 2016, ad esempio, il consigliere si diceva sicuro sul fatto che "tra cinque e dieci anni" gli Stati Uniti si sarebbero trovati in mezzo a una guerra nel mare cinese meridionale; un mese prima, sempre alla radio di Breitbart, Bannon prevedeva anche un coinvolgimento statunitense in un "grosso conflitto" nel Medioriente.

È in un discorso del 2014—pronunciato su Skype in una conferenza tenutasi in Vaticano e organizzata dallo Human Dignity Institute—che Bannon ha delineato con più precisione la sua visione di un mondo occidentale solcato da una triplice crisi: economica, spirituale e valoriale.

A questa si deve aggiungere anche lo scontro tra la civiltà "giudaico-cristiana" (indebolita dal secolarismo) e quella "islamofascista," sempre più arrogante e spudorata. Per Bannon, infatti, siamo già in "guerra aperta contro il jihadismo, […] una guerra che si sta incacrenendo molto più in fretta di quanto i governi siano in grado di gestirla." Poco dopo, riferendosi all'ISIS, l'ex capo di Breitbart ribadisce che "sta ribollendo un grosso conflitto—un conflitto che è già globale nella sua ampiezza. La tecnologia odierna, i media e l'accesso alle armi di distruzione di massa ci porteranno verso un conflitto globale."

Non è un caso che queste parole siano state proferite di fronte a un pubblico di cattolici conservatori. Secondo il New York Times, da anni Bannon avrebbe stretto rapporti con il cardinale americano Raymond Burke e l'ala ultraconservatrice del Vaticano, che si oppone in tutto e per tutto alla linea impressa da Papa Francesco. Secondo lo stesso Bannon, per dire, Bergoglio sarebbe addirittura "socialista e comunista."

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L'asse con i tradizionalisti cattolici va di pari passo con  un altro caposaldo del pensiero di Bannon: il nazionalismo. Nello stesso discorso del 2014, il consigliere speciale di Trump spiega di "credere fortemente nell'esistenza di un Tea Party globale," che in Europa sarebbe rappresentato dallo UKIP inglese e dal Front National francese.

"La cosa che accomuna veramente questi movimenti populisti di destra," continua Bannon, "è la classe media, i lavoratori di tutto il mondo, che sono stanchi di essere dominati da quello che chiamiamo il Partito di Davos."

Per l'ex capo di Breitbart, insomma, è vitale che i nazionalisti stringano alleanze, perché le "nazioni forti" sono "le fondamenta su cui sono state costruite l'Europa occidentale e l'America." A questo proposito, dice Bannon, il suo sito si propone come una sorta di amplificatore per tutti quei movimenti che reagiscono contro "i governi centralizzati" e le élite di vario tipo—una sorta di "piattaforma" per l'estrema destra globale.

L'affinità con il fronte populista europeo, sostiene un articolo del Daily Beast, è palese. Ma se prima si limitava alla copertura su Breitbart, ora che Bannon ha un ruolo nella Casa Bianca è cambiata del tutto la dimensione politica di questo "sostegno"—circostanza che non è sfuggita a Marion Le Pen, la nipote della presidente del Front National.

In più, c'è anche una certa familiarità con alcuni riferimenti ideologici dell'estrema destra europea. Nel famoso discorso del 2014, come ha notato il New York Times, compare un riferimento en passant al filosofo tradizionalista italiano Julius Evola, che è stato il maestro spirituale di generazioni di neofascisti. Naturalmente, Bannon non è un seguace di Evola; ma il solo fatto che lo conosca è significativo, perché aiuta ulteriormente a fissare il milieu culturale in cui sguazza l'alt-right.

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Nel pezzo del NYT, il suprematista bianco Richard Spencer—quello che si è beccato due pugni all'inaugurazione di Trump—dichiara che "Evola è uno degli uomini più affascinanti del ventesimo secolo." E a marzo del 2016, in un pezzo su Breitbart co-firmato da Yiannopolous, il filosofo è messo tra le fonti di ispirazioni intellettuale che hanno dato origine all'alt-right.

A questo punto, può essere interessante soffermarsi sul modo in cui Breitbart e lo stesso Bannon osservano il nostro paese e su come il suo pensiero riguardi anche l'Europa. Il 23 maggio 2016, nel corso della trasmissione radiofonica Breitbart News Daily, Bannon aveva attaccato il papa accusandolo di scaricare la responsabilità dell'accoglienza dei migranti sui "lavoratori e sulle lavoratrici italiani ed europei." L'altro ospite del programma era Thomas Williams, un ex prete che dal 2014 è il corrispondente di Breitbart da Roma.

Se si scorrono gli articoli dedicati all'Italia, è facile accorgersi di come il focus sia incentrato su pochi temi ricorrenti che—sebbene Bannon non sia più formalmente alla guida della testata—ricalcano fedelmente le sue "linee guida": immigrazione, Islam, critiche al Papa, e una marcata attenzione a quello che fanno populisti e sovranisti.

Per quanto riguarda il primo tema, Breitbart è una specie di Tutti i crimini degli immigrati che impiega le medesime logiche editoriali (ma con una grafica decente). A titolo esemplificativo c'è un articolo del gennaio 2015 in cui si riporta la notizia di un gruppo di "giovani immigrati" che avrebbero spaccato la statua della Madonna a Perugia, urinandoci pure sopra (per inciso, la nazionalità dei responsabili non è mai stata verificata, e la foto di apertura dell'articolo—che ritrae una statuina rotta per strada—si riferisce agli scontri a Roma del 15 ottobre 2011).

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Un paio di titoli di Breitbart sul M5S.

Da quando Virginia Raggi ("una mora elegante" che guida la "rivolta populista") è stata eletta a sindaco di Roma, inoltre, uno spazio considerevole è accordato anche al M5S—ridotto però alla sua essenza anti-establishment ed euroscettica.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il politico italiano preferito da Breitbart è indubbiamente Matteo Salvini. Oltre a riprendere le dichiarazioni più bellicose e gli elogi a Trump, il leader leghista è stato intervistato da Williams in un pezzo intitolato "Italian Populist Salvini Pursues Alliance With Trump Administration." In esso Salvini sostiene di essere "in piena sintonia" con il presidente americano su molte questioni, e auspica di aprire un "canale diretto" con l'amministrazione USA su "lavoro, immigrazione, sicurezza nazionale e sul ruolo di alcune organizzazioni sovranazionali come NATO, ONU e Unione Europea."

Williams, in più, scrive che Salvini è riuscito a spostare la Lega Nord da un "partito marginale e secessionista" ad un "movimento populista ed euroscettico che aspira a diventare un vero partito nazionale."

A fronte di questo "articolo lusinghiero," Il Populista—la testata online della Lega salviniana—non ha nascosto il suo entusiasmo e ha parlato di "un'apertura di credito che vale un endorsement," di un "Matteo Salvini [che] è ben conosciuto al di là dell'Atlantico," e di "posizioni pro-Trump […] osservate con grande attenzione."

Più in generale, poi, è sempre più evidente come Breitbart stia rivolgendo le sue "attenzioni" a determinati paesi europei. Oltre a pianificare il lancio in Germania e Francia, il sito starebbe valutando l'espansione anche in Italia. L'obiettivo—spiega l'agenzia Reuters, che cita fonti vicine a Bannon—sarebbe quello di "sostenere i politici di destra in quei due paesi, dove è cresciuta l'opposizione ai migranti."

E qui ritorno, ancora una volta, al pensiero dello chief strategist di Trump. Poco dopo la vittoria di Trump, Bannon ha rilasciato una strana dichiarazione. "L'oscurità è una cosa buona," ha detto a un giornalista dell' Hollywood Reporter. "Dick Cheney. Darth Vader. Satana. Quello è il vero potere. Noi siamo avvantaggiati quando loro [ i liberal e i media] si sbagliano—quando non capiscono chi siamo e cosa stiamo facendo."

Proprio questo motivo, dunque, è quanto mai necessario sapere chi è Steve Bannon e qual è la sua ideologia—perché quello che pensa e decide, prima o poi, potrà avere un impatto diretto anche qui.

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