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Ai tempi del suo boom musicale nei tardi anni Settanta, Prince sembrava la personificazione della rivoluzione sessuale—un uomo sfacciatamente a proprio agio con argomenti tabù, orgoglioso della propria esplicita eccitazione sessuale, armato della sfrontatezza necessaria per presentarsi nudo, mezzo nudo o agghindato con camicette decorate e varia gioielleria facciale per far godere se stesso e i suoi milioni di fan ansimanti.
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Mentre Michael Jackson, a cui viene spesso paragonato, sembrava reprimere pubblicamente le proprie pulsioni sessuali, Prince si è sempre rotolato gaiamente nelle sue, facendo dei raptus ormonali il proprio biglietto da visita mentre strillava “I Wanna Be Your Lover”, cantava le lodi del sesso orale in “Head”, o prometteva di farti diventare cieco in “Jack U Off” o si infilava anche in un drag metaforico in “If I Was Your Girlfriend”.
Sua Maestà Violetta Tascabile era un folle effemminato, frivolo, senza vergogna, che sfidava le restrizioni a tal punto che la sua implacabile provocatorietà mandò nel panico Tipper Gore che finì per mettere in guardia pubblicamente i genitori verso la sua musica. Ma questo, naturalmente, non fece altro che renderlo ancora più desiderabile per i ragazzini, che trovavano sempre il modo di uscire alla luce della cherry moon e assorbirne i raggi proibiti.
Sempre alla ricerca di “Controversy” grazie alla sua “Dirty Mind”, Prince era anche in grado di raggiungere vette poetiche (“When Doves Cry”), fare il romanticone (“Raspberry Beret”), o anche toccare la politica con l’inno definitivo per la fine del mondo (“1999”). I suoi ammiratori seguivano ogni suo orgasmo pubblico, estendendo il suo regno violetto su vari caldi decenni di gioia e furore.
La sua musica ha sempre continuato a pompare nelle discoteche, dove la malizia dei testi era totalmente benvenuta e il suo tono osceno si sposava perfettamente con questo ambiente artificiale formato da gente che agita i propri corpi insieme a partner con cui più avanti farà sesso.
Sul palco—dove per mia fortuna l’ho visto molte volte nel corso degli anni—Prince era un generatore instancabile di elettricità, una persona che viveva per dare spettacolo e che cantava e ballava per ore senza mai fermarsi, a disposizione una riserva sconfinata di genio musicale e una pletora di mosse da ragazzaccio.
Non ho mai saputo se fosse etero, gay, bi, e nemmeno se fosse maschio o femmina—tale era la fluida elettricità del suo personaggio, che galvanizzò la nostra bigotta Nazione ben prima che il genere diventasse argomento di discussione comune, riempendola dei suoni pulsanti della passione e nel frattempo glorificando il freak affascinante, l’outsider ribelle, il dandy oscuro.
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La sua personalità determinata, la sua gamma di ragazze bellissime, le sue improvvise e assurde pretese (tipo “Chiamatemi L’Artista Originariamente Noto Come…”—e tutti obbedirono) lo hanno reso una figura enigmatica e affascinante, come il ragazzino tiranno nel famoso episodio di Ai Confini Della Realtà “It’s a good life”, ma con la capacità di ridere autoironicamente del proprio potere sui media, e con la capacità di usarlo per scuotere il pensiero banale.
Per me—e per molti altri gay in cerca di punti di riferimento—era un’icona LGBT che rappresentava implicitamente la libertà sessuale e l’accettazione, specialmente vista la sua passione per la moda camp, il design per interni in stile Liberace, e per i testi espliciti accompagnati da ritmi pulsanti che avrebbero messo la voglia di scopare a una pietra.
Disgraziatamente, finì anche per rimanere intrappolato nella sua bolla violetta di privilegio e cominciò a lanciarsi contro i gay. Negli anni Zero, Prince si convertì a Testimone di Geova e dichiarò in un’intervista al New Yorker del 2008, “Dio venne sulla Terra e vide gente che se lo infilava dappertutto e lo faceva con qualunque cosa. E ha fatto piazza pulita. Ha detto basta.”
Nel 2013 uscì la sua canzone “Da Bourgeoisie” che comprendeva un verso ripugnante in cui la sua reazione alla notizia che la sua ragazza è stata con un’altra ragazza è: “Vorrei non averti mai baciata… bleah” con uno sputo disgustato. A quanto pare, per l’onnicomprensivo Prince, il liberatore, questa era un’offesa imperdonabile, che meritava puro disprezzo e pietà. Due anni fa, Gawker ha riportato che durante un’apparizione nel programma TV di Arsenio Hall Prince abbia fatto in modo di manifestare varie volte la propria omofobia, arrivando a sussultare ricordando tutti gli uomini che lo hanno sfiorato a una festa post-Oscar poco tempo prima.
All’improvviso, io—uno dei suoi fan più sfegatati e fedeli—ero ridotto a un errore nella mente ristretta dalla fuffa religiosa del mio idolo. Che tristezza. Che ipocrisia. Se i gay dovessero essere buttati nel cesso, non c’è dubbio che Prince sarebbe tra i primi a finire sott’acqua!
Come fa un simbolo di liberazione a trasformarsi in un simbolo di oppressione? Purtroppo succede continuamente, guardiamo anche Barry Humphries (AKA la drag queen Dame Edna) che attacca le donne trans sostentendo che non siano vere donne, ma soltanto uomini mutilati. La curva storica finisce troppo spesso per portare le persone dalla prima linea dell’evoluzione sociale alle retrovie occupate dai reazionari che prima le contrastavano, senza che si rendano conto di essersi trasformate nei propri nonni.
Per quanto sia stata tragica questa svolta nella sua vita, non riesce a mettere in ombra quello che la musica e il personaggio di Prince sono riusciti a fare durante gli anni Settanta e Ottanta, ossia di esplodere in faccia al mondo come un gigantesco, strabordante orgasmo pieno di proteine e lustrini. Ha preso la società per il colletto, liberandola di un’educazione stantia e gettandola in un boudoir pieno di possibilità. Sexy.