Ai giornalisti che stanno coprendo lo scandalo della falla di petrolio nella costa del golfo vicino Venice, in Louisiana, piace essere melodrammatici e dire che la piccola e irregolare striscia di raffinerie di petrolio, barchette di pescatori e palafitte sia arrivata alla “fine del mondo.” Questi reporter battono le loro storie chiusi nella lobby dell’hotel alla Cypress Grove Marina, dove il caffè scorre a fiumi e si sentono voci in dozzine di lingue diverse lamentarsi di quanto questo sia un posto di merda. E dire che non sono neanche mai stati al di là del “bordo,” dove vive Chi Chi Grillo.
La casa di Chi Chi si trova all’estremità di un canale paludoso circondato da erba, tra una gruppetto di costruzioni raffazzonate chiamate “Camp Canal,” con popolazione massima di due persone. Un’altra dozzina di persone circa usano questo posto per pescare—ci si arriva solo in barca—e come ha scoperto uno sfortunato partecipante di BassMasters Classic, i severi limiti di velocità del canale sono fatti rispettare a suon di clacson.
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Chi Chi è emigrato da Cuba e si è stabilito a Camp Canal dopo aver girato il mondo per un po’. Questo è stato 14 anni fa. Ci ha detto che non se ne andrà mai, anche se il suo canale dovesse riempirsi di petrolio e morissero tutti gli animali e la vegetazione. Questa è la sua casa. Del resto, il fatto che quando l’uragano Katrina gli ha demolito la casa e Chi Chi ne ha costruita una nuova, tutto da solo, più o meno nella stesso punto e senza un centesimo di aiuti dal governo, ci suggerisce che forse è un tipo serio.
“Morirei e brucerei all’inferno per questo paese,” ha detto, “ma sta diventando un posto difficile in cui vivere.”
I cani di Chi Chi
Quando siamo arrivati da Chi Chi, stava facendo qualcosa sulla sua barca mentre la sua ragazza lo guardava dalla pergola con una birra. Un paio di cani da caccia erano chiusi in gabbie alla fine del molo e periodicamente delle egrette sorvolavano la proprietà. Chi Chi ha appoggiato lo stivale di gomma bianco sul bordo della barca e con la faccia rivolta al sole, ci ha chiesto cosa poteva fare per noi.
Capitan Boola
Avevamo trovato Chi Chi con l’aiuto del suo amico Capitan Boola. “Boola,” che sia il primo nome, il cognome o il soprannome, è l’unico nome che ci ha dato.
“È come Madonna,” ci ha detto. “Come fa di cognome?”
“Ciccone,” ho risposto. Ha fatto finta di non avermi sentito.
Boola lavorava come guida della zona per i pescatori, fin quando i suoi clienti non sono spariti con la notizia del disastro ambientale. Ora tira avanti portando in giro i giornalisti nelle paludi per $400 al giro. Io e il mio amico fotografo avevamo un totale di $33, sei arance e una scatoletta di fiocchi d’avena. Per fortuna però avevamo un asso nella manica—un affascinante corrispondente francese nella manica, per essere più precisi.
La mia ragazza Akasha, il nostro amico Mike, e io avevamo deciso di fare il viaggio in giù partendo da New Orleans, ma non per farci una storia. Quando però ti si accosta una macchina su una strada deserta con dentro il direttore dell’ufficio di Le Figaro di Washington DC che chiede se sei un giornalista, è difficile rispondere altro che: “Si, siamo giornalisti.”
Laure Mandeville ha coperto la Russia per quasi un decennio, inclusa la seconda guerra di Cecenia. Come molti giornalisti che lavorano in Russia, ha subito una buona dose di intimidazione dagli ufficiali, dovendo arrivare persino a nascondere le sue cassette delle interviste nell’ambasciata francese per paura che fossero rubate o danneggiate. Il suo reportage più famoso si era occupato di alcuni falsi attacchi terroristici attribuiti ai ceceni, accusati ingiustamente da agenti dei servizi segreti e membri del governo di complottare contro lo stato, il tutto ovviamente per dare alla Russia una scusa per attaccare i ribelli in Cecenia. Ha anche sentito un amico di Putin dire che Putin avrebbe persino fatto uccidere il presidente ceceno, installato peraltro da Putin stesso, in caso fosse diventato scomodo.
Quando l’abbiamo incontrata, Laure stava uscendo da una Sedan dorata per sfigati, evidentemente noleggiata, con una targa del Tennessee, e ci ha chiesto se avevamo già visto il petrolio. Noi, da alternativi, ce ne stavamo sul nostro gigantesco furgone bianco che una volta era stato il tour bus del famigerato gruppo punk di Salt Lake City, Fuck The Informer, convenientemente parcheggiato alla fine di una palude. Stavamo facendo foto ai turisti, ma dopo aver convinto Laure che eravamo tutti sullo stesso pezzo, siamo ripartiti nella catapecchia mobile a cercare uno scoop dalla gente del posto.
Non abbiamo trovato granché in giro. La guardia costiera aveva chiuso le acque per la pesca, e il mare era troppo mosso per le barche piccole e medie. I pescatori con le mani unte di olio stavano intorno ai moli preoccupati per la loro paga, e per il fatto che i metodi usati dalla BP e dal governo federale per bloccare l’olio non stavano funzionando, e che tutta quella situazione fosse solo spreco di tempo e denaro. Equipe di reporter da tutto il mondo erano in giro nei parcheggi, montando luci e cineprese in varie angolazioni drammatiche, lamentandosi del fatto che l’olio non avesse ancora raggiunto la riva fornendo loro lo scoop da fine del mondo che erano venuti a cercare.
Laure ci aveva detto che aveva un posto su una barca, e ci sembrava un’occasione da non perdere. Aveva avuto il numero di Capitan Boola e stava aspettando sue notizie. Ci siamo fermati in un edificio di vendita all’ingrosso di gamberetti per vedere se nel frattempo potevamo parlare con qualcuno.
I galli di Tuan
Il tipo che gestiva il posto si chiamava Tuan Nguyen, un immigrato vietnamita cinquantunenne. Il suo ufficio con pannelli di legno era addobbato con ritratti di galli da competizione, che razzolavano legati nel giardino di fronte. Mentre Akasha e Mike provavano a fotografare gli uccelli, Laure ed io parlavamo con Nguyen, ma una donna che guidava un carretto da golf li ha scacciati perché sullo sfondo si intravedeva una struttura della Chevron, e ovviamente fotografarla è “proibito.”
I beni di Nguyen—la ditta all’ingrosso, una casa a New Orleans—lo rendono un personaggio che suscita meno compassione dei pescatori di gamberi della zona che non hanno un GED o un Wal-Mart nelle vicinanze in cui andare a lavorare, ma infatti potrebbe anche essere messo peggio. Non ha le competenze per andare a lavorare su una piattaforma o una barca, e nessuno vuole un’attività di crostacei circondata da un mare di 10-W30. Nel bel mezzo del suo lamento sull’incertezza del suo futuro, è squillato il cellulare di Laure: era Boola. La barca era pronta, e potevamo andarci per $400. Ho detto a Laure che non avevo budget, e mi ha detto di non preoccuparmi.
Navi per la pulizia del petrolio
A questo punto suppongo Laure avesse già intuito che non eravamo dei “veri giornalisti”—del resto una certa esperienza l’aveva. Comunque le abbiamo fatto compagnia, e io ho anche fornito un servizio utile: mentre il suo vocabolario inglese, la sua pronuncia, e la sua dizione erano quasi perfette, faceva difficoltà a capire lo slang e gli accenti degli uomini di mare di queste parti. Io parlo sia il dialetto locale che l’inglese articolato a cui è abituata a DC, quindi sono stato un buon traduttore.
Un alligatore nella palude
Siamo saliti a bordo con Boola, e ci ha portato in giro per le paludi. Essendo cresciuto nel Wyoming, sono abituato agli scenari da cartolina, ma le paludi e gli emissari del delta del Mississippi sono tra i posti più belli che abbia mai esplorato. Boola ci ha portati a parlare con Chi Chi, e dopo un po’ la conversazione si è trasformata in un’invettiva contro le compagnie di petrolio e il governo.
“Obama è un po’ meglio di Bush,” ha detto Chi Chi. “Bush avrebbe dovuto essere impiccato vicino a Saddam.”
“Far parte di un partito politico è come far parte della mafia,” ha detto Boola. “E le compagnie di petrolio prendono, prendono, e non danno mai niente in cambio.”
“Fanno salire i prezzi per ‘mancanza di offerta,’ ma poi possono permettersi di buttare l’equivalente di $2 milioni al giorno di petrolio nel Golfo,” ha aggiunto Chi Chi.
Boola e Chi Chi criticano duramente i liberali dell’Idaho, i Tea Bagger dell’East Coast e gli squatter anarchici con il fondo fiduciario. Chi Chi probabilmente dovrà capire come strizzare il petrolio fuori dalla polpa di pesce, pur di far mangiare se stesso, le figlie, la compagna e i suoi cani, anche se intorno a loro il mare è nero. Boola conosce le paludi così bene che ha probabilmente un covo segreto dove ha raggruppato abbastanza trote chiazzate per bastargli un anno. Questa gente non vuole niente a che fare con il governo, e non se ne fa niente del grande business. Quando arriverà la rivoluzione, io starò dalla loro parte.
Dopo il nostro giro con Boola, che ha incluso una piccola deviazione per vedere gli alligatori, siamo tornati alla marina, abbiamo mangiato gli ultimi gamberetti della Louisiana forse per i prossimi dieci anni, abbiamo salutato Laure e ci siamo diretti in città con il furgone. Abbiamo trovato un bar pieno di campagnoli e pescatori e alcuni nervosi reporter inglesi nell’angolo. Abbiamo bevuto shot di Jell-O e qualche Budweiser e ascoltato Lil’ Wayne che pompava dal juke-box. Poi siamo tornati al parcheggio della marina, dove Akasha si è addormentata nel furgone e Mike e io ci siamo arrampicati nella coffa di un ignaro yacht al molo. Mike era un po’ in paranoia per via della filosofia o forse della sua ex ragazza o qualcosa così, e dopo averlo convinto a non saltare giù nell’acqua, e non rubare una griglia a carbone rotta da un’altra barca, alla fine siamo tornati nel nostro sgangherato camioncino e ci siamo addormentati. La mattina seguente abbiamo cucinato i fiocchi d’avena nel parcheggio su un fornello a propano, e poi abbiamo deciso di guidare “fino alla fine della strada.” Anche se era buon materiale per le foto, l’acqua che copriva la strada ci ha reso un po’ ansiosi, così abbiamo deciso di tornare all’hotel della marina per prendere un caffè. La strada però era chiusa per il corteo del presidente Obama, che stava arrivando da New Orleans per “vedere i danni” (anche se non c’era ancora traccia di olio vicino a Venice). Anche dopo aver superat l’imponente e minacciosa fila di veicoli, la polizia non ci ha fatto passare. Lo abbiamo preso come un segno che era ora di andarcene a casa, e così abbiamo fatto.
TESTO: NATHAN MARTIN
FOTO: AKASHA RABUT