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Vice Blog

L'uomo senza patria

Mike Gogulski è un hacker anarchico di 41 anni, e nel 2008, dopo essersi trasferito a Bratislava, ha rinunciato alla cittadinanza americana per protesta contro i crimini commessi dal suo paese in tutto il mondo.

Foto di Atossa Araxia Abrahamian.

Nel 1863, Edward Everett Hale ha pubblicato un racconto breve intitolato “The Man Without a Country.” Parla di un tale, Philip Nolan, tenente dell’esercito americano, che, in un impeto di rabbia, rinuncia alla cittadinanza. In risposta, un giudice gli ordina di trascorrere il resto dei suoi giorni in mare, passando di nave in nave, senza poter ricevere alcuna notizia di quanto accade nel suo paese. All’inizio Nolan non sembra pentirsi della sua scelta, ma man mano che il tempo passa, inizia a sentire il peso dell’essere apolide. Più di ogni cosa, gli manca la sua patria. Poco prima di morire e di essere sepolto in mare, chiede che venga collocata una lapide in suo onore: “In memoria di Philip Nolan, tenente nell’esercito degli Stati Uniti. Ha amato il suo paese come nessun altro uomo l’ha mai amato; ma nessun l’ha meritato meno di lui.”

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Dai tempi di Hale, il vecchio filone narrativo dell’“uomo senza patria” ha subito un drastico aggiornamento. Voltare le spalle al proprio paese, sia nelle opere di finzione che nella realtà, non è più una decisione dalle conseguenze sconvolgenti—vivere all’esterno è una cosa normale (o almeno non così rara), così come possedere doppie o triple cittadinanze e tagliare i ponti con il proprio paese d’origine. I mercati e le tecnologie che ci circondano diventano sempre più globali, ed è naturale che lo diventino anche le persone.

Quello che i più non fanno, però, è rescindere formalmente i propri legami con la nazione d’origine e sancire formalmente l’essere una nazione a sè. Anche nel cosiddetto villaggio globale, dove il libero scambio e la comunicazione in tempo reale fanno sembrare i confini fisici dei residui di un passato pre-digitale, le nostre esistenze rimangono legate a un miscuglio di nazioni. La cittadinanza è fondamentale, e coloro che sono legalmente apolidi sono di solito hanno perso il loro diritto alla nazionalità a causa di regimi repressivi o di draconiani errori burocratici. Esistono grandi organizzazioni intergovernative che si dedicano ad aiutare questi ex-cittadini a riottenere i propri diritti di cittadinanza. L’apolidia non è una condizione che si sceglie liberamente di adottare.

Ma c’è un’eccezione degna di nota a questa regola: Mike Gogulski, un hacker di 41 anni anarchico ed ex-cittadino statunitense. Alla fine del 2008, è entrato nella ambasciata americana di Bratislava, in Slovacchia, e ha rinunciato alla cittadinanza; successivamente, in segno di protesta, ha bruciato il suo passaporto. Con ogni probabilità, è l’unica persona vivente ad essere diventata apolide di sua spontanea volontà. Oggi è un attivista per la libertà di internet, e sul suo blog nostate.com scrive di teoria anarchica, Bitcoin e Silk Road. Sono venuto a conoscenza del suo caso nel 2011, facendo delle ricerche sulla possibilità di rinunciare alla cittadinanza.

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Il numero dei cittadini americani che rinunciano alla cittadinanza era—ed è tuttora—in aumento: stando alle stime del governo americano, le rinunce sono aumentate da poche centinaia all’anno a oltre 3.000 nei quattro anni precedenti al 2013. Ciò è dovuto principalmente alle nuove leggi fiscali che costringono i cittadini americani a comunicare i loro estratti conti e i loro redditi ogni anno, sia che vivano negli Stati Uniti sia che vivano all’estero. Ma le motivazioni di Gogulski erano diverse: per come la vede lui, nessuno gli ha chiesto se volesse essere americano. “Non vorrei mai intrattenere una qualsivoglia relazione con il governo degli Stati Uniti. Niente da fare,” mi ha detto tra un bicchiere di whisky e una lattina di birra al Progressbar, uno locale di Bratislava frequentato da hacker, dove bazzica spesso.

Gogulski—che è cresciuto in un aranceto alla periferia di Winter Park, in Florida—ritiene inutile la partecipazione alla democrazia. “Il punto forte della democrazia è che la gente può votare per scegliere il governo che vuole, ma è una bugia,” mi ha spiegato, mentre camminava avanti e indietro per la stanza. “Magari si può cambiare qualcosa ai margini, ma l’organismo centrale dello stato—che si fonda sull’omicidio, sulla rapina e sullo stupro—va avanti.” Non è facile contraddire questa asserzione, eppure diventare apolidi crea più problemi di quanti non ne risolva.

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Quello principale è la mobilità: un apolide può spostarsi per l’Europa in base alle leggi di libera circolazione dell’UE, ma per uscire dalla cosiddetta zona Schengen ha bisogno di procurarsi un visto, una pratica che può richiedere mesi di trafile burocratiche. Un altro problema sono i documenti: senza una cittadinanza, attività semplici come prendere la patente o aprire un conto corrente si complicano a dismisura, e in questi casi è raro che nei documenti da compilare ci sia una casella “apolide” da barrare. In più, gli apolidi non possono richiedere alcuna protezione dal governo se si mettono nei guai all’estero (ma cosa significa “all’estero” quando sei apolide? La cittadinanza è una cosa normale anche nella semantica).

Non è difficile concepire l’apolidia volontaria di Gogulski come un gesto offensivo e sconsiderato: una questione morale portata avanti da un americano bianco intransigente che agisce in una condizione privilegiata. Se la stessa cosa l’avesse fatta una sarta del Bangladesh qualcuno se ne sarebbe mai accorto? Gogulski stesso riconosce che la sua situazione è molto diversa da quella di altri apolidi. Per lui essere apolide è un atto di solidarietà. “La cittadinanza è uno strumento di divisione di classe, la divisione gerarchica e di controllo sociale,” mi ha detto. “Non c’è uguaglianza fra cittadini e non cittadini.”

La verità è che ci si può liberare dello Stato solo in una certa misura. Per andare in giro, Gogulski utilizza il documento di apolidia rilasciato dalle autorità slovacche e un permesso di soggiorno dell’Unione Europea, non molto diverso da una patente. In quello che fa e dice c’è una certa ironia. Come tanti cittadini disgustati dai loro governi, vuole liberarsi dalle grinfie del potere statale. In particolare, vuole prendere le distanze dalle atrocità commesse dagli Stati Uniti, e la sua condizione di apolide è da considerare una forma estrema di obiezione di coscienza. Ma decidendo di diventare apolide, si è messo nella posizione di non avere né re né paese, e di non poter lasciare l’Unione Europea. Ci sono molti modi di descrivere la situazione in cui Gogulski si è cacciato, ma ce n’è uno che è un po’ più chiaro degli altri: sulla carta, si è fregato con le sue mani.

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Bratislava, in Slovacchia, dove l’ex cittadino americano Mike Gogulski vive da apolide.

Parlando con lui, non sembra che abbia vissuto fuori dagli Stati Uniti da 10 anni. Ha un vago accento della costa est, utilizza la grande maggioranza dei tradizionali riferimenti culturali americani e segue con assiduità le notizie che vengono dagli Stati Uniti. È alto circa un metro e 80, quasi calvo e ha il fisico di un nerd che un tempo era magro e ora è entrato nella mezza età dopo una vita passata a nutrirsi solo di anelli di cipolla e bibite gassate. Se è una buona giornata, è cortese, affabile e pieno di idee e opinioni di stampo cospirazionista. Ma è anche bipolare e soggetto a sbalzi d’umore vertiginosi, durante i quali non parla con nessuno né si alza da letto.

Per circa tre settimane prima della data in cui avrei dovuto fargli visita, tutte le mie email, le mie telefonate e i miei sms sono rimasti senza risposta. Poi mi ha detto che stava attraversando un brutto momento. Ma durante il primo fine settimana che abbiamo trascorso insieme a Bratislava, Gogulski era in ottima forma. Fumava un sacco di sigarette, delle Philip Morris che in Slovacchia costano meno di 2 euro a pacchetto, e nel corso della nostra prima serata si è scolato una bottiglia di whisky come se niente fosse. Quando il whisky stava per finire, ha cominciato a frugare nei cassetti alla ricerca di un po’ d’erba. Quando l’ha trovata in una bustina nascosta dentro un pacchetto di preservativi, ha fatto una pipa con una lattina di birra vuota.

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Nella comunità di hacker e anarchici locali, Gogulski è una piccola celebrità. E ciò dipende in larga parte dalla sua condizione di apolide: ogni mese riceve due o tre e-mail da parte di persone che vorrebbero rinunciare alla cittadinanza. Molti sono americani. È un nome noto anche nella comunità Bitcoin. Per vivere, gestisce un servizio di “mixing” per Bitcoin: si tratta di un procedimento che aggiunge un livello di anonimato alla traccia digitale lasciata dalla cripto-valuta.

Il primo scontro con la legge Gogulski l’ha avuto poco dopo aver abbandonato l’Università di Orlando, quando è stato arrestato per “phreaking”, ossia per aver rubato decine di migliaia di dollari in credito telefonico per chiamate interurbane da imprese locali, usandoli per comunicare con altri hacker. Il suo arresto del 1992 sembra uscito da una commedia americana: è stato effettuato da una poliziotta sotto copertura travestita fattorina della pizza, e Gogulski è stato accusato ai sensi della legge sulle frodi telematiche in vigore nello stato della Florida. “È stato pazzesco. Folle. Sono finito in prima pagina sui giornali, accanto alle notizie sulle rivolte razziali in California, è stato terribile. Ho pensato che sarei finito in prigione,” ricorda. Suo padre ha venduto la sua collezione di monete e di francobolli per pagare un avvocato, e Gogulski ha ottenuto un patteggiamento.

Ha dovuto svolgere 100 ore di servizi sociali, durante le quali ha tenuto lezioni sulla “mentalità hacker” a stanze piene di poliziotti. Pur essendo apolide, Gogulski non è esente dal diritto internazionale. Osama bin Laden, per esempio, è stato reso apolide dopo che l’Arabia Saudita ha revocato la sua cittadinanza nel 1994, ma è comunque riuscito a diventare l’uomo più ricercato del mondo (in realtà, secondo molti, una delle caratteristiche che rendono Al-Qaeda così insidiosa è proprio il fatto che non sia legata ad alcuno stato nazionale). Le autorità slovacche possono trattare Gogulski allo stesso modo in cui tratterebbero un qualsiasi altro cittadino. Ma non è chiaro che tipo di giurisdizione abbiano su di lui gli Stati Uniti. Nonostante si dica felice della non esistenza dell’estradizione dalla Slovacchia agli Stati Uniti, sta seguendo con attenzione la recente ondata di arresti nel mondo dei Bitcoin.

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“Sono consapevole del fatto che da un giorno all’altro potrei dover chiudere il mio servizio di mixing di Bitcoin,” mi ha detto poche settimane prima che il sito di scambio di Bitcoin Mt. Gox chiudesse, causando la scomparsa di milioni di dollari in bitcoin. Ai primi di marzo, Gogulski mi ha detto che la sua attività non è stata influenzata da quell’avvenimento. “Niente di nuovo da segnalare,” mi ha scritto in una email. “Me la sto cavando bene.”

Gogulski, che ha rinunciato alla cittadinanza americana nel 2008, per protesta contro i crimini commessi dal suo paese in tutto il mondo.

Tra gli attivisti, l’apolidia non è un modo comune di fare una dichiarazione d’intenti, ma è già stato fatto prima: Garry Davis, un pilota che aveva combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale e che poi aveva fatto l’attore a Broadway, è diventato un noto attivista pacifista quando ha deciso di rinunciare alla sua cittadinanza statunitense nel 1948. Aveva preso questa decisione dopo aver bombardato a tappeto la Germania e aver perso il fratello in battaglia; alla fine del conflitto Davis si era dichiarato “Cittadino del mondo numero uno” ed era rimasto apolide fino alla sua morte, avvenuta la scorsa estate all’età di 91 anni. Davis era un prodotto dei grandi giorni dell’internazionalismo postbellico e aveva dedicato la sua vita a promuovere un “governo mondiale”, tenendo discorsi alle Nazioni Unite con la collaborazione di intellettuali del calibro di Albert Camus, accampandosi di fronte ad ambasciate e consolati e finendo più volte in carcere per aver attraversato illegalmente delle frontiere.

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Gogulski ha molto rispetto per la figura di Davis, ma non aderisce alla sua visione di un mondo unito che parli esperanto. Gogulski è anarchico—vorrebbe un mondo senza governi, punto. A suo avviso, se lasciata a se stessa la gente si organizzerebbe in piccole comunità più eque e meno oppressive che consentirebbero all’umanità di prosperare oltre ogni limite—una visione ottimista, se non proprio ingenua. “Continuo a credere che la gente abbia la capacità di uscire dai limiti in cui è stata costretta finora,” mi ha detto, riferendosi, tra le altre cose, alla violenza, alla guerra, alla sorveglianza e alla sottomissione. “Il problema è la mentalità autoritaria. L’idea che l’obbedienza sia una virtù. Guardando sia la storia che i tempi attuali, non ci vuole un genio per rendersi conto che le persone obbediscono a ordini terribili e a persone stupide, e che il loro vero potenziale non si realizzerà mai se continueranno ad alimentare questi processi.”

Le radici di questa visione idealizzata di una società senza nazioni possono essere individuate nelle descrizioni utopiche di un futuro senza confini emerse agli albori di internet. Lui è un prodotto di queste filosofie: ha iniziato collegandosi ai torbidi forum su BBS e Usenet negli anni Ottanta e primi anni Novanta, parlando la politica, ideologie libertarie e legalizzazione degli stupefacenti. Per un bambino sotto Ritalin, affascinato dalla fantascienza e cresciuto in un’afosa periferia della Florida, tutto questo era troppo affascinante. Agli occhi dei suoi primi utenti, internet sembrava in grado di rendere obsoleti i governi e gli stati nazionali, e che i progressi tecnologici nel campo delle comunicazioni e delle criptovalute avrebbero presto consentito agli esseri umani di evolversi, passando dalla loro esistenza terrena a un più elevato stato dell’essere. Nei romanzi di fantascienza di Neal Stephenson comparivano criptovalute; i suoi personaggi si muovevano in un mondo post-nazionale dove le grandi aziende erano subentrate lì dove i singoli Stati avevano fallito.

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La visione distopica ha assunto una declinazione più positiva con John Perry Barlow, che ha fondato l’associazione libertaria Electronic Frontier Foundation, la quale nel 1996 ha pubblicato la “Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio.” “Governi del mondo industriale, voi stanchi giganti di carne e acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente,” si legge nella prima frase della dichiarazione. “Noi non abbiamo alcun governo, né siamo in grado di averne uno… io dichiaro che lo spazio sociale globale che stiamo costruendo è per sua natura indipendente dalle tirannie che voi cercate di imporci.” Ancora una volta, è un bel pensiero. Ma col senno di poi, è folle pensare che l’esistenza di una tecnologia che consentiva un’informazione decentralizzata potesse da sola smantellare strutture di potere che nel mondo reale esistono da secoli. Si tratta dello stesso errore che fanno i sostenitori delle criptovalute e quelli che credono che i social possano liberare gli oppressi e dar voce a chi non ce l’ha. Per essere una mentalità costruita su una profonda sfiducia nello Stato, non sembra che sia pienamente conscia delle dimensioni di ciò cui si mette contro.

Questa filosofia antistatalista sta vivendo oggi una sorta di rinascita. È ciò che ha ispirato lo sviluppo dei bitcoin e delle altre criptovalute e il motivo per cui queste sono diventate così popolari; è lo stesso motivo che ha portato Peter Thiel a finanziare il Seasteading Institute, un gruppo il cui fine è la fondazione di nuove città su piattaforme galleggianti in acque internazionali. Facendo un passo indietro, è il motivo per cui, nei primi anni Duemila, la società informatica HavenCo si è trasferita a Sealand—una piattaforma a largo della Gran Bretagna diventata un principato—per evitare che uno stato potesse avere controllo sui suoi server.

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Il problema di queste filosofie non è tanto che cercano di abolire, o di sfidare, lo Stato; è che, nella loro attuale incarnazione sono affascinanti soprattutto per persone come Gogulski, che è nato in una condizione privilegiata. Non sono soluzioni che possono essere considerate applicabili; anzi, sono limitate, solipsistiche. Questo rende ideologie come quella in cui crede Gogulski più simboliche che altro. “Dov’è la provocazione nel fatto che Gogulski faccia questa scelta adesso? Ho sempre pensato che fosse il fatto che l’apolidia non garantisce a nessuno un futuro,” mi ha detto Eugene Holland, professore dell’Università dell’Ohio e autore di Nomad Citizenship, un libro sulle forme di organizzazione alternative e post-nazionali. “Questi movimenti nascono quando lo Stato non viene più visto come fonte di progresso e di cambiamenti positivi.” Ho chiesto Holland se pensa che rinunciare alla cittadinanza possa cambiare qualcosa. Ha riso.

“È un gesto drammatico e un grosso sacrificio personale che può servire a sottolineare quanto poco siamo liberi nei confronti di uno Stato che monopolizza la concessione della cittadinanza e controlla i nostri spostamenti,” mi ha detto. “Ma non può cambiare nulla. Penso che il gesto di Goguslki abbia un forte valore simbolico. Ma materialmente, ha soltanto rinunciato alla sua libertà. È un gesto nobile. Ma non è un contributo positivo per nessuno.”

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Il cittadino del mondo Garry Davis mostra la sua carta d’identità. Foto di Yale Joel/Time Life Pictures/Getty Images

Gogulski è atterrato a Bratislava nel 2004, quando la sua fidanzata di allora, Stephanie Wilbur, aveva trovato un lavoro come insegnante di inglese. È stato in quel periodo che ha cominciato a interessarsi di politica. “Quando siamo partiti, era un periodo oscuro della storia degli Stati Uniti. In televisione non si parlava che di Abu Ghraib, di guerra, morte e distruzione, il tutto finanziato dalle nostre tasse,” ha ricordato Wilbur. “Non volevamo più esserne complici. Quando ci siamo trasferiti, la politica è diventata una parte molto grande della vita di Mike… probabilmente perché aveva più tempo libero.” Stephanie ha lasciato Bratislava l’anno seguente—voleva vedere il mondo, viaggiare di più—ma Gogulski, mi ha raccontato, aveva deciso che aveva visto abbastanza, così è rimasto lì e ha lavorato come tecnico informatico per alcune multinazionali. Vero la metà del 2008, la frustrazione di Gogulski nei confronti degli Stati Uniti aveva raggiunto l’apice—“quando la zuppa inizia a schizzare fuori dalla pentola,” come dice lui—così ha deciso che l’unico modo per rimanere fedele ai suoi ideali anarchici era diventare apolidi e aprire un blog sul tema, così che tutto il mondo potesse conoscere la sua storia.

Per spiegare quella decisione, i suoi amici citano sempre il suo implacabile senso di giustizia. “Ha un’etica talmente viscerale che non può essere frutto di una strategia ben studiata,” mi ha detto William Gillis, che insieme a Gogulski lavora come volontario presso il Center for a Stateless Society, un think tank che promuove l’“anarchia del mercato libero”, una filosofia politica che tenta di conciliare le forme di auto-organizzazione stile kibbutz con le idee liberali di scuola austriaca. “Ha intrapreso una battaglia straordinaria, alla fine della quale gli Stati Uniti hanno riconosciuto il fatto che non fosse più cittadino americano. Un sacco di persone sfidano lo Stato, ma Mike è l’unico a essere andato fino in fondo. E ha fatto enormi sacrifici per questo motivo.”

“È una questione più personale del non voler essere complice di certe cose che vengono fatte nel tuo nome, che si tratti di far saltare in aria cerimonie nuziali o commettere milioni di altre atrocità,” mi ha spiegato via Skype Arto Bendiken, un amico di Gogulski che vive a Berlino. “La sua decisione non ha alcuna conseguenza per le altre persone, ma da un punto di vista morale ha dovuto uscire dal sistema.” Quando ho chiesto a Gogulski se rimpiange di aver fatto quella scelta, mi ha guardato stranito. “Come si può rimpiangere di essere diventati la persona che si è?”, ha detto. Le uniche cose che, dice, gli mancano degli Stati Uniti sono il cibo messicano e le tavole calde aperte tutta la notte. “Posti come Danny’s e Waffle House hanno un posto speciale nel mio cuore,” ha detto. “È incredibile. Un luogo dove puoi farti servire un’omelette a qualsiasi ora del giorno? In mezzo al nulla?”

Nonostante tutta la sua rabbia e i suoi gesti simbolici, la vita di Gogulski è abbastanza tranquilla. “Sono abbastanza contento di stare qui,” mi ha detto. “Vivo nella mia testa, più che altro.” La scorsa estate ha sposato la sua compagna, Eva, con un rito né religioso né civile che si è tenuto al Progressbar (Gogulski è stato sposato già una volta negli Stati Uniti; lui e la sua ex moglie si sono separati nel 2000 e hanno una figlia, ma lui non ha contatti con nessuna delle due). Quando la sposa e lo sposo sono arrivati alla festa, i loro amici e familiari hanno lanciato degli hot dog al posto dei fiori—simbolo, nella religione parodistica del Discordianiesimo, di tutti gli alimenti che sono vietati dalle principali religioni del mondo (a detta di tutti, Gogulski non è nulla ma piuttosto è contrario a tutto).

Il gatto di Gogulski, Charlie, e il suo passaporto.

Gogulski ed Eva vivono insieme nel suo appartamento in affitto, che per puro caso si trova di fronte alla sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e gli apolidi. L’appartamento è angusto, disordinato e polveroso, e odora fortemente di fumo e vagamente di pipì di gatto. Eva è slovacca in tutto e per tutto; lavora presso l’ambasciata cinese, dove si occupa di visti e di altri documenti. La razza e la provenienza del gatto, Charlie, sono sconosciute, ma anche lui ha un passaporto per animali domestici dell’Unione Europea, su cui c’è il suo nome, il sesso e la data di nascita. Gogulski trascorre la maggior parte del suo tempo in camera da letto, si alza di rado prima del tardo pomeriggio e passa le giornate a lavorare a uno dei nove computer che tiene sempre accesi. Avrà anche detto addio agli Stati Uniti da anni, ma le sue giornate si svolgono ancora in base agli orari della East Coast. La figlia sedicenne di Eva, che vive lì vicino, ogni tanto va a cena da loro; i suoi due chihuahua si fanno vedere spesso, e presto la coppia avrà un gattino a pelo corto di nome Anubi. “Io lo chiamerò Nubi,” mi ha detto allegramente Gogulski.

La vita di Gogulski è interessante—non perché sia particolarmente emozionante (tutto il contrario), ma perché suggerisce un modo di vivere al di fuori, o almeno ai margini della vita sociale ed economica ordinaria, pur rimanendo in un ambiente urbano tecnologicamente avanzato. Lui non ha un paese, un lavoro o un capo; guadagna per lo più tramite le pubblicità sul suo sito e le commissioni del suo servizio di mixing di Bitcoin. Non ha un conto corrente e paga sempre e solo in contanti o in Bitcoin. Il suo tentativo di esistere al di fuori dei confini dello Stato ha avuto successo, in una certa misura. La sua vita è più o meno la versione urbana di Into The Wild (sulla sua scrivania c’era una copia del libro, ma mi ha detto di non averlo ancora letto).

Ma per ora, la sua vita non è che questo—un suggerimento che possa esserci un altro modo di esistere, seppur distopico. Non è colpa di Gogulski: è bloccato in una situazione in cui i suoi ideali sono così radicalmente incompatibile con lo stato di cose in cui vive che non c’è altro che possa fare. Di fronte a tanta futilità, i suoi sforzi sono ammirevoli, ma in pratica, i risultati che ha ottenuto finora sono un po’ deprimenti. “[Gogulski] è una delle tante persone che hanno riflettuto sulla natura dello Stato moderno e hanno rifiutato molti dei presupposti su cui si basa,” mi ha detto James Grimmelmann, un professore di diritto presso l’Università del Maryland esperto di secessioni tecno-utopiste. “Questa idea secondo cui il governo sia per natura dispotico viene da lontano. Ma ha assunto una forma molto moderna tramite la tecnologia. C’è un filo conduttore che accomuna la rinuncia alla cittadinanza e i Bitcoin. Sono tutti sforzi per rendere possibile l’emancipazione dal controllo statale.”

Vinay Gupta, un amico di Gogulski che ha officiato il suo matrimonio, lo vede come un pioniere. “Sta dimostrando che è possibile vivere come un individuo senza stato usando strumenti economici indipendenti dallo stato,” mi ha detto via Skype. “Se avesse ottenuto lo stesso risultato all’interno di un’economia nazionale sarebbe ipocrita—vivrebbe comunque grazie alle cose di cui vuole liberarsi.” Questa visione, sulla carta, è decisamente radicale. Allude a un modo totalmente nuovo di esistere nel mondo, ed è certamente un nuovo modo per dire al mondo di andare a farsi fottere. Ma ha dei difetti: i Bitcoin, per cominciare, hanno dimostrato di non essere né sicuri né anonimi quanto i loro sostenitori credevano. Prima della grande crisi dei Bitcoin del 2014, Gogulski e i suoi avevano già parlato di come quella moneta fosse in un certo senso passata—più che come un risultato pratico, per loro i Bitcoin erano una rappresentazione teorica del percorso da seguire. Non c’è dubbio che le criptovalute diventeranno sempre più avanzate e consentiranno sempre più transazioni decentralizzate e in tutto il mondo. Ma le limitazioni tecniche odierne hanno messo il freno a quanto Gogulski possa realmente essere indipendente dallo Stato. Un fondo senza stati potrebbe benissimo essere all’orizzonte, in futuro. Ma nella vita reale, nel 2014, non è ancora così.

Gogulski è apolide e vive a Bratislava, ma visto qual è il suo obiettivo, potrebbe vivere ovunque. Non è costretto a vivere alla deriva sul mare come il tenente Philip Nolan, affrontando le conseguenze delle sue azioni. Non gira il mondo per denunciare l’arbitriarietà delle frontiere come Garry Davis. Gogulski non può lasciare l’Europa e, per sua stessa ammissione, non desidera nemmeno farlo. Non ha bisogno del mondo. Ha internet, la sua comunità; la costante speranza che la tecnologia ci possa liberare; un gatto che ha un passaporto e una moglie che si guadagna da vivere rilasciando visti. È questo il futuro utopico che tutti stavamo aspettando?