FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Nuove emoji, vecchi problemi

Facebook ha cambiato tutte le sue emoji, ma il problema culturale che si portano dietro è tutt'altro che risolto.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Ieri sera stavo parlando su Facebook con amici vari quando ho sentito la necessità di inviare un'emoji sorridente a uno dei miei interlocutori, solo per rimanere interdetta e colpita dalla nuova estetica delle faccina: leggermente di tre quarti e terribilmente lucida.

Ho passato i successivi 10 minuti a premere combinazioni di tasti a caso sul computer per capire come fossero cambiate le immagini che ormai—in un certo senso—sono diventate parte integrante e imprescindibile del nostro linguaggio. Ho rinunciato in fretta, però, a tentare di scoprirlo manualmente: ho cominciato a selezionarle e inviarle una a una dal mio smartphone per vedere che aspetto avessero sulla versione web della chat (poi ho notato l'apposito tasto in basso).

Pubblicità

Quello che non ho intuito sul momento (ma solo oggi arrivata in redazione) è che Facebook Messenger non ha semplicemente "ridisegnato" le solite faccine; le 1500 nuove emoji lanciate il 1° di giugno, infatti, sono anche pensate per restituire uno spettro di generi ed etnie più ampio e inclusivo.

Bello, ho pensato. Per qualche ragione, però, la cosa mi ha anche leggermente turbata. Se partiamo dal presupposto che le emoji siano mezzo e rappresentazione del reale, è indubbio che più i suoi strumenti si specializzano, più sarà possibile costruire discorsi complessi con questa nuova presunta frontiera della comunicazione umana. Il problema e motivo del mio turbamento non è tanto il fatto che prima o poi finiremo a scrivere e leggere solo romanzi a emoji, ma che questo specchio del reale sia costretto a portarsi dietro anche e soprattutto i difetti della nostra cultura: un alfabeto ideogrammatico nato in seno alla bianca e borghese America dei colossi tech, stabilito da pochi per tanti, non è esattamente auspicio di pari rappresentazione.

Gli strumenti di espressione linguistica forniti da Facebook (e da tutte gli altri colossi Silicon Valley) sono caratterizzati, volontariamente o meno, da un tipo di diffusione di stampo imperialista: "ecco le mie emoji, non ne puoi fare a meno, e dopo anni di faccette bianche ora ti concedo addirittura qualcosa di più vicino alla tua cultura—Sono un Re decisamente generoso, non credi?"

Pubblicità

Un contagio culturale di questo tipo che passa attraverso proprio questi strumenti (i social network) sembra ridicolo, ma è esattamente ciò che sta succedendo nel mondo. Dall'India alla Russia, sono sempre più i contesti culturali che si stanno rivelando incompatibili con gli strumenti provenienti dal Nuovo Continente—Questa condizione, combinata alla stantia situazione legislativa in merito a libertà di espressione e censura, sta producendo risultati inquietanti: arresti, minacce, e guerre diplomatiche; tutto per una foto su Snapchat o un selfie su Instagram. Ovviamente si tratta di conseguenze in un certo senso ovvie e direttamente collegate alla globalizzazione accelerata da internet e dalle possibilità garantite dai social network, ma è indubbio che a questa consapevolezza vada affiancato un processo di alfabetizzazione al medium.

La domanda che nessuno si è posto è stata: come si rappresenta universalmente l'uomo?

Un cambiamento simile si era già verificato qualche tempo fa per WhatsApp, quando la app ha reso possibile scegliere il colore della pelle delle emoji e nuclei familiari non strettamente eterosessuali. Questo primo mattone democratico è stato posato all'epoca da Apple—non prima che venisse lanciata una petizione contro il razzismo implicito del linguaggio a immagini, però—e dopo poco sottoscritto da Android.

Questa volta è il turno di Facebook Messenger (già operativo su tutte le piattaforme trasversalmente, a quanto pare), che ha deciso di adeguarsi all'offerta più ampia dell'altra app (per quanto la corrispondenza effettiva delle emoji tra app diverse sia ancora in dubbio, come si evince dai commenti sull'annuncio postato su Facebook da David Marcus) e di fare anche uno sforzo extra, presentando la versione femminile di emoji che finora erano solo maschili (poliziotto e surfista, per dire). La novità è stata comprensibilmente salutata al grido di "Girl Power." Dovrebbe essere una buona notizia, eppure, ripeto, mi lascia con una sensazione strana.

Pubblicità

In principio, le emoji erano essenzialmente il prodotto di un uso alternativo della punteggiatura. Ad un certo punto della storia umana, qualcuno (di probabilmente lievemente psicotico) ha visto un sorriso in una parentesi preceduta dai due punti e ha inaugurato il potenziale geroglifico del segno alfabetico astratto. Si è trattato di una forma di arte sovversiva, se vogliamo, un modo per aggirare i limiti imposti dalla macchina (prima quella da scrivere e poi il computer) e andare oltre il significato convenzionale dei segni grammaticali per trasformarli in altro. In Giappone, questa pratica ha successivamente preso il nome di Kaomoji.

Si trattava però ancora di segni che si limitavano a mutare il proprio significato temporaneamente e in coincidenza di determinati contesti. Non erano segni nuovi, solo significati nuovi. Quando è stato introdotto lo Smiley e le prime emoji in senso proprio, siamo passati a un livello successivo della rappresentazione del reale, uno molto più costruito, molto più sofisticato. È una questione di interpretazione dell'interfaccia, se vogliamo: le emoji colmano da sole un gap di significato a cui prima (tra punti e parentesi) provvedeva la nostra immaginazione. Nel momento in cui le emoji—infine!—sono passate da smile giallognoli a figure antropomorfizzate, sono arrivati i veri problemi.

La domanda che nessuno si è posto è stata: come si rappresenta universalmente l'uomo? La risposta—frutto di millenni di pregiudizi linguistici (astratti e figurativi)—che hanno invece dato tutti, è stata: un omino palesemente caucasico.

Pubblicità

Per un sacco di ragioni, la cultura occidentale si è modellata in modo tale da ritenere la razza bianca quella di default, detentrice di una sorta di falsa neutralità. Dato che WhatsApp, Messenger e le emoji in generale sono utilizzate anche da altre parti della popolazione mondiale, ci si è giustamente lamentati del pregiudizio abbracciato da questa tecnologia, che ha cominciato a impegnarsi per "rappresentare meglio" la realtà.

L'esistenza di altro dal sopracitato omino caucasico dovrebbe essere un fatto scontato nel 2016.

Il problema con questo nuovo aggiornamento di Facebook Messenger è l'idea che ci tocca ancora una volta salutare come "esaltazione delle donne e della diversità razziale" qualcosa che in realtà dovrebbe essere la norma. L'esistenza di altro dal sopracitato omino caucasico dovrebbe essere un fatto scontato nel 2016, non qualcosa che dobbiamo sentirci finalmente grati di vedere rappresentato con un'emoji. Non dovrebbe essere una sofisticazione secondaria. Sarebbe dovuta essere lì già da un pezzo.

Nel post con cui ha annunciato l'introduzione delle nuove emoji, David Marcus ha scritto che l'aggiornamento è stato fatto per "rendere [le emoji] ancora migliori" per gli utenti, perché contribuiscono all'espressività dei messaggi che ci inviamo (che sono tantissimi, per la cronaca). Il problema è che dare spazio alle minoranze non è qualcosa che rende migliore un certo contesto, ma qualcosa che permette di raggiungere il livello di decenza umana. So che questo discorso può sembrare esagerato—in fondo, stiamo solo parlando di stupidissime emoji, di cui possiamo cambiare il significato come vogliamo, altrimenti non passeremmo il tempo a inviare melanzane e pesche a persone completamente disinteressate al magico mondo dell'ortofrutta.

Ma razza e genere non sono discorsi metaforici a cui possiamo alludere con un altro simbolo qualsiasi, ed è deprimente pensare che se stiamo festeggiando una maggiore diversità nelle emoji è solo perché non abbiamo saputo mantenere l'universalità che avevano quando erano fatte solo puntini e parentesi. Sì, ora anche Facebook Messenger è apparentemente più democratico, ma a decidere le modalità di questa maggiore uguaglianza è sempre la solita manciata di esperti di tech.

Mi unisco dunque al coro di chi aveva già benedetto con amarezza lo stesso cambiamento su WhatsApp. Mi consola solo il fatto che la mia faccina preferita in assoluto ( :3 ), dopo questo aggiornamento, non funzioni più. È tornata alla sua versione d'origine, post-umana e meravigliosamente astratta, di puro segno. Magari potrebbe diventare il simbolo di un movimento alternativo, veramente universale.