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La visione fantascientifica di Jimi Hendrix

"Purple Haze", ispirata da un romanzo di fantascienza, è uscita cinquant'anni fa. Fu l'inizio di un percorso che avrebbe portato Hendrix a porre una delle pietre miliari per l'afrofuturismo.

Voleva essere chiamato "Buster", il ragazzo. Non era il suo vero nome, ma a lui non importava. Buster Crabbe, il belloccio dal mento quadrato che interpretava Flash Gordon nella serie prodotta dagli Universal Studios in quegli anni, era il suo idolo. In quella serie, Flash viaggiava su una navicella spaziale verso il pianeta Mongo, dove incontrava razze aliene, risolveva problemi e abbagliava la telecamera con i suoi capelli biondi.

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Il ragazzo che si faceva chiamare Buster non era biondo. Era afroamericano e sangue Cherokee gli scorreva nelle vene. Aveva capelli ricci, denti enormi e occhi da cui traspariva una saggezza sproporzionata rispetto ai suoi anni. Viveva a Seattle, dove negli anni Cinquanta la sua povera famiglia viveva un'esistenza non proprio idilliaca. Sua madre e suo padre erano alcolisti. Litigavano spesso, e con violenza. A volte Buster si nascondeva nell'armadio mentre i suoi si gridavano contro, sperando di trovare qualche modo per fuggire sul pianeta Mongo. Lì avrebbe potuto combattere il malefico Ming lo Spietato e salvare Dale Arden, la bellissima Dale, diventando un eroe come il suo omonimo, lontano dallo squallore e dalle bottiglie rotte di casa.

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