Tutto quello che poteva esserci di sbagliato in quegli spaghetti, c’era: stracotti, gommosi, croccanti. Eppure non riuscivo a smettere di mangiarli.
Raramente ti imbatti in ristoranti difficili da definire. Quelli che fanno a modo loro, senza curarsi di regole e preconcetti. Ma capita. E ultimamente ho avuto la fortuna di visitarne uno: Podere Belvedere a Pontassieve, nel Chianti Rufina, in Toscana.
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Arrivato in un podere in mezzo al nulla, circondato da galli completamente neri, mi hanno accolto lo chef Edoardo Tilli e la maître e sommelier Klodiana Karafilaj: Podere Belvedere è il loro mondo dal 2009 e in questi quattordici anni si sono spinti sempre un po’ più in là, col cibo, il vino e il servizio.
Sarò sincero: non avevo assolutamente idea di cosa aspettarmi una volta seduto a quella tavola, in una sala che una volta era la cucina del podere. Il punto da tenere bene a mente prima di cominciare è che Edoardo Tilli qui fa tutto. Ma tutto, eh. Si produce salumi, spacca in quarti le bestie, fermenta tutto, dialoga con i produttori e i cacciatori locali, crea ricette fuori di testa.
Tra le varie cose che Edoardo fa c’è appunto quella di scardinare sapori diciamo così “precostituiti”, usare consistenze definibili come “stravaganti”, e soprattutto servire le portate con un ordine che decide lui. Non il solito antipasto-primo-secondo-dolce insomma: “Mio nonno diceva che alla fine è uguale: in pancia si mescola tutto.”
Ovviamente la filosofia dietro l’uscita dei piatti non è solo quella del nonno. Non vengono serviti a caso, l’ordine è solo apparentemente casuale e trova un suo senso alla fine. “Mi piace definirla cucina libera,” mi spiega Edoardo Tilli tra una portata e l’altra. “Volevo che fosse schietta, scevra da riferimenti stilistici che la definiscano e verace, senza pormi mai dei limiti.”
Questo si è tradotto in tre menu, dal più semplice a livello di sapori a quello che comprende di tutto: Vixit (100 euro); Fieri (130 euro); Omnia (190 euro). Ero lì ospite per provare e, come potete intuire dai food tour massacranti, se mi ci metto mangio senza sosta. Edoardo Tilli e Klodiana Karafilaj mi hanno fatto arrivare di tutto.
Il botto è arrivato già dall’inizio, con un brodo di gallo nero frollato 60 giorni cotto su una pentola di coccio su brace e salato con garum di pollo arrosto, mentre sul fondo della tazza giaceva un uovo di quaglia marinato in stile giapponese. Ho capito subito che sarebbe stata una cena molto divertente.
Sono seguiti amuse bouche a raffica, tra olive finte fatte con kefir e marmellata di fichi, un tartufo finto con dentro un tuorlo, una cialda ripiena di maionese al pomodoro che esplode e diverse altre, goduriose, diavolerie. Finito di sollazzarsi, si comincia a fare sul serio.
Fare sul serio significava un boccone di anguilla alla griglia laccato con una teriyaki di ingredienti toscani e wasabi grattugiato da una radice di tre anni (wasabi vero, roba rara): l’anguilla viene frollata 15 giorni e quando arriva, viva, viene sparato fuori il midollo spinale con un macchinario inventato da loro che la rende morbidissima. “Il problema dell’anguilla è che basta un attimo per avere una carne stoppacciosa e non è che tutte le cotture vadano bene,” mi dice lo chef Tilli. “Quindi ho pensato di creare questa macchinetta per estrarre immediatamente tutta la spina, così da avere subito la carne al massimo della morbidezza.”
“Il midollo di cervo è qualcosa che si vede servito raramente. Di cervi ce ne sono meno. Però è un sapore unico.”
E poi una tartare di manzo frollato e reidratato con un fermentato di selvaggina, intensa e complessa; un coscio di daino frollato in alta umidità per tirare fuori sentori salmastri e unito a un’ostrica; un rognone alla griglia con una spolverata di finta bottarga fatta con interiora di agnello; e uno scampo laccato con strutto di vacca e zucchero di canna, un piatto di cui si sentono distinti tutti i sapori che ti manda in tilt il cervello. “Quando ho assaggiato quelle interiora ho pensato proprio che è incredibile come qualcosa assomigli tantissimo a un altra con certe preparazioni. Era palesemente bottarga.”
Per gradire, lo chef ha deciso anche di darmi il midollo di un cervo. “Il midollo di cervo è qualcosa che si vede servito raramente,” mi spiega Tilli. “Perché ovviamente di cervi ce ne sono meno. Spesso non te lo tengono da parte e di midolli ne puoi tirare fuori otto (quattro metà). Però volevo servirlo, perché è un sapore unico.” In effetti ha una consistenza delicatissima, ma il sapore pieno di cacciagione che ti fa salivare a fontanella.
Tilli non ha mai studiato cucina, non ha mai lavorato in ristoranti: ha capito che la cucina era il modo per esprimere la sua creatività, ci ha sbattuto la testa ed è andato avanti in autonomia “Ho fatto solo alcuni mesi da Errico Recanati al ristorante Andreina.” Per chi non lo sapesse è uno chef stellato che ha fatto della brace il suo credo. E in effetti anche chef Tilli ama follemente la sua brace, dove sviluppa e cucina molti dei suoi piatti.
“Mi piace che i clienti dopo tutta quella carne pensino e la pasta???”
Ma è con il piatto prima del dessert che la testa mi è completamente esplosa. Sì, perché appena prima del dolce hanno servito un piatto di spaghetti. Ed è sicuramente uno dei più strani, ma interessanti, piatti a base di pasta mai mangiati in vita mia. Tutto quello che può esserci di sbagliato in quegli spaghetti c’era: stracotti, gommosi, croccanti perché passati alla griglia.
Eppure, nonostante da buon pastasciuttaro italiano sia abbastanza fondamentalista su cottura (al dente) e condimenti, non riuscivo a smettere di mangiarli. Spaghetti alla griglia, cotti nel brodo di prosciutto di cinta senese — “Quando l’ho assaggiato ho pensato: ma sa di ricci di mare!” — e serviti con ricci di mare crudi e una grattata di Parmigiano Reggiano 85 mesi. Un piatto di spaghetti che potenzialmente dovrebbe essere un’esplosione di sapore deciso e che in realtà, alla fine, è delicatissimo. “Mi piace che i clienti dopo tutta quella carne pensino e la pasta??? E alla fine ti arriva questo piatto di pasta, completamente sconclusionato ma che è pensato per essere una goduria totale. Volevo da una parte farti godere alla fine del pasto, quando si dovrebbe e dall’altra mi piace che ci si fermi a riflettere.”
Il tutto si è chiuso con un dolce-non dolce: un lime muffito inoculato con spore di spergillo ripieno di mousse di limetta essiccata, crumble e marmellata di fichi.
Sono andato a dormire nelle loro camere, sempre loro ospite, sognando di svegliarmi dopo 12 ore, ma no: i galli hanno cominciato a cantare davanti alla mia porta molto presto.
Però mi sono consolato con una colazione a base di prosciutto di vacca vecchia, che ovviamente fa lo chef in casa. Anche questo, una cosa fuori di testa.
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