Cominciamo dai fatti: i Pinguini Tattici Nucleari suoneranno al Forum di Assago il prossimo 29 febbraio. Prima di loro, altri cavalieri dell’itpop hanno alzato l’asta del microfono nel palazzetto più grande di Milano: Calcutta, i pace-all’anima-loro TheGiornalisti, Gazzelle. Il loro sbarco su quel palco, però, ha per me ancora dell’incredibile: niente di personale contro la band di Riccardo Zanotti, Elio Biffi e compagni, ma il loro grande successo resta per me un mistero.
I Pinguini non sono proprio il tipo di band che ti aspetti di vedere davanti a 12.500 persone. Forse a causa della loro immagine da eterni bonaccioni bergamaschi, anni luce lontana da quella più da figo scanzonato “à la Carl Brave”. Aggiungiamoci che non sono mai stati esaltati come “fenomeno del momento” o non hanno mai goduto dell’hype che spesso travolge molti musicisti del genere, Eppure, alla fine, i bravi ragazzi dell’Indie italiano sono arrivati fin lì. Ma come è successo?
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Non è solo una fortunata serie di album e singoli, il loro carisma o la loro simpatia, tantomeno l’aver suonato in ogni angolo d’Italia dal 2012 ad oggi, fino ad arrivare al palco del Jova Beach Party. Dopo un’attenta analisi, secondo me, il segreto del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è la loro mediocrità, ma detto senza cattiveria. Vi spiego meglio: nonostante abbiano le competenze e gli attributi per spaccare, i Pinguini si sono trovati a percorrere la strada meno battuta dell’industria musicale, ovvero quella dell’ostentata umiltà. E si sa che le cose che escono dagli schemi ma non del tutto sono quelle che, potenzialmente, fanno più rumore.
Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell’indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
Non è un caso, infatti, se il loro ultimo album si chiama proprio Fuori dall’Hype, come a voler dire a tutti noi che hei non ce ne frega niente della fama e del successo guardateci siamo fieri di essere noi stessi eccetera eccetera. Una dichiarazione contro il brutto-e-cattivo mondo dell’itpop e i suoi beceri meccanismi, come l’ossessione per i followers su Instagram, le playlist di Spotify e il fantomatico hype costruito a tavolino. Loro sono diversi e in quelle tre semplici parole del titolo hanno, molto molto in breve, espresso tutto questo.
Infatti sul loro Instagram, riferendosi alla canzone che dà il titolo all’album, hanno detto che “L’hype è un gioco pericoloso. Per noi la musica è altro. Non essere il più grande, il più forte, il più atteso, ma saper condividere le proprie debolezze. La canzone parla di questo, ed è dedicata alla musica”. Come a dire che nella gara a chi ce l’ha più lungo, loro non lo tirano fuori perché non sono interessati a questa puerile competizione—ma tra le righe lasciano intendere che vincerebbero contro tutti. E questo lo dimostrano in modo sottile, senza palesarlo, ma usando sempre l’inconfondibile ironia e sfiga provinciale che li contraddistingue. Perché mai prendersi sul serio o scadere in pose da divo del palcoscenico, perché loro sono semplici proprio come tutti noi.
Tuttavia, non è una coincidenza se proprio il loro album anti-hype per eccellenza è anche quello più “pop” e leggero, come ha dichiarato Elio Biffi a Lettera43, e quindi per assurdo anche quello più “commerciale”. Insomma, ok fottere il sistema, ma anche loro devono guadagnarsi il pane e vendere qualche album. E, come si vede, lo sanno fare molto bene. Tutto merito di un’immagine da perfetti “normali” in cui ogni ragazzo italiano di età media tra i 16 e i 30 anni si può rispecchiare. Spogli di ogni divismo rock, ma anche delle vesti da bono maledetto dell’indie, i nostri Pinguini hanno deciso di essere normali per piacere al più grande pubblico esistente—quello medio appunto.
La strategia messa in atto, per quanto probabilmente involontaria, è più complessa di quanto sembra. Non basta parlare di vita quotidiana, tematiche sociali e amore, come faceva lo Stato Sociale: bisogna anche mettere in scena tutto quell’immaginario pop che tutti amano e conoscono. In “Antartide” vengono citati Harry Potter, i personaggi di Scrubs e Gigi d’Agostino—“Ad undici anni quando eri piccola aspettavi una lettera da Hogwarts / Per dimostrare a tutti i tuoi compagni che eri tu quella diversa da loro.” In “Nonono” compaiono i Piccoli Brividi e il Festivalbar, l’apoteosi del nazionàl-popolare.
Ma qua e là compaiono anche citazioni per pochi, giusto per non deludere le aspettative di quella fascia di pubblico che, per età o per passione, non disdegna Vasco Rossi (“E ti porterei anche in America / Che ho venduto la macchina apposta” da “Monopoli”), Massimo Troisi (“Sembrava amore invece era una stronza amen” in “Sashimi”) e pure Miyazaki con la Principessa Mononoke (“Verdura”). E così, anche il pubblico dei trentenni acculturati ce lo siamo portato a casa.
Non solo tematiche popolari, ma anche il punto di vista popolare è fondamentale per la messa in scena dei Pinguini Tattici Nucleari. “Scatole”, ad esempio, parla del complicato rapporto padre-figlio che ogni generazione si è trovata ad affrontare. Il padre che vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme, il figlio che si sente incompreso da un padre che tuttavia non vuole deludere. Ma, nonostante il talento scrittorio di Riccardo, il testo è scritto con una semplicità disarmante e una penna che non lascia nulla all’immaginazione: “Lui avrebbe voluto che facessi gli studi d’architetto / Oppure da ingegnere / Ma io volevo fare il musicista”. Tutto perfetto affinché chiunque possa immedesimarsi nel testo e fare sua la canzone.
I Pinguini sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Anche l’amore in chiave Pinguini Tattici Nucleari ha lo stesso trattamento. Prendete una canzone come “La Banalità del Mare”: già il titolo ammicca a “La Banalità del Male” della scrittrice Hannah Arendt:, a chi coglie la citazione, i Pinguini stanno dicendo che non sono così coglioni come sembrano. Ci sarebbe anche tutto un parallelismo semantico tra la semplicità dell’amore contemporaneo e l’idea espressa dalla Arendt, ma tutto viene eclissato da espressioni quali “Ti prego non usciamo questa sera / Restiamo qui ad accarezzare il gatto” oppure “Con te i lunedì sanno di sabato / Non ricordo neanche dove abito”. Insomma, anche in amore i Pinguini, come dicono in “Verdura”, sono i bravi ragazzi alla Richie Cunningham, quelli che non si fanno tutta Roma a piedi per una pischella, né tantomeno le spaccheranno la faccia se non gli darà il cuore.
Ed è per questo motivo che piacciono tanto a tutti. Alle ragazze, perché pure noi ci sciogliamo per quelli un po’ imbranati e romantici, che non ti portano in America, ma almeno al cinema sì. Ai ragazzi, perché non sono una minaccia, non innescano in loro la competizione o l’invidia—anzi, sono più simili a degli amici con cui farsi una partita a biliardino al bar del quartiere. I Pinguini piacciono perché non sbandierano nessun machismo cinematografico o prodezze passionali, al contrario si vantano di essere persone normali che fanno cose normali. Quindi non generano nessun complesso di inferiorità nei loro fan, perché si immedesimano perfettamente nei loro testi.
Per non farci mancare nulla possiamo aggiungere anche i loro videoclip, sempre politicamente corretti e con l’immancabile vena (anzi, aorta) ironica che li rende simpatici anche alle nonne—chi non vorrebbe scorrazzare per il proprio supermercato di quartiere sui carrelli della spesa dopo aver guardato “Verdura”? Il video per “Fuori dall’Hype”, invece, gioca la carta emozionale, e mentre lo guardi ti domandi se per caso è partito uno spot della Apple o dell’Ikea.
A parte la comunicazione online e l’immagine da bonaccioni, un elemento fondamentale del successo dei Pinguini Tattici Nucleari è l’orgoglio provinciale. Ma potevano alzarsi al di sopra della media? Ovviamente no. E infatti non parliamo della provincia infame cantata da Massimo Pericolo o Speranza ma di quella di Bergamo, nord Italia. Ancora una volta, un paesaggio in cui regna la normalità: nessuna sparatoria, disagi sociali o difficoltà del ghetto. Solo l’innocuo nulla dell’anonimato provinciale.
Tuttavia non è una provincia di cui ci si vergogna o da cui vogliamo scappare con la mente, come faceva Vasco Brondi quando fantasticava di scappare da Ferrara e Ravenna sulle astronavi. Anzi, i Pinguini si fanno paladini dell’orgoglio di provincia, incarnando la genuinità del mondo bergamasco e sbandierando il Pota Power. Il video per il brano “Le Gentil” è forse l’esempio più rappresentativo: nell’intro, infatti, uno scienziato si rivolge al pubblico in bergamasco e alla fine del suo monologo svela il soggetto del suo discorso—la pota appunto. Sotto questo video sono molti i commenti dei fan della prima ora che ringraziano la band per l’omaggio al dialetto, che effettivamente non è molto in voga nella scena indie.
Insomma, l’idea che danno i Pinguini Tattici Nucleari è che sono arrivati al successo, senza volerlo, e forse senza nemmeno accorgersene. Se la loro immagine di bravi ragazzi anonimi della provincia bergamasca sia costruita al tavolino o no, resterà per noi un mistero. Ma quel che è certo è che con la loro banalità, i loro sorrisi sinceri e vestiti come se fosse ancora la mamma a comprargli le camicie, hanno conquistato il grande pubblico, dai ragazzini ai trentenni, dalle mamme agli ascoltatori più esigenti. Aveva ragione Lucio Dalla a dire che l’impresa eccezionale è essere normale, perché, in effetti, alla fine ti porta fino al Forum di Assago.
I Pinguini Tattici Nucleari suoneranno a febbraio 2020 al Mediolanum Forum di Assago a Milano.
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