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Polarquest2018 è la missione scientifica più eclettica dell’Artico

A maggio di quest’anno c’è stata la ricorrenza dei 90 anni della tragedia del Dirigibile Italia uno dei primi laboratori scientifici volanti del mondo. Il velivolo, condotto dall’ufficiale Umberto Nobile, è finito disperso in Artico nel 1928. A quasi un secolo di distanza, una nuova spedizione raggiungerà il Mare Artico per cercare i resti del velivolo e condurre ricerche scientifiche: Polarquest2018.

La missione viaggerà a bordo di Nanuq — un veliero completamente ecosostenibile che non sfrutta combustibili fossili per viaggiare o riscaldare il suo interno — per studiare l’influenza dei raggi cosmici sul cambiamento climatico, ricercare le cosiddette isole di microplastica che vagano negli oceani, misurare l’impatto dei policlorobifenili sulla catena alimentare marina e sperimentare l’utilizzo dei droni nelle missioni scientifiche.

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Una formazione di ghiaccio alle Svalbard.

La spedizione partirà il 21 luglio da Isafjordur, in Islanda, attraverserà il Mare di Groenlandia per arrivare fino alla Norvegia continentale, dove la spedizione dovrebbe concludersi il 4 settembre. Potete trovare la timeline qui.

Se il Dirigibile Italia era un laboratorio scientifico volante, Nanuq è un laboratorio scientifico galleggiante. Ho chiacchierato con la capo progetto Paola Catapano, giornalista del gruppo comunicazione del CERN di Ginevra e il geografo Gianluca Casagrande, responsabile del programma di osservazione geografica della missione.

Tromso dove si concluderà la traversata di PolarQuest2018.

”Il grande aspetto innovativo della missione è quello di promuovere un modello di ricerca dalla maggiore portabilità. Come nel caso della citizen science, si tratta di usare in modo intelligente le tecnologie a basso costo che abbiamo già a disposizione per condurre delle ricerche scientifiche di tutto rilievo con esperimenti mai tentati in precedenza,” mi ha spiegato Paola Catapano.

Uno di questi esperimenti è il PolaquEEEst (Extreme Energy Events) Cosmic Explorer che studia raggi cosmici di alta energia e muoni provenienti dalle profondità del cosmo, la cui origine non è nota. Ricerche recenti hanno provato l’influenza dei muoni cosmici sulla formazione di nubi, e quindi sul clima.

“Non sono ancora stati misurati i raggi cosmici a quelle latitudini, inoltre l’analisi verrà condotta in contemporanea con rivelatori identici posizionati in Italia e in Norvegia per ottenere una misura più precisa sulla loro origine,” ha spiegato la capo progetto. Il rivelatore di raggi cosmici Polar QuEEEst a bordo della missione, infatti, è stato realizzato dal CENTRO FERMI in collaborazione con INFN Bologna.

Il progetto EEE, coordinato dal Museo storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi, prevede una rete di 50 rivelatori di raggi cosmici connessi tra loro, diffusi nelle scuole italiane, svizzere e norvegesi con l’obiettivo di rivelare i muoni cosmici — le particelle prodotte dallo scontro delle radiazioni che entrano in contatto con l’alta atmosfera terrestre. Gli strumenti di Polar QuEEEst, quindi, diventeranno parte di questa rete integrandola con i rilevamenti dei raggi cosmici a latitudini che non erano ancora state coperte dagli studi precedenti.

La missione si occupa anche dell’inquinamento delle acque con il progetto Nanuq-MANTANET per il campionamento di microplastiche in mare. ”L’aspetto innovativo dello studio è che le microplastiche non sono mai stati rilevate prima d’ora oltre gli 80 gradi Nord — e in particolare all’incrocio tra correnti calde e fredde, sul Mare di Groenlandia e a est delle Svalbard,” ha chiarito Catapano. Contrariamente a quanto potrebbe far pensare il nome, le isole di microplastica non sono delle formazioni visibili a occhio nudo, ma hanno dimensioni inferiori ai 5 mm.

Il sistema per rilevare le microplastiche di PolarQuest2018.

Avendo tempi di degradazione estremamente lunghi, la plastica immessa negli oceani può accumularsi in aree remote come i poli minacciando le reti alimentari marine e gli ecosistemi. Poiché finisce persino nello zoo plancton, la microplastica si trova nel cibo di una grande quantità di animali marini e raggiunge anche le nostre tavole. La missione utilizza Mantanet, un sistema che preleva i campioni d’acqua nei primi 16 cm dalla superficie e sotto a 6 metri proprio per individuare le microplastiche.

Le microplastiche non sono gli unici rifiuti che si conservano a lungo nell’ambiente, un altro problema sono i bifenili policlorurati (detti PCB). I PCB contengono carbonio, idrogeno e cloro; sono insapori e inodori. Sono stati utilizzati in moltissime produzioni industriali, dalla plastica ai lubrificanti. Il loro uso è stato vietato o limitato notevolmente dagli anni Settanta e Ottanta perché cancerogeni; il problema è che il periodo di decadimento va dai 94 giorni a 2.700 anni.

Dato che l’atmosfera è il mezzo principale di diffusione dei PCB, le loro tracce possono essere ritrovate in ogni parte del mondo ma soprattutto nei tessuti grassi degli animali. Anche in questo caso, gli esseri umani possono accumulare PCB anche solo semplicemente ingerendo del cibo o dell’acqua contaminati o addirittura inalando dell’aria che contiene queste sostanze.

In modo analogo allo studio delle microplastiche, è importante quantificare la presenza di PCB in aree lontane dalle regioni urbanizzate per comprendere meglio i suoi meccanismi di trasferimento e accumulo negli oceani e nell’atmosfera. PolarQuest2018 si occuperà anche di questo aspetto.

Sperimentazione con droni in Islanda. PolarQuest2018.

La spedizione prevede anche un programma di osservazione geografica della costa settentrionale di Spitsbergen e dei litorali della Nordaustlandet con droni “consumer-level”. Verranno studiate le variazioni negli strati di ghiaccio, le condizioni del terreno, la vegetazione, la distribuzione dei ghiacci galleggianti e la fauna locale.

“Utilizzeremo l’aerofotogrammetria speditiva con immagini oblique del litorale per chiarire alcuni aspetti della geografia degli approdi nella regione della Nordaustlandet [la seconda isola delle Svalbard.] Inoltre, studieremo a distanza la fauna per validare la possibilità di usare sensori a basso costo in fascia consumer per le future ricerche scientifiche,” come mi ha spiegato Gianluca Casagrande. Infatti, anche questa parte della missione punta a tirare fuori il meglio da tecnologie che non hanno costi esorbitanti.

Per concludere, abbiamo parlato del programma Arco di Nobile che prevede la sperimentazione di un sonar multi-beamer per la scansione tridimensionale del fondo marino nella zona di massima probabilità di caduta del Dirigibile ITALIA per scovare le tracce del suo relitto. Come mi ha spiegato Casagrande, infatti, ”quasi sicuramente, il dirigibile è affondato in mare. Noi andremo in cerca delle motrici e della trave di irrigidimento che sono volate via con il pallone aerostatico al momento dell’impatto con il PACK del Dirigibile Italia.”

Come ha concluso Paola Catapano, ”il sonar ci ha aiutati a ritrovare i resti di un relitto di un idrovolante inglese che risale alla Seconda Guerra Mondiale affondato nel mare del fiordo di Trondheim, in Norvegia. Nessuno ci aveva fornito le coordinate e ci siamo affidati solo al nostro strumento.” Speriamo che nel tempo che avranno a disposizione, i ricercatori riescano a ritrovare anche i resti del Dirigibile Italia. Potete seguire gli sviluppi della missione anche attraverso la sua pagina Facebook, su Instagram o Twitter.

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