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Cosa dovete sapere sulla polemica delle ‘100 ore di lavoro’ di Rockstar Games

Red Dead Redemption 2 — Immagine per gentile concessione di Rockstar Games

Lo stesso giorno in cui Sega ha annunciato di aver ridotto in modo significativo ed efficace le ore di lavoro, riducendo dell’80-90 percento il numero di impiegati con 80 ore di straordinario al mese, un profilo decisamente lezioso su Rockstar Games curato da Vulture, in previsione dell’uscita di Red Dead Redemption 2 questo mese, conteneva una citazione in cui lo studio si vanta della propria settimana lavorativa da 100 ore:

Il lavoro di levigatura, riscrittura e modifica che Rockstar fa è immenso. “Abbiamo lavorato 100 ore alla settimana” molto spesso nel 2018, ha detto Dan. Il gioco finito include 300.000 animazioni, 500.000 righe di dialogo e un numero anche maggiore di righe di codice. Persino per ogni trailer e spot televisivo di RDR2, “abbiamo probabilmente fatto 70 versioni, ma gli editor ne fanno magari diverse centinaia. Sam e io aggiungiamo un sacco di suggerimenti, come fanno anche altre persone del team.”

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La dichiarazione è stata attribuita al co-fondatore di Rockstar, Dan Houser, che ha poi detto a Kotaku che i commenti fatti a proposito della settimana lavorativa da 100 ore erano in specifico riferimento ai quattro scrittori dietro il gioco, e che “non pretende che nessun altro lavori in questo modo.” C’è parecchio da discutere su quei commenti e non si può ignorare che Rockstar stia contribuendo a normalizzare la ‘crunch culture’ — ovvero, l’idea che orari folli di lavoro siano auspicabili, se non addirittura nobili, quando, in realtà, rappresentano una forma di sfruttamento precisa ai danni di sviluppatori e lavoratori del settore. Infine, non si può far finta che una dichiarazione del genere fatta dai vertici di un’azienda non abbia conseguenze sul resto gerarchia.

L’articolo ha dato il via a una catena di confessioni sulla cultura del lavoro, ma io, personalmente, resto inquietato dal pezzo in sé; è al limite dell’irresponsabilità. Il commento sulle 100 ore è sganciato nel pezzo di Vulture senza esitazioni. Non viene dato spazio per analizzare quanto suoni ridicola una settimana lavorativa da 100 ore né nel contesto specifico di Rockstar, un’azienda tristemente nota per le proprie politiche di sfruttamento dei lavoratori, né nel contesto più ampio dell’anno domini 2018, che ha segnato una svolta significativa nella nascita di sindacati nell’industria videoludica e nel dibattito relativo.

Niente di tutto questo compare nell’articolo.

I fratelli Houser, dirigenti creativi di Rockstar, non parlano spesso con la stampa, ma lasciano che siano i giochi a farlo per loro. È tipico di una cultura che fa perno sulla personalità, per cui quando gli Houser rilasciano finalmente un’intervista, è un momento unico. Magari non vi importa granché dei giochi di Rockstar, ma è difficile ignorare l’enorme influenza che il loro lavoro ha sul resto dell’industria. Conosco un numero considerevole di persone che non si considerano “gamer,” ma che giocano a qualsiasi cosa Rockstar metta sullo scaffale. Mio cugino non mi scrive per parlare di altri giochi, ma mi chiede se avrò una copia in anteprima di Red Dead Redemption 2. Rockstar esiste su un piano separato della cultura videoludica e questo peso incombe sui giornalisti qualora sia data loro la possibilità di parlare con i capi dello studio.

Qual è il costo umano del modellare in 3D la reazione dei testicoli di un cavallo alle condizioni meteo? Vale la fatica? Come gestiscono il quantitativo di lavoro i fratelli Houser, davanti alle pretese sempre più esigenti dei loro mondi virtuali iper dettagliati? Le cose devono essere cambiate negli anni, dunque cosa hanno imparato? Rockstar si è sentita obbligata a rispondere pubblicamente alla famosa lettera “Rockstar Spouse” che denunciava condizioni di lavoro malate durante lo sviluppo del Red Dead Redemption originale, quindi cosa è cambiato? Quella lettera, se anche fosse stata un’anomalia, ha avuto un peso? Considerati i budget apparentemente illimitati concessi alle produzioni Rockstar, cosa ci vorrebbe a fare un gioco che non implichi tempi di crunch per nessuno, compreso il gruppo di scrittori? L’uso di sindacati era menzionato nell’articolo, ma cosa se ne fa Rockstar di sindacati per gli sviluppatori?

Possiamo soffermarci su quest’ultima domanda, un attimo? Leggete questo passaggio:

La sceneggiatura finale perl a storia principale di Red Dead Redemption 2 era circa 2.000 pagine. Ma se dovesse includere anche tutte le missioni secondarie e i dialoghi aggiunti, e impilare le pagine, Dan ritiene che la catasta “sarebbe alta 2 metri e mezzo.” Portare in vita la sceneggiatura ha richiesto 2.200 giorni di motion-capture — rispetto ai cinque necessari per Grand Theft Auto III —, 1.200 attori, tutti SAG-AFTRA, 700 dei quali con battute e dialoghi. “Siamo l’azienda che impiega più attori di tutta New York,” ha detto Dan.

Il giornalista ha sottolineato l’associazione SAG-AFTRA, non Dan Houser. SAG-AFTRA è un acronimo di vecchia data che include attori televisivi e radiofonici — in altre parole, un sindacato. Quello che sta facendo Rockstar in questo passaggio è vantarsi della quantità di lavoratori appoggiati da sindacati che hanno contribuito a Red Dead Redemption 2, ma neanche uno di questi è assunto da Rockstar. Non è una contraddizione che vale la pena approfondire? Non fa strano?

Non pretendo che il pezzo sia interamente incentrato sui diritti dei lavoratori, per quanto preferire leggere quello che l’ennesimo articolo che collega la qualità dello scritto con la sua lunghezza, ma vorrei sottolineare che siamo in un momento in cui è da irresponsabili ignorare questi argomenti pressanti.

È anche possibile che queste domande siano state fatte agli Houser, ma che i due non avessero una risposta che valesse la pena stampare. Se è questo il caso, il pezzo avrebbe dovuto specificarlo. Una cattiva risposta, o persino una evasiva, è comunque utile. Abbiamo scoperto di più da una dichiarazione che Dan Houser ha fornito a Kotaku via email che dalle sei ore che questo giornalista ha ottenuto per il pezzo.

L’industria non prende abbastanza sul serio il problema. Una delle ragioni è perché noi, i media, non li mettiamo abbastanza all’angolo. Non si aspettano domande a proposito, perché non le poniamo. Questa cosa deve cambiare e deve cambiare soprattutto con le persone che detengono il potere per effettuare un cambiamento sistemico. Se Rockstar — tra tutti gli studi — si schierasse a favore di una modifica istituzionale del lavoro, ci sarebbe un effetto domino senza precedenti.

Mi aspetto che accada? No. Dovremmo però chiedergli perché non dovrebbe? Cazzo, sì.

Per sottolineare la realtà storica del problema, il CEO di Iron Galaxy Adam Boyes, che è dentro l’industria da decenni, ha scritto in un tweet che “Nel mio primo posto di lavoro nell’industria avevamo una lavagna su cui tenevamo traccia di chi lavora più ore a settimana su un progetto. Io sono arrivato terzo… con 118 ore.”

Questo articolo è apparso originariamente su Waypoint US.