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Dobbiamo davvero iniziare ad aver paura di Donald Trump?

Nonostante ci credessero in pochissimi, Donald Trump sembra inarrestabile. Abbiamo parlato con Alexander Stille di quali sarebbero gli effetti di una sua candidatura a livello globale e sul dibattito italiano.

Foto via Wikimedia Commons.

Da quando Donald Trump ha annunciato tra la diffidenza generale che si sarebbe candidato per le primarie del partito repubblicano, ha stralciato ogni regola del politically correct prendendo la scena della politica americana e internazionale. Ha rafforzato l'immagine di ricchezza e arroganza che già lo contraddistingueva, e ha fatto il possibile per superarsi a ogni sua singola esternazione. Ha fatto il verso a un giornalista disabile e insultato ripetutamente le donne, ha umiliato l'avversario di turno e incassato senza batter ciglio l'appoggio di uno dei leader del Ku Klux Klan.

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E come suggeriscono anche i risultati della scorsa notte in Arizona, a meno che il partito repubblicano non riesca a trovare una "soluzione", Donald Trump sarà il candidato repubblicano alla presidenza USA del 2016.

Nel frattempo però il suo è diventato un fenomeno che va ben oltre i confini degli Stati Uniti e riguarda indirettamente anche il nostro paese. Per capire quali sarebbero gli effetti di una sua vittoria sulla politica globale e sul dibattito nostrano, ci siamo rivolti ad Alexander Stille, firma del New York Times, professore di giornalismo alla Columbia University e autore di articoli e libri sulla politica italiana.

With millions of dollars of negative and phony ads against me by the establishment, my numbers continue to go up. Can anyone explain this?

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)18 marzo 2016

"La forza della sua candidatura ha sorpreso tutti, anche me," esordisce al telefono Stille. "Per capire cosa comporta bisogna partire da dove nasce: è la dimostrazione che il malumore e lo scontento di una parte importante della popolazione è più forte del previsto, e che c'è una ribellione dentro il partito repubblicano nei confronti del suo establishment. Il bacino elettorale di Trump si sente abbandonato dagli eventi degli ultimi trent'anni," continua.

Il bacino elettorale a cui fa riferimento Stille è da ricercare nell'uomo di etnia bianca, con un reddito medio basso e senza un'istruzione universitaria. Le ragioni del sentimento che spingono questo tipo di elettorato a votare Trump, mi spiega Stille, consistono nel fatto che in America quella specifica categoria ha oggettivamente perso terreno negli ultimi decenni—in termini di stabilità economica e lavorativa—rispetto ad altri gruppi o minoranze che al contrario hanno registrato importanti progressi.

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Della rabbia e dalla sfiducia nei confronti del partito si alimenta quindi l'ascesa di Trump, che lo ha visto contro ogni pronostico liberarsi uno a uno dei candidati spinti dal partito—primi su tutti Jeb Bush e Marco Rubio. Ma se le conseguenze della corsa di Trump sono da sempre palesi all'interno dei confini statunitensi, con l'avvicinamento alla scelta del candidato si parla sempre di più degli effetti che questa provoca a livello globale.

Già a metà gennaio, in seguito alla proposta del candidato repubblicano di non fare far entrare i musulmani in America, nel Regno Unito erano state raccolte 400 mila firme per una petizione per negare a Trump di entrare nel paese—poi respinta dal parlamento, in quanto contro la libertà d'espressione.

La scorsa settimana a riportare in auge la questione della pericolosità di Trump è stato l'Economist. Il dipartimento di ricerca della rivista, l'Economist Intelligence Unit, ha infatti inserito un'eventuale vittoria di Trump alle presidenziali nella lista delle minacce alla sicurezza mondiale, segnando per la prima volta la presenza di un candidato presidente nella classifica. Nonostante nell'analisi venga chiarito che sui dettagli della politica estera di Trump si sa ben poco, secondo gli studiosi alcune tematiche emerse—quali l'ostilità al libero scambio, l'atteggiamento nei confronti della Cina e l'espressa volontà di schiacciare le famiglie dei terroristi e invadere la Siria—danno a Trump 12 punti su 25 in nella scala di pericolosità, al pari con il rischio del terrorismo jihadista di destabilizzare l'economia mondiale.

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Foto via Flickr

"Trump è una scheggia impazzita. Non sappiamo se costituirebbe una vera minaccia per la sicurezza mondiale, ma il fatto che non lo sappiamo è già in sé molto preoccupante," commenta Stille. "Trump è uno che per attirare l'attenzione dei media dice cose oltraggiose tutti i giorni. Non possiamo sapere in quante delle cose che dice crede davvero e quante sono semplicemente dei bluff. Inoltre non dobbiamo dimenticarci che è un uomo piuttosto ignorante, sa molto poco del resto del mondo," conclude.

Se, come spiega Stille, al di là di alcuni temi ricorrenti non esiste un'agenda di politica estera che permetta di giudicare il reale rischio globale rappresentato da Trump né le sue vere intenzioni, per adesso i suoi rapporti con gli altri attori mondiali a parole non possono che far preoccupare.

"È un uomo narcisista e molto umorale, dalla retorica estremamente bellicosa. Da come si presenta oggi è capace di rompere i rapporti diplomatici con una certa nazione perché un suo rappresentante l'ha offeso. Ovviamente non è così che si comporta una grande potenza, tutto ciò non è auspicabile," mi dice Stille.

….likewise, billions of dollars gets brought into Mexico through the border. We get the killers, drugs & crime, they get the money!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)13 luglio 2015

A far discutere fin dagli inizi della sua campagna elettorale sono sicuramente le dichiarazioni rilasciate sul Messico, responsabile secondo il candidato di inviare agli USA stupratori e droga e contro il quale si dovrebbe costruire un muro. Trump ha inoltre messo in discussione i rapporti commerciali con Cina e Giappone e, solo l'altro ieri, criticato la NATO mettendone in discussione l'utilità e l'adesione degli Stati Uniti all'organizzazione.

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L'ultima presa di posizione di Trump in termini di politica estera risale infine a ieri, quando

ha commentato

gli attentati di Bruxelles richiamando a un incremento dell'uso del metodo di tortura del waterboarding.

Do you all remember how beautiful and safe a place Brussels was. Not anymore, it is from a different world! U.S. must be vigilant and smart!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)22 marzo 2016

"D'altra parte sono tutte esternazioni, in un certo senso è un po' come Berlusconi: quello che lui offre è se stesso e ci dice 'se ci fossi io a trattare con i cinesi tutto sarebbe diverso.' Però non spiega come tutto sarebbe diverso. Lui è l'uomo forte che è in grado di trattare e arrivare a risultati migliori, ma non dice niente sul come e quali," mi dice Stille.

Donald — Matteo Salvini (@matteosalvinimi)29 gennaio 2016

Ma in concreto, quanto ci riguarda Trump, e cosa significherebbe una sua vittoria? Se nelle scorse settimane si sono susseguiti paralleli tra Trump e Berlusconi—anche se nel paragonare i due, mi dice Stille, che ha dedicato un articolo al tema, "è importante ricordare che se Berlusconi ha fatto ingenti danni solo all'Italia, i danni di Trump sarebbero su scala internazionale"—l'attenzione riguarda anche le forze populiste che muovono la politica di entrambi i paesi.

"In un certo senso i due fenomeni [quello delle forze populiste in Italia e di Trump], sono legati. Una sua elezione sicuramente non nuoce a quelle altre forze, penso alla Lega e al M5S. Sono fenomeni molto, molto simili. Se uno vuole capire il fenomeno Trump basta guardare in casa."

Anzi: secondo Stille, il fatto che l'Italia abbia già vissuto dinamiche simili fa sì che qui Trump venga visto come una cosa normale, con la conseguenza di abbassare il livello di attenzione. "I movimenti populisti sono fenomeni che dipendono più da situazioni nazionali che internazionali," conclude Stille, "ma che sicuramente potrebbero essere rafforzati da una vittoria di Trump."

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