Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con “Sulla Razza”, un podcast di Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso che vuole intavolare una conversazione sulla questione razziale in Italia, e vuole farlo utilizzando un linguaggio aggiornato. Esce a venerdì alterni, e puoi ascoltarlo su Spotify, Apple e Google Podcast. Intanto, segui “Sulla Razza” su Instagram, o vai in fondo all’articolo per avere più informazioni.
“Ci sono parole,” si dice nella prima puntata di Sulla Razza [in uscita il 12 febbraio], “che sono fuori dalla comfort zone degli italiani bianchi—razza è una di queste.” È come se facesse paura a molti, e in fondo è anche per questo che è stata scelta per il nome del podcast.
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Oggi, dopo decenni in cui il concetto di ‘razza’ è stato valutato come categoria biologica, essa viene vista come categoria sociale. E nonostante siamo tutti d’accordo nel dire che le razze non esistono, è importante parlarne soprattutto per capire certe tendenze razziste. È proprio questo l’oggetto della prima puntata di Sulla Razza.
In questo articolo, dribblando le frasi come “C’è una sola razza ed è quella umana”—che molto spesso nascondono proprio queste tendenze—abbiamo chiesto a un po’ di persone non bianche di spiegarci che significato attribuiscono al termine “razza”. Le loro parole sono estratte dal video di presentazione del podcast, che puoi trovare sotto in versione integrale.
Athukoralage Marshan Francesco
Spesso le parole vengono utilizzate senza dare il giusto peso e col passare del tempo, crescendo, mi sono reso conto che una di queste parole è razza.
Per me razza è sinonimo di divisione, nel senso che si usa più che altro per indicare il diverso. E nonostante io sia nato e cresciuto in Italia, a Napoli, sono sempre considerato ‘diverso’—diverso rispetto agli altri miei compagni di classe, perché ad esempio durante l’appello i professori non riuscivano a pronunciare il mio cognome e nome in maniera chiara e corretta, anzi, non ci provavano nemmeno. Io mi chiamo Athukoralage Marshan Francesco.
Da sempre la mia identità è stata deturpata. È stata persino ridotta, perché al liceo mi chiamavano Athu, facendo ironicamente riferimento ad Apu dei Simpson. Per me chi utilizza la parola razza si affida agli stereotipi: come quelli che mi associano al venditore di rose oppure all’indiano del minimarket sotto casa. Oppure come quelli che, se proprio devono farmi un complimento, mi dicono che sono una bellezza esotica—wow.
La definizione di razza, specie quella negli Stati Uniti e nel Regno Unito, sottolinea una gerarchia che è stata creata centinaia, migliaia di anni fa da persone bianche, affinché si sentissero bene con se stesse. È un costrutto sociale creato per far sì che le persone di colore si sentissero inferiori. Oggi si manifesta ancora attraverso la supremazia bianca e il razzismo.
Per quanto concerne la razza nel contesto italiano, è un concetto molto vago: un termine ombrello che la gente usa per definire vari aspetti, che non sempre hanno a che fare con il colore della pelle. Per esempio si usa razza per definire persone dal sud Italia o persone provenienti da altre città. Per quanto questo sia sbagliato, rappresenta la realtà italiana.
E proprio questa specifica realtà rende complicato definire cos’è il razzismo, infatti le persone del Sud credono di essere vittime dello stesso tipo di razzismo che subiscono le persone di colore.
Per questo credo che la razza nel contesto italiano sia molto cloudy, non chiaro, anche cioè per l’incapacità degli italiani bianchi di comprendere e accettare che razza e razzismo li riguardano—ma, allo stesso tempo, non li riguardano affatto.
Samuel Colle Domínguez Maldonado Tinoco
La razza biologica ovviamente non esiste, ma la razza sociale sì. La vedo tutti i giorni quando dico il mio cognome, Colle Domínguez Maldonado Tinoco, e le persone mi guardano in maniera diversa.
La ricordo quando ero bambino e mi picchiavano a scuola perché dicevano fossi nero. La vedo tutti i giorni quando sale una persona di colore in metro e viene allontanata. Oppure quando dico di essere vegetariano e mi chiedono se sono musulmano.
È una lente distorta che vede il mondo dal punto di vista della parte dominante della società, che in questo caso è il maschio bianco.
La razza, per me, è un costrutto sociale, è un’idea che è stata creata per sottomettere— originariamente—i popoli neri afrodiscendenti in modo da ottenere dei vantaggi economici. Quindi ritengo che “razza” sia strettamente legata al capitalismo e al classismo.
In Italia c’è un dibattito sull’utilizzo di questo termine. Penso che non abbia molto senso volerlo rimuovere a tutti i costi, soprattutto quando le conseguenze del razzismo permangono nella nostra società. Mi riferisco, per esempio, all’accesso alle risorse: una delle principali conseguenze dell’idea di razza—e la intendo in senso sociologico—è il fatto che viene impedito l’accesso alle risorse economiche, politiche e sociali a determinati popoli in base alla loro razza percepita, in modo da poterli controllare. In Italia questo è evidente nella legge della cittadinanza, basata sullo ius sanguinis.
È anche chiaro guardandoci attorno: più si sale ai vertici di qualsiasi settore, più si nota che le persone che lavorano in quell’ambiente sono, in un certo senso, etnicamente omogenee. Ci sono paesi, come Francia e Germania, dove si è voluto rimuovere a tutti i costi la parola razza, però di fatto le discriminazioni legate a quel concetto sono rimaste. Secondo me sarebbe molto più utile concentrarsi non tanto sulla parola razza in sé, ma sugli effetti che la razzializzazione ha nella nostra società.
Sulla Razza mi fa venire in mente le parole di Aníbal Quijano, uno dei principali teorici decoloniali latinoamericani. Secondo lui la razza è un principio ideologico che non ha nulla a che vedere con la biologia, ma che ha più un significato sociale.
Esiste quindi come costrutto che riguarda le relazioni di potere in un contesto capitalista, coloniale ed eurocentrico. In sé quindi la razza è una finzione, che non esiste, ma ne esistono le conseguenze e gli effetti sulla società.
Serena Fernando
Anche se la razza [biologicamente] non esiste, può comunque far male. Porta con sé uno spettro di violenza che vediamo tutti i giorni, anche nelle piccole cose.
La razza si rivela quando vogliamo che una persona straniera si integri, però non facciamo nulla per avvicinarci a quella persona, pretendiamo che sappia un sacco di cose della nostra cultura ma allo stesso tempo cerchiamo di allontanarla o ci comportiamo in maniera diffidente.
A volte si tratta di questioni legate anche alle leggi. Io per esempio non son stata cittadina italiana fino ai diciotto anni e al liceo ho avuto dei problemi con la mia identità: non sapevo bene a quale cultura appartenessi e questo ha avuto dei risvolti anche pratici. I viaggi all’estero con la scuola non li potevo fare, mentre i miei compagni sì—per dirne una. Anche come una persona guarda il tuo passaporto plasma la tua identità, specialmente quando sei giovane e vuoi capire da dove vieni e a cosa appartieni. Io ho smesso di scegliere tra questi due luoghi, ma a lungo mi sono sentita in dovere di farlo.
Oggi in Italia tendiamo a sostituire la parola razza con “etnia”. Facciamo riferimento alla razza solo quando si tratta di atti di razzismo, senza però affrontare il razzismo in sé—non ne prendiamo cioè consapevolezza, nonostante sia una sfaccettatura importante della nostra società. Penso che al razzismo sia direttamente collegato il colore della pelle o il tono del colore della pelle, oppure i tratti del viso quando questi sono tipici di alcune etnie.
Sebbene la razza non esista, queste persone subiscono razzismo proprio a causa delle loro caratteristiche fisiche.
Quando invece utilizziamo la parola etnia non lo facciamo correttamente, perché viene associata a gruppi di persone indipendentemente dalla loro vera identità: ad esempio all’interno della comunità musulmana, che viene generalizzata (i musulmani/le musulmane), ci sono in realtà tante etnie differenti, dalle persone bianche a quelle del Medio Oriente, a quelle nere o le etnie turche.
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Per 30 minuti, due volte al mese, Sulla Razza tradurrà concetti e parole provenienti dalla cultura angloamericana, ma che ci si ostina ad applicare, così come sono, alla realtà italiana—BAME, colourism, fair skin privilege. In ogni episodio si cercherà di capire come questi concetti vivono, circolano e si fanno spazio nella nella nostra società. Sulla Razza sarà anche una newsletter, e qui su VICE pubblicheremo periodicamente contenuti di approfondimento sulle singole puntate.
Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso, grazie anche alle voci e ai punti di vista degli italiani non bianchi, parleranno di come queste parole impattano le vite di chi è marginalizzato e sottorappresentato da molto tempo.
Sulla Razza è un podcast prodotto da Undermedia grazie al supporto di Juventus, nell’ambito del proprio impegno alla lotta contro il razzismo e ogni forma di discriminazione tramite le attività di Juventus Goals.