sosia sainte lucie
L'autrice, vestita come la persona ritratta nell'opera Sainte Lucie di Pierre et Gilles. Foto: Gianvito Cofano (vai in fondo per vederla meglio).
Cultura

Il viaggio alla ricerca della mia misteriosa sosia, ritratta in un quadro religioso

Questa storia inizia con un quadro comprato per 20 centesimi e finisce con una modella apparentemente scomparsa dalla scena pubblica.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Un giorno di fine ottobre mi arriva un messaggio su Instagram da un amico. “Sei forse tu la santa ritratta?” recita il messaggio, accompagnato dallo screenshot di un piccolo quadro messo in regalo (per la simbolica e scaramantica cifra di 20 centesimi) su un gruppo Facebook. Il quadro rappresenta Santa Lucia, con tanto di piattino porta occhi, e mi somiglia in modo impressionante

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Certa di non aver mai posato per un ritratto simile—e convinta che si tratti di un dipinto antico—decido di imbarcarmi in un’indagine sulla mia sosia. Non sapevo ancora, in quel momento, che avrei dato la caccia a una musa misteriosa.

Mentre aspetto che mi accettino nel gruppo Facebook dove il quadro viene offerto per 20 centesimi, il mio primo pensiero è che quella ritratta sia la mia antenata Rosa, da cui ho ereditato il taglio di occhi, ma di cui ho solo un paio di fotografie da ragazzina, perché da adulta era solita bruciare il suo volto con una sigaretta in ogni scatto. Scrivo ai miei zii paterni chiedendo se, per caso, la bisnonna Rosa avesse avuto un amante pittore. Mi rispondono che non ne hanno idea, ma concordano che Santa Lucia e io siamo due gocce d’acqua.

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L'annuncio originale con il ritratto di Santa Lucia regalato su un gruppo Facebook di Milano. Screenshot dell'autrice

In tutta onestà, non è la prima volta che trovo (o ricevo segnalazione di) una mia sosia. Mi è stato detto che somiglio a un’attrice della serie Desperate Housewives, a una di Pretty Little Liars, e quando anni fa ho incontrato a un concerto in spiaggia il cantante Joshua Radin, ci ha tenuto a dirmi “somigli un sacco alla mia amica Sara Bareilles,” a sua volta cantante.

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Un sacco di persone, del resto, si sentono dire di avere sosia. “Per sosia si possono intendere cose diverse, ma di base è una persona che somiglia nel fisico a un’altra tanto che possono essere scambiate l’una per l’altra, l’una al posto dell’altra. Un doppio che si raddoppia di continuo,” mi spiega per email Franco Riva, Professore Ordinario di Filosofia all’Università Cattolica di Milano. “Il sosia mette in atto somiglianze che arrivano a toccare l’identità e, allo stesso tempo, differenze che impediscono di confondersi,” prosegue. “Proprio per questo il meccanismo del sosia vive al limite: tra un altro che sembra sé, ma anche un sé che pare un altro,” generando un senso di turbamento. “Nel turbamento del sosia si agitano culture e convinzioni, prima fra tutte quella dell’unicità di ogni persona. A inquietare, soprattutto, è che qualcuno ci somigli fisicamente al punto da poter essere scambiati per lui, e viceversa. Due persone uniche per lo stesso corpo, o due corpi per la stessa anima? Chi decide dove inizia e dove finisce il sosia?,” spiega Riva.

Il turbamento, poi, non fa che ampliarsi quando il soggetto somigliante è—come nel mio caso—una raffigurazione religiosa. “Anzi, forse si innalza all’ennesima potenza,” specifica Riva. “Ciascuno si considera in certa misura una persona più o meno morale, più o meno credente. Se il sosia incarna un nostro contrario—un disonesto se siamo onesti, un credente se non si è credenti—il turbamento cresce per forza. Figuriamoci quando, di fronte al sosia, si diventa santi o si diventa diavoli—a maggior ragione pensando che anche noi siamo, a nostra volta, sosia del santo o del diavolo.”

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Quattro giorni dopo la mia richiesta, il gruppo Facebook finalmente mi accetta. Sotto il post del quadro ci sono molti pretendenti, tra cui l’amico che mi aveva segnalato l’opera, appostato lì nel tentativo di bloccarla in mia vece. Rassegnata al fatto che il quadro sia ormai tra braccia altrui, provo comunque a scrivere alla proprietaria iniziale. Incredibilmente, mi risponde che è ancora disponibile e prendiamo appuntamento: il giovedì successivo ci troviamo sotto casa sua e avviene lo scambio. Anche lei resta colpita dalla somiglianza e io tento di darle 10 euro, spiegando che voglio almeno offrirle una bevuta simbolica alla mia salute. Lei rifiuta, sostenendo che è davvero solo scaramanzia e 20 centesimi bastano. Ha trovato il quadro anni fa in un mercatino dell’usato, e ora semplicemente non sa più dove metterlo. Nascosto dentro la cornice, specifica, c’è anche un “Gesù femmineo.”

Durante il viaggio di ritorno noto che il quadro è sicuramente una stampa e non un dipinto originale. Arrivata a casa, incontro la mia vicina—che è un’artista visiva e fotografa—e le mostro il tesoro: anche lei rimane stupita della somiglianza. “Non credo proprio sia un dipinto,” dice però, osservandolo. “Sembra un Pierre et Gilles.” La guardo confusa e lei prende un libro da casa sua e me lo porge: è un catalogo di opere di una coppia di fotografi francesi—Pierre Commoy e Gilles Blanchard, appunto—che dalla fine degli anni Settanta in poi ha ritratto persone più o meno famose in set fotografici spudoratamente kitsch, con atmosfere sacre, profane, erotiche e queer. Apriamo la cornice e direttamente dietro a Santa Lucia c’è effettivamente un’altra loro opera, che non è un “Gesù,” bensì un ritratto glam di San Sebastiano. 

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“Sai cosa significa, vero?” mi chiede la vicina, mentre io, di nuovo, la guardo confusa. “Significa che puoi rintracciare la modella, che esiste di certo una modella, fotografata qui in carne e ossa,” spiega, paziente.

Il lavoro artistico stesso di Pierre et Gilles si muove, in un certo senso, nel reame del turbamento. "Creiamo immagini che mescolano realtà, vita quotidiana, sogni e fantasie,” aveva spiegato Gilles in un’intervista pubblicata nel 2014 su i-D. Lavorano a mano, senza ritocco digitale: Pierre si occupa dello scatto, Gilles del ritocco pittorico. “Un’immagine richiede molto tempo,” specificava Pierre nella stessa intervista. “Prima riflettiamo sul tema e mettiamo in pratica un’idea, creiamo uno sketch, scegliamo la persona che farà da modella, scegliamo la scena e costruiamo il set.”

Cercando su Google “Pierre & Gilles Sainte Lucie,” trovo subito conferma dell’ipotesi di paternità su un sito di aste d’arte. La stampa cromogenica originale, che misura 101,5 x 85,5 centimetri, è stata realizzata dal duo di fotografi nel 1989 (che, altra buffa coincidenza, è l’anno in cui sono nata) e ritrae in panni religiosi la modella e attrice Bernadette Jurkowski. Un’altra ricerca online mi svela che Jurkowski è stata una musa dello stilista Karl Lagerfeld e le fotografie presenti negli archivi di agenzie di moda smentiscono un po’ la nostra somiglianza (o, diciamo, mettono ben in chiaro perché il suo lavoro fosse fare la modella e il mio, ahem, no). 

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Jurkowski ha anche recitato con ruoli minori in alcuni film, l’ultimo dei quali sembra essere Hamlet, una trasposizione in chiave moderna dell’Amleto di Shakespeare, risalente al 2000. Sul portale IMDB il suo nome compare associato anche a titoli dei primi anni Duemila, con ruoli però non attoriali, ma da costumista o make up artist. Non riesco però a trovare opere più recenti, né qualsivoglia informazione di contatto o suo profilo social.

Decido di scrivere ai fotografi, per sapere di più sull’origine dello scatto e, magari, anche qualcosa di più su Jurkowski—ma purtroppo non rispondono ai miei molteplici tentativi di contatto, lasciando aperte le mie domande.

Bernadette Jurkowski, ritratta dal fotografo americano David Seidner nel 1995. Immagine via: Pinterest / International Center of Photography

Il fascino che proviamo per i sosia—l’idea che esistano perfetti sconosciuti che ci somigliano in modo impressionante—è sicuramente profondo, comune e parecchio antico. Il termine in sé deriva da una commedia latina di Plauto, in cui il dio Mercurio assume le fattezze di un servo, chiamato appunto Sosia. Durante il Romanticismo la figura letteraria del gemello cattivo imperversava (ed è stata poi ampiamente sfruttata in cinema e serie TV, da The Prestige a Vampire Diaries); oggi è diffusa la teoria per cui ogni persona avrebbe sette sosia nel mondo (e la scienza, in questo senso, è più una questione di statistica che di genetica), ed esistono siti che permettono di trovare propri sosia caricando una foto. Infine, l’associazione per somiglianza di persone famose a personaggi vissuti in epoche precedenti (detta anche cronopareidolia) è un meme che non stanca mai di stupire. Esempi tra tanti sono la pagina “Keanu Reeves is immortal”—dove l’attore viene identificato in un quadro del Cinquecento e uno dell’Ottocento—, o la somiglianza tra Adam Shulman (marito dell’attrice Anne Hathaway) e Shakespeare: come riporta questa specifica teoria, il bardo era peraltro sposato con una donna di nome Anne Hathaway, che, in punto di morte, avrebbe promesso di amare anche nella vita successiva.

Il viaggio alla ricerca della mia misteriosa sosia non si è concluso come speravo—eppure, forse, è meglio così. L’incontro con un sosia genera domande esistenziali, come “il sosia è fuori o è dentro di noi? O entrambe le cose insieme?,” mi spiega Riva, e non sapere fino in fondo la storia di Jurkowski mi permette di crearne una tutta mia. A chiunque noterà il suo ritratto, ora appeso in casa mia, dirò che sì, sono proprio io—quando ero santa, in un’altra vita.

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L'autrice del pezzo, vestita come la persona ritratta nell'opera Sainte Lucie di Pierre et Gilles. Foto: Gianvito Cofano