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Quando Pordenone era la città più punk d’Italia

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Sembra proprio che stiamo per fare un giro di boa, ragazzi. Si chiude un’epoca, anzi forse più di una. Impossibile ignorare in questo periodo i morti per pandemia, e all’orizzonte spariscono anche quelli che hanno fatto la storia della musica: è notizia recente la scomparsa di Genesis P-Orridge, leader dei Throbbing Gristle e degli Psychic TV. È stata colpa di un tumore, perché si muore ancora e soprattutto di altre malattie e la gente se n’è scordata.

In questo il destino ingrato di Genesis è identico a quello di Elisabetta Imelio, cantante dei Sick Tamburo ma soprattutto bassista dei Prozac+, la band pop punk rimasta nella memoria collettiva italiana soprattutto per “Acida“. Anche lei problemi al fegato, anche lei scomparsa recentemente e, con le dovute e ovvie differenze, rimasta in una parte importante della storia della musica italiana. Perché in un certo senso, i Prozac+ rappresentano gli anni Novanta di questo paese.

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In un certo senso, i Prozac+ rappresentano gli anni Novanta di questo paese.

Vediamo però questa faccenda in modo razionale, non è consuetudine di Italian Folgorati tifare tristezza. Rispetto a quello che ho scritto sopra e agli audaci paragoni insinuati, molti diranno “Ma che stai a di?” Altrettanti penseranno, al contrario, “bravo bene bis”. In realtà la faccenda è più complessa e soprattutto, a fronte di una fine tragica, c’è un passato glorioso e vitale che forse riscatta qualunque sacrificio e qualunque passo falso. Che, strano a dirsi, lega ancor di più Genesis a Elisabetta.

Partiamo da un dato autobiografico. A fine Novanta ero un ventenne alle prese con la musica estrema e col post punk e quando uscirono i Prozac+ rimasi sorpreso. Non tanto da loro in quanto band, ma dal fatto che la stampa specializzata se li spingesse a palla di cannone come se fosse l’unico gruppo italiano degno di nota a riportare il punk in Italia, quasi come D’Annunzio fece con Fiume.

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La copertina di Acidoacida dei Prozac+, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

A un certo punto mi trovai a guardare il video di “Pastiglie”: pensai che il pezzo fosse carino e loro piuttosto fluorescenti e freschi, ma senza troppe pretese. La cosa cozzava con l’eccitazione della critica, per cui dopo l’ennesima recensione entusiasta decisi di andarli a vedere dal vivo a Roma al primo Circolo degli Artisti. C’era un sacco di gente, ma era prevedibile visto il grande spiegamento pubblicitario. Sarebbero venuti tutti, anche se si fosse esibito un gruppo rock cristiano.

L’immagine del gruppo strizzava l’occhio al pubblico punk tutto semplicità, ma anche a quello fissato per i manga giapponesi. Mettiamoci pure i feticisti, date le fattezze da pin-up per tutti i generi sessuali della cantante Eva Poles e di Elisabetta, ambedue in possesso di un invidiabile e indiscusso carisma. Avevano t-shirt semplicissime, che però sembravano quasi lucidate e griffate: non la maglietta zozza del punkettone centrosocialaro di turno.

L’immagine dei Prozac+ strizzava l’occhio al pubblico punk tutto semplicità, ma anche a quello fissato per i manga giapponesi.

Questo aspetto si ritrovava pure nella musica. In realtà i Prozac + non erano punk, ma power pop riveduto e corretto. Per scrivere i loro pezzi setacciavano chiaramente gli spartiti delle grandi stelle della nostra musica leggera da Superclassifica Show: penso a Donatella Rettore, ma credo che anche Alberto Camerini rappresentasse un punto fermo d’ispirazione, congelato nella sua versione con i chitarroni distorti levandogli l’elettronica. Alberto, accortosi di questo, tornerà infatti in pista in quegli anni col disco Cyberclown, in linea proprio col percorso dei Prozac+, come se volesse riprendersi qualcosa di suo.

A parte questo i Prozac suonavano chirurgici: tutto sotto controllo, regolato a puntino. E s’inventavano anche simpatiche interazioni col pubblico, come ad esempio lanciargli delle caramelle durante il ritornello di “Pastiglie.” Finito il concerto salii sul motorino della mia ragazza e, tornando a casa, feci delle veloci riflessioni.

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I Prozac+ in una fotografia promozionale d’epoca

La prima: il live era divertente ma non abbastanza da farmi pensare di andarli a vedere di nuovo, mi aspettavo di più visto tutto sto pompaggio della stampa. La seconda: erano perfetti, ma nulla che fosse diverso ad esempio dal giro flower punk di Latina, che vedeva nei Gradassi, nei Mondo Topless, nei Bugiardi—nei quali suonava anche il batterista degli Shokogaz, il mio gruppo di allora—e in altre seminali formazioni il baluardo del nuovo punk dello stivale.

Tra di loro primeggiavano i Senzabenza, caposcuola assoluto che all’epoca erano prodotti da Joey Ramone e facevano cose assurde contaminandosi anche con la psichedelia. A confronto, i Prozac+ erano davvero leggeri. Forse li aiutava il cantato in italiano? Certo. Ma era chiaro che il successo sarebbe arrivato, un po’ grazie al farmaco scelto come nome e un po’ grazie all’immaginario adatto a finire su major. Cosa che poi accadde veramente, dalla Vox Pop alla EMI: la storia la sappiamo.

I Prozac + sono stati la colonna sonora di una generazione X, non quella del romanzo ma quella della trasmissione omonima condotta da Ambra Angiolini.

Non volendo ingrandire o diminuire i meriti della band, i Prozac + sono stati la colonna sonora di una generazione X, non quella del romanzo ma quella della trasmissione omonima condotta da Ambra Angiolini. Gente che si impasticcava, faceva i rave, si faceva crescere i capelli grunge, si vomitava addosso ubriacandosi col Tavernello o col Gotto D’Oro. Persone che vivevano in maniera bipolare il mondo “alternativo” con la spinta inconscia di diventare “mainstream”, concedendosi anche di fare shopping al centro facendosi le vasche oppure di fare i comunisti per rimorchiare, né più né meno come i loro padri—che però non avevano la Toretta Stile.

In tutto questo, i Prozac+ te li ritrovavi ovunque. E c’è un motivo reale per cui tutto funzionò come un orologio svizzero: il Gianmaria, chitarrista del gruppo, faceva parte di un collettivo della sua città, Pordenone, che ha fatto la storia della new wave in Italia. E ha anche dato in qualche modo una direzione estetico/sonoro/programmatica a tutta la penisola: stiamo parlando del grandissimo The Great Complotto.

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Foto di gruppo di membri di The Great Complotto

Pordenone Ufo Attack” recitava un brano storico dei Gaznevada, storica band pioniera della new wave italiana fine anni settanta in quella Bologna dei Pazienza e dell’autonomia. Perché omaggiare la scena di Pordenone? Perché quella città era senza dubbio un punto di riferimento assoluto in quanto a delirio, forse quella in cui il post punk era visto come un vero e proprio portale verso un’altra dimensione e non un semplice genere musicale.

Anzi, il Great Complotto era l’esempio principe di come dalla provincia si arrivi al pianeta intero: “Pordenone non può essere Londra, ma Londra non può essere Pordenone” era il motto. Tanto che i suoi membri, dediti a una multidisciplinarietà spontanea e dadaista, fondarono nel 1982 una loro micronazione. Si chiama lo stato di Noan e aveva anche un inno nazionale, “Atoms for Energy”. Ce ne erano due versioni: una proto-harsh noise a cura dei Musique Mecanique e una new wave dei Sexy Angels.

Pordenone era un punto di riferimento assoluto in quanto a delirio, l’esempio principe di come dalla provincia si arrivi al pianeta intero.

Nel testo si diceva esplicitamente di conquistare il mondo con un approccio ben preciso: “L’importante era dire cose assurde al momento sbagliato”. miSs xoX era l’autore di questa frase, l’ideologo e fondatore del collettivo, che iniziò questa avventura suonando e provando al militare durante il terremoto in Friuli. Fu in quel periodo che mise su gli HitlerSS, già dal nome nati per dare scandalo e per spiazzare tutti, con l’intenzione di essere più stupidi possibile per scandalizzare proprio gli stupidi, come il grasso dei detersivi pulisce il grasso dei piatti.

Insieme ai loro compagni di merdende, i Tampax, i nostri crearono degli sfaceli notevoli. Ricevettero critiche prevedibili rispetto al loro comportamento: “O’Dio” dei Tampax, una delle mie canzoni preferite della vita, era solo ‘na sfilza de bestemmie contro il padreterno. E la provocazione li portò al famoso concerto sotto il ponte di Aklam a Londra, in cui suonarono strumenti di cartone simulando a tutti gli effetti un vero concerto—e finirono pure censurati dalla polizia inglese, che tentò di far sparire tutto i loro dischi perché una linea vocale non lasciava adito a dubbi: “I want to fuck Queen Elizabeth.”

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Gli HitlerSS in una fotografia d’epoca

I nostri eroi riuscirono comunque a recuperare delle copie, e a ristamparle grazie ai loro colleghi inglesi: tra questi, e qui torniamo all’inizio, lo stesso Genesis P-Orridge con i suoi Throbbing Gristle. La visione meta-punk senza compromessi del Great Complotto era fatta di band reali, ma anche di gruppi fantasma creati all’occasione e di una fitta sequela di sigle/gruppi come gli 001011011100…Cancer. Potremmo fare un paragone con la grandissima Vanity Records in Giappone, il cui approccio era allo stesso modo diretto a un pubblico geneticamente modificato, che ancora non esisteva ma era pronto in provetta.

Da quella fucina di idee e di minorenni gasati di diverse estrazioni, sia politiche sia sociali senza nessun tipo di discriminazione, il Great Complotto però comincerà negli anni Ottanta a prendere una piega molto più arty/avant rispetto alla brutalità degli inizi. Succede dopo la fondazione degli Andy Warhol Banana Technicolor di miSs xoX e la chiusura della sala prove Tequila—nella quale gravitavano le band del movimento—a favore dello stato di Naon.

La priorità dei membri del Great Complotto era trovare la propria voce a qualunque costo, e se non sapevi suonare era meglio.

La filosofia del movimento era di cercare di togliere di mezzo la comfort zone della musica e dell’arte come qualcosa di etichettato e codificato. La priorità dei membri del Great Complotto era trovare la propria voce a qualunque costo, e se non sapevi suonare era meglio. Atteggiamento che si rispecchiava anche nell’approccio non convenzionale con il giornalismo musicale e la discografia: più che promuoversi utilizzando la stampa, si cercava il confronto nel giornalismo di settore inviando lettere e facendosi così degli alleati nel dialogico, cementando alleanze inusitate.

Esempio lampante fu quello di Red Ronnie che, ancora lontano dal buonismo reazionario di un Jovanotti e ancora nel suo periodo “malato”, diede una grossa mano a promuovere il movimento: con lui anche Roberto D’Agostino e Carlo Massarini, che li sdoganarono alla RAI. Ma in cima a tutti ci fu Oderso Rubini dell’etichetta Italian Records, che pubblicò ben due raccolte del Great Complotto.

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Gli Andy Warhol Banana Technicolor in una fotografia d’epoca

La prima era già un classico prima ancora di uscire: Pordenone/The Great Complotto è un insieme di brani uno meglio dell’altro che si destreggiano tra la wave, la musica sperimentale e l’assurdo come una pallina d’acciaio in un flipper colorato. Paradossalmente, però, è il canto del cigno nello stesso momento in cui viene stampata: la storicizzazione e l’aumento della popolarità portò infatti ad una deriva.

miSs xoX se ne accorse quasi subito, levando le tende e concentrandosi sulla sua creatura Compact Cassette Echo, etichetta che si sposterà su lidi industrial con un orecchio internazionale e produrrà Foetus e Legendary Pink Dots. Gli altri invece proseguirono con la seconda compilation, iV3SCR, sempre su Italian Records. Nonostante di molto edulcorata, questa manteneva ancora livelli di eccellenza, aggiornandosi in tempo reale e parzialmente modaiolo con le principali tendenze dall’estero.

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La copertina della compilation Pordenone/The Great Complotto, cliccaci sopra per ascoltarla su YouTube

È proprio nell’anno della compilation, il 1983, che si sciolgono i Gigolò Look. Nati da Brian Casio, esule dagli Andy Warhol, si proiettano in una dimensione tra il pop e la darkwave che ricordano degli Ultravox meno raffinati—ed è proprio in questa formazione che il nostro Gianmaria dei Prozac+ fa capolino alla batteria. E la cosa curiosa è che non è l’unica futura stella dell’indie italiano ad essere presente in questa stilosa band: c’è anche Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

Il collegamento con quello che sarà il destino musicale dei due risulterà chiaro nel 1983, quando la band cambia ragione sociale in Futuritmi. All’inizio cantano ancora in inglese, sono una band Spaghetti New Romantic che frulla insieme Soft Cell, Spandau Ballet e un po’ tutte le tendenze del periodo. Dotati di una tecnica più evidente di tanti altri del giro, la sfruttano per modellarsi poi in una versione dichiaratamente e sfacciatamente pop, con cantato in italiano e un’attitudine piaciona e patinatissima: quasi come i Gaznevada di fine Ottanta, quelli che tanto lodarono il primo Great Complotto, oramai invischiati nella filosofia del tempo del produrre dischi come merendine.

Non sono i Prozac+ in quanto band ad aver conquistato gli anni Novanta, ma la sfrontatezza vitalistica che essi veicolavano. Ed era proprio lo spirito del Great Complotto, nel bene e nel male.

Il successo dei Prozac+ è sempre stato una conseguenza naturale del Great Complotto: diciamo lo stadio finale di un percorso, come la rivoluzione d’Ottobre che dal liberare il popolo diventa il governo stesso. I Naoniani volevano conquistare il mondo, e in un certo senso idealmente è stato proprio così. I Prozac+ non facevano altro che usare un collaudato sistema situazionista nell’essere quello che il pubblico voleva che fossero, prendendo e applicando dal movimento pordenonense il motto dello “sticazzi”. Perché in realtà non erano mai quello che sembravano, erano piuttosto dei fumetti.

La stessa critica schierata apertamente a loro favore deriva dalla vecchia tecnica di miSs xoX di entrare nel sistema facendosi alleati gli addetti ai lavori anziché dargli addosso come banalmente si farebbe. Possiamo quindi azzardare che in realtà non sono i Prozac+ in quanto band ad aver conquistato gli anni Novanta, ma la sfrontatezza vitalistica che essi veicolavano. Ed era proprio lo spirito del Great Complotto, nel bene e nel male. Perché ha insegnato a tutti che l’importante è dare fastidio e chi raggiunge il successo, si sa, dà sempre e comunque fastidio. Che forse la differenza tra underground e mainstream non sia semplicemente nascosta in quanto la formula sia… acida?

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