L’apostrofo nel nome di Pi’erre Bourne è un colpo di genio. È totalmente inutile ma anche dannatamente evocativo, un momento di sospensione e tensione. Suggerisce una certa leggerezza, così come la “ö” in “Motörhead” simboleggiava rutti, sudore e distorsione. La stessa che pervade i suoi beat, modeste bordate di adrenalina piene di alti, tappeti di chiodi su cui si siedono a scrivere rime rapper come fachiri, così stimolati dai punzecchi degli hi-hat da entrare in una trance espressiva.
Il mondo si è accorto di Pi’erre grazie al suo lavoro con Playboi Carti. “wokeuplikethis*” e “Magnolia” sono state le pietre su cui i due hanno cominciato a costruire il loro impero, hit istantanee entrate immediatamente nell’immaginario collettivo della loro generazione. “Woke up to niggas talkin’ like me, talk” e “In New York I milly rock / Hide it in my sock” sono due incipit gloriosi, ma a renderli tali è anche e soprattutto il modo in cui il beat li accompagna: Bourne lancia l’ascoltatore direttamente nella loro idea centrale. È una soddisfazione istantanea, prolungata per l’intera durata del beat.
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Allora era marzo 2017 e Pi’erre veniva da qualche anno di gavetta. Nato nel 1993 da un padre arruolato nell’esercito ha vissuto un po’ in qua e un po’ in là, fino a stabilirsi in South Carolina. Ogni estate tornava però nel Queens, a New York, luogo d’origine della sua famiglia. Cresciuto ascoltando mostri sacri come Dipset e G-Unit, dopo aver abbandonato il corso di graphic design a cui si era iscritto decise nel 2014 di tentare il tutto per tutto: trasferirsi ad Atlanta per studiare musica al prestigioso SAE Institute.
Lì cominciò a lavorare a beat basandosi sulle sue due grandi passioni musicali: la old school newyorkese e le colonne sonore dei videogiochi. Un giorno, durante una battaglia di beat, un ragazzo si accorse di lui e gli chiese se gli andava di collaborare: si chiamava DJ Burn One e diventò il suo mentore. L’insegnamento più grande fu uno: “Se stai provando a fare soldi con ‘sta merda, non metterti i bastoni tra le ruote da solo con i sample”, ha dichiarato Pi’erre a The FADER. E allora restavano i videogiochi, con i loro suoni a metà tra passato e futuro, fisico e digitale.
Tramite il suo mentore, Pi’erre conobbe il suo primo collaboratore Young Nudy e ottenne un contratto come ingegnere del suono con Epic Records. Passò un anno intero in studio a lavorare e proprio il giorno in cui decise di licenziarsi per provare a esplodere come artista solista, drenato psicologicamente dai ritmi imposti dal suo contratto, ricevette una chiamata da un mostro sacro del beatmaking di Atlanta: Metro Boomin, che lo invitò a lavorare con lui, Southside e Spiffy Global.
Da lì per Pi’erre è stata solo discesa: prima la conoscenza con Carti, nata tramite il fratello di Lil Yachty, e poi il successo di “Magnolia”. In tutto questo, però, Pi’erre non ha mai smesso di fare una cosa che gli riesce piuttosto bene: rappare, con un modello ben chiaro in mente. “Voglio essere come Kanye”, ha infatti dichiarato, “Non voglio smettere di fare beat, mi piace quella roba”.
In tutto questo, infatti, Pi’erre ha pubblicato una serie di mixtape solisti su SoundCloud: si chiama The Life of Pi’erre, in omaggio a quella di Pablo, ed è arrivata al terzo volume. Il quarto dovrebbe arrivare a febbraio, ma intanto il nuovo anno ha portato sul suo profilo una sorpresa, forse il suo progetto più riuscito finora. È un mixtape collaborativo con Cardo, beatmaker di prim’ordine (nel suo curriculum ci sono lavori per Wiz Khalifa, Jay-Z, Drake, i Migos e Kendrick Lamar). Si intitola Pi’erre & Cardo’s Wild Adventure, è stato registrato interamente il giorno della scorsa vigilia di natale ed è, semplicemente, una mina.
“Motorola” è forse il brano più adatto a indicare la direzione del tape: solo nella domanda che scandisce il ritornello Bourne evidenzia tre suoi grandi modelli: ci sono le voci stirate di Kanye West, le ripetizioni ipnotiche di Carti, il prepotente senso della melodia di Yachty. Il tutto condito da giochi di parole a metà tra nerdate, stile e violenza. Un secondo Pi’erre fa un gioco di parole con i Pokémon, il successivo si chiede “Perché stanno ammazzando così tanti bambini neri?”, quello dopo paragona la sua immaginazione a quella di Walt Disney.
D’altro canto Bourne mette subito in chiaro il mood del tape: le prime parole che pronuncia sono “La mia vita è purè di patate e tutto è salsa”, felice come un bambino a pranzo la domenica dalla nonna. Poi ci butta un “Bobby Shmurda libero” e si paragona a Mosé per la “wave”, l’onda, che riesce a creare. Lo fa con una voce a metà tra carezza e mano sul culo, suadente e ammiccante come Drake sa essere, senza risultare per questo meno credibile quando invece smitraglia parole.
The Life of Pi’erre 4, annunciato nella descrizione del tape con Cardo, potrebbe essere il progetto della svolta per Bourne. La stampa americana si è già accorta di lui e lo ha ricoperto di profili e interviste, mentre in Italia la sua opera solista non è ancora stata approfondita. Cominciare a farlo è entrare nella mente ipereccitata dagli zuccheri e dai pixel di un ragazzo che ha involontariamente contribuito a definire il suono del rap dei suoi anni e che, se tutto andrà bene, continuerà a farlo ancora per un bel po’.
Elia è su Instagram: @lvslei.