Perché gli astronauti perdono la vista nello spazio?
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Perché gli astronauti perdono la vista nello spazio?

Per capire perché gli astronauti uomini perdano la vista nello spazio, dobbiamo studiare le donne sulla Terra.

Immagina di essere in missione su Marte, e di punto in bianco non riesci più a leggere il manuale di istruzioni della nave. Un bell'incubo, direi—Negli corso degli ultimi anni, gli scienziati impegnati nello studio del corpo degli astronauti hanno fatto una scoperta inquietante: alcuni, tra gli uomini che abitano lo spazio, cominciano progressivamente a soffrire di bizzarri e inspiegabili problemi alla vista. I loro occhi si annebbiano, e si ritrovano addirittura a dover cominciare a portare degli occhiali. Un esame oculistico rivela delle strane macchie, o addirittura un rigonfiamento (o un appiattimento) nella parte posteriore dei loro occhi.

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Dieci anni fa nessuno considerava la perdita della vista nello spazio un problema; non era stata prevista in nessun modo. Oggi, con l'aumentare del numero di persone che mandiamo nello spazio per periodi di tempo sempre più lunghi, sta diventando chiaro quanto un problema del genere possa diventare serio. Molti scienziati oggi considerano la perdita di vista uno dei rischi principali dei voli nello spazio.

Il problema è che, anche se ci sono molte teorie in ballo, nessuno ha ancora una spiegazione valida del perché succeda—E del perché succeda solamente ad alcuni astronauti. Al momento, è impossibile prevedere prima della partenza chi ne soffrirà.

L'astronauta della NASA Michael Hopkins viene sottoposto a uno scan a ultrasuoni dell'occhio nel laboratorio Columbus della Stazione Spaziale Internazionale. L'astronauta dell'Agenzia Spaziale Europea Luca Parmitano lo assiste. Immagine: NASA

Un ricercatore della NASA sta giocando la sua reputazione su un'ipotesi piuttosto strana. Se ha ragione, potrebbe finalmente risolvere il mistero e cominciare a tracciare il sentiero per un nuovo tipo di terapie che possano assicurare che gli astronauti del futuro non debbano avere a che fare con questo problema. Questo percorso di ricerca potrebbe avere grandi conseguenze anche per un gruppo di pazienti sulla Terra, che al momento non hanno grandi opzioni se non portare gli occhiali.

L'idea è abbastanza bizzarra. "Quando ci abbiamo pensato la prima volta avevamo paura a doverla spiegare in pubblico," mi ha spiegato in un'intervista Scott M. Smith, a capo del Nutritional Biochemistry Laboratory del Johnson Space Center della NASA. "Ciononostante, più la studiavamo, più sembrava che fosse adatta a risolvere questo problema."

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Smith al momento sta studiando l'ipotesi che gli astronauti che sviluppano problemi di vista nello spazio si portino dietro un problema di salute direttamente dalla Terra. Smith, in realtà, sta pensando a un problema piuttosto comune: la sindrome dell'ovaio policistico, o SOPC, che colpisce circa una donna su dieci, secondo recenti stime, e dura per tutta la vita. Sta per inaugurare una serie di test clinici con la Mayo Clinic, in Minnesota, per approfondire le ricerche.

C'è solo un problema, ed è piuttosto grosso: la SOPC, ovviamente, colpisce solamente le donne. E tutti gli astronauti che finora hanno riscontrato problemi di vista nello spazio sono, be', uomini.

Nel 2009 l'astronauta Robert Thirsk ha vissuto per sei mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, diventando così il primo canadese a partecipare a una missione a lunga durata. Lui e l'astronauta della NASA Michael Barratt hanno cominciato a notare alcuni cambiamenti nella loro vista. Entrambi dottori, si sono sottoposti a uno scan a ultrasuoni (c'è una macchina per poterlo fare a bordo della Stazione Spaziale Internazionale) e hanno notato qualcosa di strano: il retro dei loro occhi si era "appiattito, come se qualcuno lo stesso premendo," come mi ha spiegato Thirsk in una nostra precedente conversazione.

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Thirsk è diventato presbite, e la condizione ha persistito anche dopo il ritorno sulla Terra, anche se i sintomi sono migliorati con il tempo. Altri astronauti hanno sofferto la stessa cosa. L'astronauta della NASA John Philips, che ha volato nel 2005, ha recentemente descritto al Washington Post come la sua vista sia calata da 20/20 a 20/100 dopo 6 mesi sulla Stazione. Anche se con il tempo è migliorato, oggi ha ancora bisogno degli occhiali.

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Da sinistra a destra: l'astronauta dell'Agenzia Spaziale Europea Frank De Winne, l'astronauta della NASA Mike Barratt, l'astronauta dell'Agenzia Spaziale Canadese Robert Thirsk, l'astronauta della NASA Nicole Stott, scattata il 30 settembre 2009. Immagine: NASA

"Molti [di coloro che soffrono di questi problemi di vista] riescono a guarire," mi ha spiegato Smith. "Altri, anche se seguiti attentamente da anni, non riescono a tornare alla normalità." Smith ha esitato a fornirmi una stima su quanti astronauti soffrano di questa condizione oggi, perché questo tipo di dati sono così nuovi e recenti che non abbiamo idea della reale incidenza della condizione. "È in corso un dibattito a riguardo," ha spiegato. "Non ho intenzione di fornire percentuali in merito."

Alcuni scienziati stanno effettuando degli esperimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale per cercare di capire cosa stia succedendo, e hanno reso una priorità questo tipo di ricerca. Per gli astronauti gli esami oculistici sono un requisito standard prima, durante e dopo il volo. Un'ipotesi piuttosto popolare vuole affibbiare la colpa al cambiamento di pressione intercranica: a gravità zero, i fluidi presenti nel nostro corpo si muovono verso l'alto e fanno pressione sul nostro nervo ottico e sul retro dei nostri occhi.

"Tutti si stanno concentrando sulla pista cardiovascolare," mi ha spiegato Smith. "Il nostro gruppo sta adottando un approccio differente." La sua ricerca mostra come i pazienti affetti da SOPC condividano numerosi sintomi in comune con questo sottogruppo di astronauti. In uno studio del 2012, per esempio, Smith ha descritto come gli astronauti che soffrono di peggioramenti alla vista abbiano livelli più alti di omocisteina nel loro sangue (un amminoacido riconosciuto come segnalatore comune di malattie cardiovascolari), un fattore riscontrato anche nelle donne affette da SOPC. Ma le sue scoperte non si fermano qui.

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Video: NASA

Il collegamento alla SOPC proposto da Smith giunge come una novità. Non sappiamo ancora molto di questa misteriosa sindrome, non sappiamo nemmeno ciò che la causi, anche se probabilmente si tratta di un mix di genetica e fattori ambientali. Viene diagnosticata alle donne fondamentalmente attraverso un processo "per esclusione," ovvero cercando di scartare ogni altra opzione possibile fino a quando la SOPC non rimane l'unica, come mi ha spiegato la Dr. Sheila Laredo, endocrinologa al Women's College Hospital di Toronto. (Non è coinvolta nel lavoro di Smith.) I dottori stanno cercando determinati segnali, come mestruazioni irregolari, un surplus di ormoni maschili e dei "grandi e visibili" follicoli sulle ovarie.

Non c'è cura, ma c'è modo di controllarla, per esempio assumendo delle pillole anticoncezionali per regolare il livello di ormoni. Ciononostante, così facendo i pazienti devono avere a che fare con problemi di fertilità.

Le donne affette da SOPC sono spesso obese, ma non sempre, spiega Laredo. E tendono a essere resistenti all'insulina, condizione che può aumentare il rischio di diabete, mi spiega—E ciò può portare a problemi di vista. "Le macchie sono collegabili a una mancanza di controllo della condizione diabetica," ha detto.

Ancora, i problemi di vista non sono, secondo Laredo, direttamente associabili alla SOPC.

Quando le ho descritto l'ipotesi di Smith sugli astronauti, Laredo è rimasta shoccata. "Non ne avevo mai sentito parlare," ha detto. "Questa teoria non è arrivata nella letteratura scientifica sulla SOPC."

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In base ai risultati del primo trial clinico, questa ipotesi potrebbe infine diffondersi.

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L'estate scorsa, Smith e il suo team hanno iniziato a studiare questo genere di connessione. Conducendo ricerche sulle caratteristiche genetiche in comune tra gli astronauti che soffrono di disturbi alla vista, hanno spulciato i casi precedenti presenti in letteratura, realizzando così "che esiste una popolazione clinica che condivide molte delle caratteristiche rilevate negli astronauti con disturbi alla vista," ha spiegato il ricercatore.

"Il gruppo di cui stiamo parlando sono le donne affette dalla SOPC," ha aggiunto Smith.

Il loro lavoro pubblicato su The FASEB Journal a gennaio, ipotizza un possibile legame con la SOPC. Nel documento, Smith e il suo team descrivono le differenze genetiche relative alla tappa metabolica a un atomo di carbonio—una caratteristica condivisa comune nelle donne con SOPC. Spiegano anche come le donne con SOPC, in maniera simile agli astronauti, possiedano livelli di omocisteina più elevati rispetto alla norma, alterazioni ormonali, lo strato delle fibre nervose retiniche più spesso, ipertensione endocranica—l'elenco potrebbe continuare ancora per un po'.

"Sebbene la SOPC, ovviamente, colpisca solo le donne, le sue manifestazioni non si limitano solo a loro," viene spiegato nel paper. "I dati mostrano che i parenti maschi delle pazienti con PCOS presentano sintomi simili ai loro e alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la PCOS possa verificarsi anche negli uomini," continua lo studio, suggerendo che la sindrome delle ovaie policistiche—questo il nome completo del disturbo—potrebbe costituire solo una conseguenza di altre disfunzioni condivise da entrambi i sessi.

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In ogni caso, in realtà, solo l'80 per cento delle donne con PCOS presenta le ovaie policistiche. Si tratta di una sindrome che non comprendiamo ancora completamente e che necessita di una descrizione adeguata.

"Qualcuno ha suggerito che anche gli uomini possono ammalarsi di PCOS, tuttavia il disturbo non gli viene diagnosticato, perché non hanno le ovaie," mi ha spiegato Smith via mail.

Solo l'11 per cento degli esseri umani che sono stati nello spazio sono donne.

Se la SOPC è relativamente comune tra le donne—con una percentuale di una donna su dieci che ne soffre—questo fa emergere un'altra questione: perché nessuna delle donne astronauta ha riportato disturbi alla vista nello spazio?

Per prima cosa, tutti gli astronauti vengono esaminati attentamente prima di essere ammessi agli addestramenti. Le donne con la sindrome dell'ovaio policistico tendono ad essere obese, o a mostrare resistenza all'insulina, quindi, è molto probabile che vengano scartate. "Questo potrebbe essere il motivo per cui non assistiamo a disturbi della vista negli astronauti donne. Le persone che potrebbero soffrire del disturbo non vengono selezionate perché i test preliminari le escludono," ha spiegato Smith.

Oltre a questo, non abbiamo spedito nello spazio così tante donne. Solo l'11 per cento degli esseri umani che sono stati nello spazio sono donne. Forse, se molte più donne raggiungessero la stazione, questi problemi comincerebbero a sorgere anche tra loro.

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"In base a questo teoria, se dovessimo spedire nello spazio le donne con la PCOS, anche loro presenterebbero questi disturbi alla vista," ha spiegato Smith.

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Presto, presso la Mayo Clinic, un team di ricercatori inizieranno a reclutare un gruppo di donne per prendere parte ad una sperimentazione clinica. Possibilmente si tratterranno di 80 donne in tutto, divise in quattro gruppi, comprese quelle affette da PCOS, da ipertensione endocranica (un aumento inspiegabile della pressione nel cranio che colpisce anche molte donne con PCOS e che causa diversi disturbi visivi) e un ultimo gruppo di donne sane per effettuare il confronto. Il team raccoglierà dati e li confronterà con il maggior numero di astronauti possibile, sia uomini che donne—nello studio di gennaio verranno già coinvolti 49 astronauti.

Ho parlato con la dottoressa Alice Chang, endocrinologa presso la Mayo Clinic e ricercatrice che collabora con Smith. Proporre lo studio alla clinica "è stato un po' imbarazzante, in quanto ricercatrice sulla PCOS, mi rendo conto che [i disturbi visivi] non siano stati al centro della nostra attenzione," mi ha raccontato. I medici studiano ogni tipo di sintomo per le donne affette dalla sindrome, dalle apnee notturne, al pre-diabete, senza soffermarsi mai sui disturbi alla vista.

A seconda di cosa emergerà da questo studio clinico, in futuro, la situazione potrebbe cambiare.

Chang ha riflettuto sul fatto che la PCOS potrebbe riguardare entrambi i sessi—"Il nome della sindrome è stata scelto in maniera fuorviante," ha dichiarato. In realtà, mi ha spiegato come questa condizione abbia più a che fare con un eccesso di ormoni simili al testosterone, i quali possono influire sulla fertilità causando gli effetti ben noti della PCOS.

Quindi, in definitiva, sì: è possibile che gli uomini possano soffrire di una qualche forma della sindrome.

La ricerca di Smith ha l'obiettivo di aiutare questi pazienti, un gruppo che nessuno avrebbe mai pensato potesse trarre vantaggio dallo studio nel momento in cui sono partite le prime ricerche sui disturbi alla vista negli astronauti.

Le pazienti affette da PCOS, nel frattempo, potrebbero aiutare gli esseri umani a viaggiare in modo più sicuro nello spazio. Proprio come gli scienziati conducono degli studi in cui dei volontari devono passare dei periodi prolungati stesi su un letto per farsi un'idea di come l'assenza di gravità influisca sul nostro organismo, ha spiegato Smith, così "riteniamo che le donne affette da PCOS potrebbero costituire ricoprire un ruolo analogo per i disturbi alla vista."

La Foto in alto: Tim Kopra della NASA, comandante della Expedition 47, prende parte ad uno studio sulla salute oculare a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Lo studio si propone di aiutare i ricercatori a comprendere i disturbi alla vista che si ritengono derivare dalla elevata pressione intracranica indotta dalla microgravità.