C’è stato un tempo in cui le donne non potevano votare o in cui divorziare era illegale. Oggi sembrano cose impossibili, eppure all’epoca c’era chi si opponeva a tali cambiamenti e il tutto era oggetto di dibattito. Il tema delle unioni civili di cui si discute in questi giorni nel nostro paese non è così diverso, poiché rappresenta una di quelle battaglie destinate a essere perse da chi vi si oppone: non per merito dei protagonisti né per demerito degli avversari, ma semplicemente perché questa è la direzione in cui il mondo e la società stanno andando.
Negli ultimi anni infatti sul fronte dei diritti delle coppie omosessuali ci sono stati passi in avanti inimmaginabili fino a pochi anni fa, e solo il 2015 ha visto il riconoscimento dei matrimoni gay da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, la vittoria del sì ai matrimoni omosessuali nel referendum in Irlanda, e un mese fa l’approvazione delle unioni civili in Grecia—oltre a riconoscimenti in materia di diritti LGBT in molti altri paesi mondo.
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Ma basta guardare una qualsiasi mappa che raffigura lo stato dei questi diritti per rendersi conto all’istante dell’arretratezza del nostro paese—un’arretratezza che è stata ribadita anche dalla Corte suprema dei Diritti dell’uomo, che nel luglio dello scorso anno ha condannato all’unanimità l’Italia per aver violato l’Articolo 8 dei diritti dell’uomo, quello che riguarda il “diritto al rispetto della vita familiare e privata.”
Al momento in Italia non esistono leggi che tutelino i diritti delle coppie dello stesso sesso. Tra le altre cose, le coppie omosessuali non beneficiano di vantaggi fiscali né di diritti successori e il partner non è autorizzato a fornire assistenza in caso di malattia né di gestire il patrimonio dell’altra persona—e queste sono solo alcune delle conseguenze della mancanza di tutele.
In questo scenario—a vent’anni dalla presentazione del primo disegno di legge in materia—l’Italia è arrivata al voto in aula del ddl Cirinnà, denominato di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” e in programma il 28 gennaio. Il testo originale è stato approvato per la prima volta in commissione di Giustizia del Senato il 26 marzo del 2015, ma la norma è rimasta fino ad adesso bloccata al Senato, affossata delle polemiche e dell’ostruzionismo sia interno che esterno al Partito Democratico.
IL DDL CIRINNÀ
Il disegno di legge si divide in due capi. Il primo introduce l’unione civile tra persone dello stesso sesso, sotto il moderato nome di “specifiche formazioni sociali.” Tra i suoi articoli contiene anche il più discusso, ovvero il quinto, che riguarda la “stepchild adoption,” secondo cui una delle due persone può adottare il figlio naturale dell’altra. Si tratta di un regolamento che in Italia già esiste per le coppie eterosessuali e non c’è, in questo, alcun riferimento alla maternità surrogata, che nel nostro paese rappresenta un reato penale. Il secondo capo, invece, regola la convivenza di fatto, sia tra coppie eterosessuali che omosessuali. In entrambi i casi, spettano alla coppia diritti e doveri quali di diritti fedeltà, assistenza morale e materiale, successione, e altro.
Come si può vedere, insomma, il ddl Cirinnà—per quanto rappresenti un timido passo in avanti—non è niente di rivoluzionario. Anzi, è il frutto di laceranti compromessi parlamentari e della conformazione politica del governo che l’ha generata.
L’attuale testo rappresenta, infatti, una versione rivista rispetto a quella originale, frutto della mediazione con l’Ncd ma anche l’area cattolica del Partito Democratico. Tra le modifiche presentate nel nuovo testo c’è l’eliminazione di qualsiasi riferimento al matrimonio, appunto per le coppie di fatto alla denominazione di “specifiche formazioni sociali.”
Tuttavia, le modifiche apportate potrebbero non essere terminate. Ed è proprio questo il punto che in questi giorni—in controtendenza con le dichiarazioni con cui gli esponenti del PD sconfessavano ogni possibilità di modifica—si è arrivati a ipotizzare l’inserimento di una modifica che marchi ulteriormente la differenza tra unioni civili e matrimonio, per evitare, ufficialmente, che la legge venga bloccata dalla Corte Costituzionale (la quale, in casi analoghi precedenti. aveva ribadito l’incostituzionalità di tale equiparazione).
L’OPPOSIZIONE
L’opposizione al ddl, come detto, riguarda soprattutto l’articolo relativo alla stepchild adoption ed è stata chiara fin dal momento in cui è stato presentato, per diventare ancora più palese a ottobre, quando l’arrivo in senato ha scaturito immediatamente le dure reazioni di Lega, Forza Italia e Ncd.
Mentre il partito di Alfano ribadiva la sua contrarietà, Salvini si diceva pronto alle “barricate” e Gasparri prometteva battaglia. La Cei, inoltre, tramite il segretario generale Galantino si affrettava a difendere la famiglia tradizionale e a ricordare ai parlamentari cattolici come votare.
Tuttavia è stato negli ultimi giorni, con l’avvicinarsi al voto, che le polemiche sono debordate. Nell’ultima settimana hanno ribadito la loro contrarietà alla norma Silvio Berlusconi—che si è dichiarato favorevole alle unioni civili ma contrario al ddl Cirinnà—, Salvini, e soprattutto l’Ncd, il cui presidente Angelino Alfano—dopo aver dato numeri sulle pensioni di reversibilità delle coppie gay—ha promesso un referendum abrogativo nel caso di approvazione della stepchild adoption.
Foto di Federico Tribbioli.
Ma a preoccupare per il destino del disegno di legge sono soprattutto i malumori interni al PD. Nonostante la linea della maggioranza—con il premier che vanta una presenza al Family Day del 2007—dentro il partito ci sarebbero una trentina senatori pronti a non firmare l’articolo sulla stepchild adaption, e che premono affinché questa venga sostituita con la pratica dell’affido rinforzato, una forma di affido che, con rinnovo biennale, dura fino alla maggiore età del figlio, periodo dopo il quale questo può scegliere di essere adottato.
Proprio la scorsa settimana, a tale scopo è stato presentato un emendamento firmato da 37 deputati. L’emendamento ha fatto discutere—più che per il contenuto in sé che era prevedibile da mesi e palese da settimane—per essere stato ripreso dal sito di informazione omosessuale gay.it, che il 14 gennaio ha pubblicato la lista dei presunti 31 democratici contrari, poi scesi a 26, includendo l’email istituzionale e i contatti social, e ricevendo in cambio accuse di squadrismo.
Al di fuori della politica ufficiale, la Cei—che fin dall’inizio non si è comunque sentita in dovere di commentare—è scesa definitivamente in campo contro il ddl il 7 gennaio. La stessa posizione è stata di fatto rinforzata e ufficializzata dieci giorno dopo dal cardinal Bagnasco, che in un’intervista a Repubblica ha ribadito la posizione della Chiesa. Il presidente della Cei ha infatti definito “necessario” il nuovo Family Day—annunciato a Roma per il 30 gennaio proprio con lo scopo di chiedere il ritiro del ddl Cirinnà—e ribadito il ruolo unico della famiglia tradizionale, esortando il Parlamento a occuparsi dei problemi veri, rispetto a cui le unioni civili rappresenterebbero “una distrazione grave e irresponsabile.”
In attesa della votazione in aula, tra gli ultracattolici non manca chi—come la giornalista Costanza Miriano—ha deciso di impegnarsi in prima persona richiamando i fedeli a dedicare la loro ora di guardia quotidiana a fermare la legge sulle unioni civili.
Probabilmente l’invocazione non sarà sufficiente a fermare la legge, che almeno teoricamente dovrebbe passare grazie all’appoggio del MoVimento 5 Stelle e della maggioranza del Partito Democratico.
Diverso è il discorso per quanto riguarda la “stepchild adoption,” su cui il premier Renzi ha dichiarato che i parlamentari voteranno secondo coscienza—motivo per cui potrebbero non esserci i numeri. Tuttavia, indipendentemente da come andrà a finire e dai toni con cui la politica commenterà l’esito, sarà difficile dimenticarci di come, nel 2015, siamo arrivati a questa votazione: in un paese diviso, in cui la sua componente cattolica ha fatto di tutto per sabotare un—seppur timido—avanzamento della società.
Thumb di Federico Tribbioli. Segui Flavia su Twitter.