Música

Portare la corona ogni giorno ha il suo peso, ma non per Parris Goebel


Parris Goebel ha solo venticinque anni e, a oggi, ha già collezionato una serie di esperienze da far girare la testa. Le sue origini sono samoane e vive con la sua grande famiglia a Auckland, in Nuova Zelanda. È ancora giovanissima, ma le sue ambizioni sono sempre state molto chiare. “Tutto è iniziato quando avevo solo dodici anni e capii che nella vita volevo ballare hip hop. I miei genitori mi hanno sempre supportato, così a quindici anni ho mollato gli studi scolastici per concentrarmi e costruirmi una vera carriera”, mi spiega, quando le chiedo di raccontarmi come è cominciata la sua avventura.

Piccola parentesi: io a quindici anni, se non ricordo male, sapevo ancora di latte, portavo i codini alti e tiratissimi, una tuta comoda, e il massimo della gioia era farmi un giro in centro al sabato pomeriggio con le compagne di scuola per comprarmi qualche CD alle Messaggerie Musicali. Se avessi detto ai miei: “ue zii, mollo la scuola voglio ballare nella vita”—cosa che in realtà avrei davvero voluto fare—sono sicura che avrebbero chiamato l’esorcista, mi avrebbero fatto rinchiudere in qualche monastero campano con mia nonna che mi buttava addosso l’acqua benedetta della Madonna dell’Arco cui era devotissima.

Tutto questo per dire che, così giovani, fare questo tipo di scelte e portarle avanti, o sei Dio o sei Parris Goebel.

Sembrerà banale come appiglio ma la musica, oltre che a riconoscersi in una gerarchia di suoni, correnti sociali e territoriali, si identifica sempre anche come movimento. Fare esperienza della musica attraverso il proprio corpo è come sentirsi parte dell’impalcatura originale delle note: ci si trasforma in dervisci roteanti e atemporali che danzano a ritmo di rullanti sui battiti pari e di piatti in controtempo. Danzare è cosa seria.

In Italia il superamento della musica attraverso la danza/movimento è ancora un territorio poco esplorato, o perlomeno è ancora un luogo che vive di cliché e poca sostanza. La comunità di ballerini hip hop, e io ne conosco parecchi da ex danzatrice, è decisamente folta. Conosco gente che vive di questo, che vive per questo. È una sorta di sodalizio invisibile che richiede tanta forza, studio e dedizione perché in Italia, come capita per molti altri settori, non è tutto come all’estero. Da noi, purtroppo, esclusa la grande fetta di chi dell’hip hop ne conosce e studia le radici, ballare è muovere il culo in discoteca o mettersi lo snapback più figo che c’è e sentirsi qualcuno.

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Quando vidi Parris per la prima volta ero in camera mia. Davvero volevo ballare nella vita; in parte l’ho fatto, e per uscire dagli stereotipi e crescere tecnicamente, come tanti altri, giravo l’Europa in cerca di masterclass. Quando non potevo mi attaccavo a YouTube guardandomi tutti i video possibili e immaginabili. Quasi tutti del Millennium Dance Complex di Los Angeles: un vero covo di ballerini che studiano sodo per costruirsi una carriera; perché se hai la fortuna di incontrare il ballo, e ti ci approcci convinto di poterlo fare con professionalità, ti accorgi anche di non poterne più fare a meno. Parecchi italiani nel periodo estivo volano a Los Angeles o New York per studiare, sacrificando tempo ed energie.

Parliamoci chiaro: chiunque, non solo nell’arte o nella danza, cerca di uscire fuori dal coro. Parris, forse ha cercato di farlo fin da subito. Quando le chiedo da dove provenisse la sua determinazione, mi risponde: “La mia cultura samoana ha influenzato parecchio il mio percorso. Delle mie radici adoro la sinuosità e la bellezza dei movimenti femminili, così come la forza e la potenza di quelli maschili. E se sono la donna che sono ora è grazie a questa eredità che mi scorre nelle vene.”

A quindici anni Parris ha mollato gli studi, e non dovrebbe quindi stupire il fatto che a diciassette abbia aperto la sua scuola, The Palace, fondato la sua crew, le ReQuest—un plotone di donne combattenti—e cominciato a partecipare e a vincere parecchi World Hip Hop Dance Championships. Determinazione, talento, costanza, genio creativo e una mente fertile le hanno permesso in breve tempo di raggiungere importanti risultati.

Non so esattamente come descrivere quello strano subbuglio che arriva al mio stomaco ogni volta che guardo una sua creazione. Puoi non capire un cazzo di musica, di danza e movimento, ma se capiti su un suo video non puoi che rimanerne intrappolato. Ogni singolo dettaglio è carico di una potenza senza uguali. Sotto il suo comando le sue ragazze, la Royal Family, sembrano possedere poteri soprannaturali. Parris definisce il suo stile “polyswagg”, cioè combining sassy woman fire with aggressive inner strength, e aggiunge, “Se vuoi ballare in una delle mie crew devi per forza essere una donna sicura di te e piena di carattere. Le ReQuest hanno ribaltato l’idea di crew al femminile nel mondo della danza, che è ancora totalmente dominato dal sesso maschile”.

Le donne, in definitiva, sottolinea Parris: “si riappropriano di una forza mai vista”. Nessuna utopia, nessun falso moralismo. Parris vive e professa un pieno ribaltamento dei ruoli: “Ogni donna dovrebbe indossare la sua corona. Ogni donna può essere forte tanto quanto un uomo, nella danza come nella vita”. Se avete ancora qualche dubbio, guardate il video qua sotto.

Parris di fatto ha coreografato per Rihanna, Jennifer Lopez, Nicki Minaj, il sudcoreano Taeyang e ha curato il World Tour di Janet Jackson, solo per citare alcuni dei progetti che ha portato a termine. A giudicare dai risultati già ottenuti, la carriera di Parris potrebbe anche chiudersi tranquillamente qua. Ma così non è. Oltre ad averne in cantiere sempre una, mi confessa: “Forse all’appello manca una persona per la quale vorrei tanto lavorare, e il suo nome è Missy Elliot”. Inoltre: avete presente inoltre il video di “Sorry” di Justin Bieber? Ecco, lo ha diretto e coreografato lei.

Quest’ultimo probabilmente è stato un trampolino di lancio definitivo: tra i tanti, hanno parlato di lei Rolling Stone, i-D ed Elle. E, come ogni fenomeno esplosivo, Parris ha subito richiamato l’attenzione di brand che volevano rappresentarla.

La Parri$, col dollaro, sta cavalcando il successo e non accenna a fermarsi. Anzi, quasi per gioco ha cominciato a incidere i suoi pezzi. Affacciarsi alla produzione musicale per Parris, con tutte le precauzioni del caso, non è di certo un azzardo manieristico, quanto piuttosto una naturale evoluzione del suo io più fantasioso, fecondo e unico. Fare musica, mi spiega, “Non rappresenta altro che un ulteriore mondo da saggiare per esprimere me stessa. Un giorno sono arrivata in studio per mixare della musica e così ho pensato di buttare giù qualche testo da registrare”.


Il suo primo EP è uscito in agosto e si intitola Run & Tell Your Friends. La sua è una ricerca a tutti gli effetti, sia nei movimenti che nella musica. “Non voglio assolutamente rimanere intrappolata in un unico genere musicale, anzi mi gasa sapere che continuerò a esplorarli tutti grazie alle persone con le quali collaboro”. I suoi primi tre video nuotano in sonorità che si avvicinano alla trap, al k-pop, alla dancehall, per finire, poi, nel puro grime. Qua sotto vi metto quello che mi ha gasato di più, “FIYAH”. 

Sarà che il binomio grime/Parris mi piace parecchio, sarà la location del video( una chiesa abbandonata), sarà il bomber arancione che trovo di gran gusto, non saprei. Ma il pezzo è effettivamente FUOCO. 

I lavori di Parris sembrano essere meticolosamente studiati a tavolino—”FIYAH” sembra il risultato di un progetto curato a priori nel dettaglio—ma così non è: “Arrivata a Londra ho organizzato le audizioni in un giorno,”, mi dice, “ho fatto le prove coi ballerini il giorno successivo e registrato in meno di ventiquattro ore. Creo tutto sul posto, non preparo quasi mai niente prima, lascio che le cose avvengano da sé, senza pensare troppo. È avvenuto tutto a un ritmo spaventoso, ma l’atmosfera era pazzesca e il risultato mi ha più che soddisfatto”. 

Ora Parris ha fatto uscire un nuovo EP—si chiama Vicious—e sta gestendo sia il successo che la sua stessa evoluzione. Pare addirittura che Elton John si sia accorto di lei e le abbia chiesto di essere in giuria per The Cut, un concorso su YouTube per ricercare nuovi talenti e registi di video musicali. Niente di sconvolgente visto che, parlando con me, non ha esitato a dire, “Tutti lì fuori mi conoscono per la danza, ma ho anche sempre adorato stare dietro la cinepresa e dirigere”. Chiunque se la senta dovrà caricare sulla piattaforma il remake di un grande successo di Elton, “Bennie and the Jets”, e sarà Parris a fare la scelta finale. 

Non so prevedere, adesso, quale sarà la sua prossima mossa. È difficile farlo quando di fronte ti ritrovi un personaggio colmo di risorse. Una donna così piena di stile e potenza ti disarma. In realtà neanche lei è riuscita a sbottonarsi sulla questione. “Per ora vorrei solamente continuare a creare cose che il mondo non ha ancora visto. Vorrei avere la possibilità di riuscire a esprimere me stessa sempre, che sia in sala prove o in sala di registrazione”, mi spiega, quando le chiedo dove la vedremo tra qualche anno.

Il suo è un viaggio trasversale con poche pretese iniziali, ma che percorre senza ostacoli una traiettoria affollata di talento e acume. Il massimo comune denominatore di questa traversata in Nuova Zelanda è di certo la musica, che è sempre in grado di costruire e demolire tutto allo stesso tempo. Quando le chiedo cosa stia ascoltando recentemente, risponde: “Ari Lennox, Alex Islev, Kali Uchis, Joria Smith, Bryson Tiller, Nao e la A$AP Mob”. Quando invece provo a farmi dire cosa di più bello le abbia mai regalato la musica, mi racconta: “La musica per me è una seconda forma di espressione. Do il massimo quando devo creare una coreografia per un una delle mie canzoni e sapere che adesso altri ballerini danzano sulla mia musica è sicuramente il dono più grande”.

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