“In questa microscopica parte della Sicilia si produce una percentuale piccola ma significativa (0,25%) del pistacchio prodotto nel mondo”
Quante volte avete mangiato un gelato al pistacchio e, nel farlo, quante volte siete stati davvero sicuri che quel pistacchio venissa da Bronte? Ogni volta che vedevo la scritta “pistacchio di Bronte” mi domandavo sempre dove fosse situata questa città mitologica da cui magicamente arrivavano tutti pistacchi di tutta Italia. E subito dopo mi spuntavano in testa altre mille domande: da dove crescono i pistacchi; è una piantina bassa; com’è il frutto fresco?
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Quando mi sono messo alla ricerca di specialità enogastronomiche per la III tranche del progetto Va’ Sentiero, mi sono imbattuto, alle pendici dell’Etna, nel comune di Bronte: non potevo farmi scappare l’occasione di rispondere alle mie domande. Appena superato il cartello “Benvenuti nel territorio di Bronte” iniziano a vedersi ai lati della statale numerose piante dalla forma disordinata. Sembrano fichi ma sono più esili, i rami sembrano cadere verso terra per poi risalire alle estremità. Non possono essere nient’altro che piante di pistacchio.
La storia di Bronte è abbastanza recente. Infatti è soltanto intorno al 1500 che i piccoli agglomerati vennero riuniti sotto la stessa “universitas” da Carlo V d’Asburgo. Un’altra chicca storica del paese del pistacchio è quella legata ad Horatio Nelson: il famoso ammiraglio, che contribuì alla caduta di Napoleone, fu nominato I Duca di Bronte dal Re Ferdinando a seguito della repressione della neonata Repubblica Partenopea.
Ancora oggi intorno all’Etna sono numerose le storie legate ai discendenti dell’ammiraglio Nelson e dei suoi luogotenenti. E forse proprio grazie alle proprietà inglesi il pistacchio cominciò ad essere coltivato in maniera estesa. Infatti è soltanto nella metà dell’Ottocento che la produzione di pistacchio cominciò a farsi intensiva e il pistacchio cominciò ad essere esportato in tutta Europa.
Probabilmente le prime piante arrivarono in Sicilia con i romani, ma fu grazie agli arabi che iniziò la coltivazione del frutto.
Ad attenderci a Bronte con il suo pick-up,c’era Raffaele Liuzzo: chioma fluente e cerchi alle orecchie, dopo aver viaggiato per il mondo è tornato nella sua città natale come guida naturalistica. Raffaele ci spiega che probabilmente le prime piante arrivarono in Sicilia con i romani, ma fu grazie agli arabi che iniziò la coltivazione del frutto.
Molte delle parole siciliane legate all’agricoltura vengono proprio dall’arabo: come gebbia, la cisterna d’acqua, o saja, il canale dell’irrigazione. Mentre i romani si concentrarono soprattutto nello sviluppo cittadino, la dominazione araba contribuì moltissimo allo sviluppo della coltivazione nelle campagne.
“Il territorio scosceso e impervio non rendeva facile l’agricoltura. Anche per questo i prezzi del pistacchio di Bronte sono così alti.
Raffaele ci guida verso “u locu”, ovvero il pistacchieto. Arriviamo vicino ad un alto conetto vulcanico laterale, nel pistacchieto di Giuliano Benvegna che, tra una scultura e l’altra, si occupa dei pistacchi che trent’anni fa il padre decise di piantare. Ci troviamo nel versante Nord-Occidentale dell’Etna. Ogni versante del vulcano ha una caratteristica propria: a Nord-Est la produzione di vini, più a Sud quella degli agrumi e delle nocciole, e qui quella del pistacchio. Questi territori così aspri hanno cominciato ad essere sfruttati soltanto in tempi recenti.
Infatti, anche se sempre si è coltivato alle pendici del vulcano, il territorio scosceso e impervio non rendeva facile l’agricoltura. Anche per questo i prezzi del pistacchio di Bronte sono così alti: vanno dai trenta ai cinquanta euro al chilo). Ci spiega Giuliano: “Qui non è possibile fare una raccolta meccanizzata. Il terreno è impervio e ogni anno siamo alla ricerca di un piccolo spazio per piantare una nuova pianta”.
Negli ultimi decenni si è cominciato a sfruttare sempre di più le preziose caratteristiche dei terreni vulcanici, in grado di dare vita a prodotti unici. Oggi i pistacchieti si estendono per ben 3822 ettari, con una media di produzione di 1000 chili ad ettaro. In meno di vent’anni si è passati da una produzione di circa 2000 tonnellate fino a oltre 3800 tonnellate. Il pistacchio di Bronte è stato soprannominato l’Oro Verde di Bronte e la sua produzione contribuisce notevolmente al reddito dell’area: sono presenti circa cinquemila aziende che richiamano ogni anno ben diecimila lavoratori.
Pensate che in questa microscopica parte della Sicilia si produce una percentuale piccola ma significativa (0,25%) del pistacchio prodotto nel mondo. L’Italia si assesta come settimo produttore mondiale e la sua produzione è svolta per il 90% a Bronte, ma nel nostro paese si importano circa diecimila tonnellate di pistacchio dall’estero. A guidare la produzione mondiale sono Iran e Stati Uniti che producono il 70% del milione di tonnellate che si producono al mondo.
Ma la vera fortuna di questo territorio non è il pistacchio, bensì un’altra pianta: il terebinto. La Pistacia terebinthus è una pianta selvatica della macchia mediterranea su cui viene innestato il pistacchio. La pianta, della stessa famiglia del pistacchio, si trova benissimo a crescere nei terreni aridi e riesce a vivere in mezzo alle rocce. Il terebinto, che dà vita a dei piccolissimi frutti simili al pistacchio, è un perfetto portainnesto: grazie alla potenza del suo apparato radicale permette la coltivazione del pistacchio tra gli aspri terreni vulcanici.
La pianta produce i frutti ogni anno, alternando un normale processo di carica e scarica, ma chi si occupa di pistacchiocoltura nell’anno di scarica fa cadere tutti i germogli cosicché la pianta torni a riposo
Facendo attenzione a non urtare il “jumbo” (grappolo in dialetto) in crescita, delicato e colloso, arriviamo fino ad una galleria lavica — un tunnel creato dalle vecchie colate laviche dove la parte esterna si solidifica mentre la lava liquida continua a scorrere all’interno — sopra cui crescono imperterriti i pistacchi. Un albero può produrre un quantitativo variabile di prodotto che va dai dieci ai venticinque chili all’anno, toccando punte di produzione di trenta kg. Nell’anno di carica si cominciano a intravedere i piccoli pistacchi che crescono. La raccolta viene fatta ogni due anni, sempre negli anni dispari.
La pianta produce i frutti ogni anno, alternando un normale processo di carica e scarica, ma chi si occupa di pistacchiocoltura nell’anno di scarica fa cadere tutti i germogli cosicché la pianta torni a riposo. Questo processo non è legato solo a massimizzare la produzione, ma soprattutto a mantenere sotto controllo la cosiddetta “mosca” che depone le uova all’interno del frutto. L’anno di scarica serve a far sì che la mosca non si riproduca. Giuliano ci spiega che alcuni produttori hanno tentato di cambiare questa tradizione, raccogliendo anche nell’anno di scarica: “È stato un disastro, perché la mosca si è moltiplicata in modo tremendo”.
“La coltivazione del pistacchio ha qualcosa di unico: la raccolta si fa ogni due anni, ma la pianta ha bisogno di costanti attenzioni”
La raccolta avviene tra agosto e settembre. Raffaele ci racconta quando da piccolo veniva nel pistacchieto di Giuliano per la raccolta: “Immagina che a fine agosto, qui, è un caldo pazzesco: la pietra nera assorbe il calore, il sole sopra che picchia e, soprattutto, la colla prodotta dalle piante che ti si attacca addosso. Era un inferno.” Il momento della raccolta è quando il frutto — dalla forma ovale e allungata poco più grande del classico pistacchio — arriva ad un colore rosa-biancastro.
Sotto gli alberi vengono messi i teloni e i rami vengono scossi con pettini elettrici, come quelli usati per la raccolta delle olive. I frutti interi, ricoperti dal mallo, vengono raccolti per essere portati in casa e per essere “sgrollati”, ovvero si toglie il mallo (che viene usato poi come fertilizzante). Vengono poi stesi in un grande piano di cemento dove avviene la prima essiccatura al sole. La durata di questo processo è variabile, dipende dal meteo, dai tre a più giorni. Quando il pistacchio è maturo dentro il mallo la conchiglietta ha già la forma classica, leggermente aperta.
Quella di Giuliano è una produzione familiare, come la maggior parte di quelle di Bronte. La sua azienda non riesce ancora a lavorare il prodotto grezzo per metterlo in vendita — di questo se ne occupano tre o quattro grandi aziende del luogo. La coltivazione del pistacchio ha qualcosa di unico: la raccolta si fa ogni due anni, ma la pianta ha bisogno di costanti attenzioni, perché il terebinto è sempre all’agguato per riprendersi il suo spazio.
Abbiamo trovato qualcosa di unico anche in Raffaele e Giuliano, due ragazzi che, anche attraverso il pistacchio, hanno deciso di scrivere la propria storia alle pendici dell’Etna. Giuliano ormai vive a stretto contatto con i pistacchi, nella casa baronale con gli affreschi degli anni ’20 che è diventata il suo laboratorio di scultura. Ci sembra una sorta di guardiano dell’Oro Verde di Bronte.
Da ora in poi, quando mangerò un gelato al pistacchio, non potrò fare a meno di pensare a loro, al duro lavoro degli agricoltori di Bronte e al miracolo di questa pianta che cresce negli aspri terreni vulcanici.
P.S. Se stanotte sognate il pistacchio significa che avete dei sogni mal custoditi, ma potete giocarvi il numero 82.
Va’ sentiero è un progetto sperimentale di documentazione del Sentiero Italia, l’alta Via più lunga al mondo. Da maggio 2019 un team di ragazzi e ragazze sta percorrendo a piedi tutte le montagne italiane, fotografando, filmando e raccontando i paesaggi, i territori e le persone che vivono lungo la spina dorsale del nostro paese.
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