Questo è un approfondimento della sesta puntata del podcast “Sulla Razza” dedicata alle “coppie miste”, che nell’Italia di oggi sono ancora viste come una stranezza.
“Sulla Razza,” di Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso, vuole intavolare una conversazione sulla questione razziale in Italia, e vuole farlo utilizzando un linguaggio aggiornato. Esce a venerdì alterni, e puoi ascoltarlo su Spotify, Apple e Google Podcast. Intanto, segui “Sulla Razza” su Instagram, o vai in fondo all’articolo per avere più informazioni sulla nostra collaborazione col podcast.
Videos by VICE
Siamo abituati a pensare che i nostri gusti in fatto di relazioni amorose siano del tutto personali e liberi da condizionamenti esterni. “L’amore è cieco,” recita un detto famoso; ma è davvero così? Più realisticamente, forse, viviamo immersi in una società che plasma la nostra percezione del mondo e le nostre decisioni molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. Anche in fatto d’amore.
La diversità religiosa o quella etnica all’interno della coppia, per esempio, sono ancora guardate con sospetto misto ad apprensione, e di fronte ai condizionamenti sociali non è facile fare tabula rasa.
Gli stereotipi che dipingono gli uomini razzializzati come un pericolo per le donne non sono nuovi—conosciamo tutti la locandina fascista che recita “Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia”, rispolverata in questi anni da Forza Nuova—e attingono direttamente da ciò che il sociologo Calvin Hernton chiama sessualizzazione del razzismo.
Come spiega Sara Farris, professoressa alla Goldsmiths University a Londra e autrice di Femonazionalismo, Il razzismo nel nome delle donne, l’immaginario razzista si serve di potenti metafore sessuali: una fra tutte quella del mito dell’uomo nero stupratore. Nella rappresentazione che si fa degli uomini razzializzati sui media questo mito è tirato in ballo con violenza ogni volta che un fatto di cronaca ne dà l’opportunità.
Come mi spiega al telefono Marie Moïse, attivista, traduttrice e dottoranda in Filosofia politica all’Università di Padova e Tolosa II, la rappresentazione dell’uomo razzializzato in Italia è duplice: “Da una parte c’è quella ipervirilizzata e che quindi rappresenta un pericolo, l’incarnazione dell’abuso sessuale. Dall’altra è quella del nero fragile, da salvare in mare: non una persona con cui costruirsi una famiglia.”
Gli uomini neri non possono essere visti come dei buoni mariti e dei buoni padri. “Le donne bianche vengono educate a indossare le lenti sessuo-razziali nei confronti degli uomini neri sin dall’infanzia,” continua Moïse. “Le favole, le ninna nanne, le emozioni che gli stessi genitori trasmettono camminando mano nella mano per strada spingono ad avere paura dello straniero.”
In più, a tutte le donne—non solo quelle bianche—viene imposto, tramite costruzioni culturali e sociali, di cercare uno specifico modello di uomo, che “è bianco anche quando non è esplicitamente definito tale: ha potere economico e sociale, è una figura a cui ci si può affidare. Un vincente e non un raté de père, un padre fallito, come è stato definito l’uomo nero dal colonialismo.”
Questa ideologia è abbracciata e mantenuta in vita dai partiti occidentali di destra, come spiega nel suo libro Farris, il cui obiettivo è tenere gli uomini stranieri lontani dalle donne “native,” che sono invece incoraggiate a continuare la lunga tradizione delle madri e delle nonne e di partorire bambini bianchi. Le donne hanno il compito di assicurare l’omogeneità etnica nazionale delle generazioni future—e se a questo punto vi vengono in mente le teorie della sostituzione etnica o il Piano Kalergi, non vi sbagliate.
Moïse, che ha tradotto Femonazionalismo in italiano, racconta che “sia mia nonna paterna che mia madre hanno dovuto affrontare molte resistenze da parte delle loro famiglie bianche quando hanno portato a casa il loro compagno. A mia nonna dissero ‘se ti sposi quello non tornare più’, a mia madre ‘oddio uno straniero’. Temo che oggi i meccanismi di rifiuto siano più subdoli, ma non assenti.”
Una famiglia bianca, continua, “è ancora spinta a desiderare la bianchezza e a temere tutto ciò che non lo è. A livello sociale e istituzionale è la segregazione fisica a non facilitare gli incontri. E i pochi luoghi in cui ci troviamo a mescolarci, come i treni o la metropolitana, sono pieni di telecamere e polizia, dove si impara a tenersi stretta la borsa e a vedere trascinato via lo straniero di turno.”
Questo bagaglio di pregiudizi, stereotipi e paure—unito a una netta segregazione sociale ed etnica—crea la formula magica di un elisir d’amore al contrario. Non sorprende infatti che, come riporta l’Istat, i matrimoni misti in cui lo sposo è italiano sono il triplo rispetto a quelli in cui è la donna ad esserlo.
Per Moïse, il tema delle coppie viene troppo spesso appiattito su questioni culturali, come se si riducessero a un incontro tra culture. Andrebbero viste invece “alla luce del razzismo istituzionale presente nella nostra società: ad oggi, che una donna italiana possa stare con un uomo straniero [nel senso di razzializzato] è considerato impensabile, anche solo idealmente. Se il matrimonio tra donne italiane e uomini non italiani fosse accettato, questo andrebbe a ribaltare la politica migratoria, che ora guarda alle donne straniere come necessarie e non gravose, perché si occupano del lavoro di cura, e agli uomini stranieri come un pericolo o un peso per la società.”
In Americanah, la scrittrice femminista Chimamanda Ngozi Adichie fa dire alla protagonista: “La soluzione più semplice al problema della razza in America? L’amore romantico […], quel tipo di amore che ti piega e ti contorce e ti fa respirare con le narici della persona amata. E siccome l’amore romantico e profondo è così raro, e siccome la società americana è fatta in modo da renderlo ancora più raro tra neri americani e bianchi americani, il problema della razza in America non si risolverà mai.”
Chiedo a Moïse che cosa pensa del brano. “L’amore romantico può mascherare meccanismi tossici, ma nel significato che il femminismo nero gli dà può essere uno strumento molto potente,” mi risponde. “Condividere la stessa lotta permette di pensarsi in una relazione che non è esclusivamente politica, anaffettiva, ma anche d’amore. Questo legame ha il potere di proiettarsi in un mondo che è riuscito a ribaltare i rapporti strutturali di dominazione.”
Insomma, conclude Moïse, le relazioni personali “possono essere un terreno dove sperimentare alternative agli squilibri di potere che esistono nella nostra società. Da attivista penso che provare a cambiare le cose insieme sia la cosa più appassionante che ci sia.”
Per 30 minuti, due volte al mese, Sulla Razza tradurrà concetti e parole provenienti dalla cultura angloamericana, ma che ci si ostina ad applicare, così come sono, alla realtà italiana—BAME, colourism, fair skin privilege. In ogni episodio si cercherà di capire come questi concetti vivono, circolano e si fanno spazio nella nella nostra società. Sulla Razza sarà anche una newsletter, e qui su VICE pubblicheremo periodicamente contenuti di approfondimento sulle singole puntate.
Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso, grazie anche alle voci e ai punti di vista degli italiani non bianchi, parleranno di come queste parole impattano le vite di chi è marginalizzato e sottorappresentato da molto tempo.
Sulla Razza è un podcast prodotto da Undermedia grazie al supporto di Juventus.