Ogni cosa ha un lato oscuro — anche la pizza.
Cinque anni fa, John “Johnny Pizza” Porcello è stato arrestato e condannato per traffici illeciti nella più grande retata antimafia nella storia dell’FBI.
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Porcello, che al tempo venne descritto come “un duro fuori, ma un bravo ragazzo dentro” da una rivista specializzata in pizzerie, era il proprietario di una pizzeria del Bronx, e il presunto complice della famiglia mafiosa Genovese. Johnny Pizza alla fine si dichiarò colpevole di strozzinaggio, e ricevette una multa da 15.900 euro.
Nonostante le sue pizzerie non siano mai state direttamente implicate in nessun crimine, i suoi reati – così come il suo soprannome, Johnny Pizza – riportano alla mente un periodo in cui pizza e criminalità si intrecciavano spesso.
Con l’arrivo negli Stati Uniti di quasi 4 milioni di immigrati italiani all’inizio del ventesimo secolo, sbarcò anche quello che sarebbe poi diventato uno dei cibi più diffusi in America: la pizza. E con la pizza, arrivò anche una forma alternativa di negoziazione — quella radicata nei codici della Sicilia rurale, che poi si evolverà nella versione americana di Cosa Nostra.
Negli anni, questi due beni d’importazione italo-americani si incroceranno di tanto in tanto, raggiungendo il picco durante il processo sulla Pizza Connection del 1987, quando un giovane pubblico ministero di nome Rudolph W. Giuliani smascherò una vasta organizzazione criminale che coinvolgeva una dozzina di pizzerie del nord America.
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Usando le pizzerie come copertura, i membri della mafia siciliana negli Stati Uniti furono in grado di importare circa 750 chili di eroina (per un valore, al tempo, di 1.4 miliardi di euro) tra il 1975 e il 1984. Il processo si trascinò per quasi due anni e fu uno dei primi a stabilire una chiara, incontestabile connessione tra la mafia siciliana, che lavorava la morfina turca a Palermo, e la famiglia criminale Bonanno a New York, che gestiva la distribuzione in tutto il nord America.
Antonio Nicaso è un esperto di crimine organizzato autore di numerosi libri, tra cui Made Men: Mafia Culture and the Power of Symbols, Rituals, and Myth. Ho parlato con Nicaso delle connessioni storiche tra gli impasti della pizza e il crimine organizzato, per capire meglio come delle semplici pizzerie potessero tenere in vita operazioni di narcotraffico da miliardi di dollari.
“Lo puoi fare con ogni tipo di ristorante,” spiega Nicaso. “All’epoca era più semplice comprare una pizzeria e usarla per fare soldi e vendere eroina nel retro. C’erano persone che venivano per la pizza e persone che venivano per l’eroina. Le pizzerie erano legate alla famiglia criminale dei Bonanno, la più “siciliana” delle Cinque Famiglie – quella più violenta e più legata alla Sicilia.”
Nonostante la complessità delle reti del caso Pizza Connection, trasformare una pizzeria in un’impresa criminale era relativamente semplice, secondo Nicaso; quello che serve è qualche pizza, un po’ di droghe, e delle basi di contabilità creativa. “Una pizzeria può essere un buon modo per riciclare soldi. Immagina di possedere una pizzeria: se un mafioso o un suo complice ne avessero una, a fine giornata potrebbero produrre scontrini falsi, perché la gente paga soprattutto in contanti.”
“Quindi se hai 200 clienti al giorno, un contabile può falsificare le ricevute e dire che ce ne sono stati 500. E i soldi che non fai vendendo pizza, li puoi mettere nel cassetto vendendo eroina o droghe e pagando le tasse. In pratica, è uno dei modi più semplici per riciclare denaro.”
Ma le pizzerie non sono erano un ottimo metodo per il riciclaggio. La grande richiesta di pizza a domicilio metteva a disposizione una rete di distribuzione che poteva essere usata per il narcotraffico. “La strategia non era solo conveniente a livello economico, per il riciclaggio. Ma portava anche il vantaggio di avere una rete di distribuzione pronta, per via delle consegne a domicilio,” secondo Nicaso.
“Con le consegne puoi distribuire pizza e eroina allo stesso tempo, perché la rete è già in piedi. Era uno stratagemma creativo per gestire l’eroina e il riciclaggio, con la copertura di un business legittimo. Alla fine, avevano praticamente il monopolio dell’eroina in nord America, grazie alle relazioni che avevano con il Canada. La Pizza Connection, poi, si estese fino a Windsor, in Ontario.”
Nonostante gli sforzi dell’FBI, il processo alla Pizza Connection non sembrò ridurre la domanda di eroina dei clienti americani – e nemmeno la voglia di pizza. A meno di dieci anni di distanza, si scoprì che la pizzeria Famous Original Ray’s Pizza sulla Third Avenue, vicino alla 43esima, era “il quartier generale di un importante giro di droga” e se ne stava in combutta con una macelleria e un bar di Brooklyn, in una rete che muoveva “decine di migliaia di dollari” di cocaina e eroina a New York, secondo le autorità federali.
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Per i mafiosi, tuttavia, l’interesse per le pizzerie andava al di là del semplice riciclaggio e del narcotraffico. Non molto tempo dopo l’arresto di “Johnny Pizza” nel 2011, il Village Voice, con una citazione dal libro Vicious Circles: The Mafia in the Marketplace dello scrittore Jonathan Kwinty, suggerì che anche un certo Al Capone avrebbe avuto una certa influenza sulla cucina newyorkese, al pari di un rinomato ristoratore.
Nel suo libro, Kwinty ricorda di come il boss dell’epoca del Proibizionismo, Al Capone, avrebbe imposto ai pizzaioli di comprare un formaggio più filante e meno acquoso dalle sue fattorie vicino Fond du Lac, in Wisconsin, invece della “vera” mozzarella che veniva prodotta a New York, e precisamente a Brooklyn, dai residenti napoletani. Quelli che non compravano il suo formaggio del Midwest venivano colpiti da bombe incendiarie — o almeno così si racconta nella mitologia mafiosa.
Per rispetto a pietre miliari di New York come Lombardi, Patsy, e John, la banda di Al Capone a Chicago avrebbe permesso a alcune pizzerie storiche di continuare a usare la vera “moozadell“, a patto però che non vendessero pizza al taglio. Secondo Kwinty, è questo il motivo per cui John’s Pizzeria su Bleecker Street espone ancora un cartello con scritto “Niente pizza al taglio”.
Sono andato a parlare con il manager di John’s Pizzeria, che però ha affermato di non conoscere i dettagli di questo “vecchio sistema.” Così, mi dato il contatto di un certo Scott Wiener. “Lui avrà tutte le risposte,” mi dice.
Wiener è proprietario degli Scott’s Pizza Tour; è uno “storico” della pizza, detentore del record mondiale per la più grande collezione di scatole per la pizza a domicilio, e un folle appassionato del prodotto culinario italiano. Wiener, che ha letto il libro di Kwinty, ha confermato la veridicità di gran parte delle informazioni in esso contenute.
“Joe Bonanno [che fu il capo della famiglia mafiosa dei Bonanno per tre decenni, ndr] era uno dei proprietari di una compagnia chiamata Grande, che è poi l’azienda di formaggi di Fond du Lac, in Wisconsin. Il formaggio Grande è ancora in commercio, ma non è più affiliato alla mafia.”
In passato, però, la Grande non aveva paura di usare una particolare strategia di vendita, spiega Wiener. “I proprietari di pizzerie ricevevano telefonate dai distributori che dicevano, ‘Hey, in caso il vostro attuale fornitore di formaggio non potesse rispondere al vostro ordine, qui c’è il numero di un’altra compagnia!’ E di sicuro, gli uffici del fornitore concorrente avrebbero preso fuoco. Quindi era un po’ come dire, ‘Oh, che strana coincidenza!’ C’erano sicuramente dinamiche simili in passato, di pari passo con il pizzo per i piccoli imprenditori.”
Wiener comunque non crede alla leggenda del cartello “Niente pizza al taglio”. “Dicevano che il formaggio non acquoso era della mafia e che se usavi il formaggio fresco, potevi solo vendere a fette. Ma molti di questi posti, come John, usano il formaggio non acquoso. Non ha molto senso. La ragione per cui la maggior parte di questi posti non vende al taglio è perché usano un forno a carbone, che brucerebbe qualsiasi fetta messa a riscaldare.”
“Niente pizza al taglio” a parte, Nicasio ha confermato i punti principali del libro di Kwinty. “Al Capone è stato uno dei primi a imporre certi tipo di formaggio e altri ingredienti ai pizzaioli,” dice, aggiungendo che questo modo di piazzare i prodotti esiste ancora oggi.
“Una volta chiedevano alle pizzerie di pagare il pizzo ogni mese,” dice Nicasio. “Ma le ultime investigazioni hanno mostrato che adesso, invece di chiedere i soldi per la protezione in Canada e negli Stati Uniti, chiedono ai ristoratori di usare i loro prodotti — pomodori, formaggio, vino, pasta e caffè. L’ultima indagine di Legambiente, che tiene sotto controllo il crimine alimentare, ha scoperto che le organizzazioni criminali sono sempre più coinvolte nella cosiddetta agro-mafia.”
Al Capone una volta disse: “Sono come tutti gli altri uomini. Tutto quel che faccio è rispondere a una richiesta.” E se la recente emergenza dell’agro-mafia ci dice qualcosa, è che saremo sempre in balia di uomini come Al Capone, finché continueremo a riempire i nostri vuoti con alcol, droghe e pizza.
Questo articolo è apparso originariamente su Munchies.
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Foto in apertura di Davis Staedtler su Flickr in Creative Commons.