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‘Fino a che non incontri più storie, pensi sia un problema solo tuo’

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Tra le azioni discriminatorie che colpiscono le persone razzializzate, una delle meno raccontate è la profilazione razziale—in inglese racial profiling.

La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) la definisce una “pratica persistente,” compiuta dalle forze dell’ordine senza “alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole” quando procedono a operazioni di controllo o sorveglianza, mosse soprattutto da “pregiudizi fondati sulla razza, il colore della pelle, la lingua, la nazionalità.”

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Il fenomeno si scontra con una precisa percezione: quella secondo cui la profilazione razziale sia una tendenza pressoché esclusiva degli Stati Uniti. E invece, in base al rapporto “Esseri neri nell’UE” dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA), viene vissuto anche in Europa.

Dalla ricerca—condotta tra il 2015 e il 2016 attraverso interviste mirate a quasi seimila afrodiscendenti in dodici diversi Paesi, Italia inclusa—emerge infatti che un quarto del campione era stato fermato da forze di polizia nei cinque anni precedenti, e in quattro casi su dieci legava il fermo più recente a profilazione. Tra le persone fermate nei 12 mesi prima dell’indagine, il 70 percento del campione italiano parlava di profilazione razziale.

Non si tratta degli unici numeri disponibili: in Francia, ad esempio, i giovani ‘percepiti come neri o arabi’ avrebbero venti volte più probabilità di essere fermati e perquisiti di qualsiasi altro gruppo maschile, con una frequenza dei fermi e l’accumularsi di esperienze negative che andrebbero a influire sul livello di fiducia nelle forze dell’ordine. In Inghilterra e nel Galles (dove simili dati sono per legge racconti in modo sistematico) le persone nere hanno nove volte più probabilità di essere fermate rispetto ai bianchi.

In un articolo di Euronews, inoltre, la Rete europea contro il razzismo (ENAR) spiega che “le persone prese di mira possono essere diverse a seconda del contesto nazionale e della storia,” portando l’esempio delle persone rom in Europa Orientale.

In Italia, ad oggi, non ci sono dati specifici ed estesi sul fenomeno—e nella maggior parte dei casi, se sentiamo parlare di profilazione è tramite denunce sui social network di persone che hanno vissuto fermi di polizia con la netta percezione di motivazioni razziali.

È in questo contesto che sono stati per esempio inseriti il recente episodio alla stazione centrale di Milano—dove due cugini sono stati fermati e aggrediti verbalmente da alcuni agenti durante un controllo—o i fatti, sempre a Milano, al McDonald’s di Piazza XXIV Maggio.

Il grosso problema è che in Italia il dibattito sul tema “non è ancora iniziato,” come ha sottolineato in un articolo il fondatore dell’Associazione Cittadini del Mondo di Ferrara Robert Elliott, cittadino inglese che da quarant’anni vive e lavora a Ferrara (nel Regno Unito era un paramedico e attivista anti-apartheid).

Nel 2010 lo stesso Elliot ha fondato con ragazzi e ragazze, in larga maggioranza di seconda generazione, il progetto Occhio ai media, che monitora gli articoli che “mirano a denigrare e discriminare le minoranze etniche.” “Seguendo con attenzione il lavoro della stampa,” mi dice Elliot al telefono, “siamo arrivati naturalmente alla profilazione razziale, vista la costante criminalizzazione, in particolare di rom e neri.”

Nel 2020, Occhio ai Media ha pubblicato un report (intitolato “Ai tempi di una pandemia nessuno è straniero”) sui controlli delle forze dell’ordine durante il lockdown e la discriminazione mediatica a Ferrara—uno dei pochissimi sul tema. Nell’introduzione si legge che, durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria, c’è stata una “presenza massiccia di articoli riguardanti controlli Covid-19, stranieri, zona GAD [un quartiere multietnico di Ferrara] ed espulsioni.”

Anche se manca un adeguato dibattito pubblico, prosegue Elliot, “se vai in una qualsiasi stazione ferroviaria trovi poliziotti o carabinieri che fermano principalmente ragazzi neri. Tutti sanno che succedono queste cose, ma non fanno niente.” Una storia che ci tiene a raccontare è quella del segretario dell’associazione Cittadini del Mondo, anche lui di origine straniera. “Abita in una zona multietnica di Ferrara e quando scende a buttare la spazzatura viene spesso fermato,” mi dice. “Ormai ogni volta che esce porta i documenti con sé. Non possiamo lasciare che i giovani combattano da soli questa forma di razzismo istituzionale. Tocca anche a noi, alla società in generale, sollevarli.”

L’essere identificati come soggetti pericolosi o privi di documenti in base al colore della propria pelle ha del resto anche ricadute pesanti sulla psiche dei soggetti razzializzati, come sanno bene le persone che hanno deciso di ospitare all’interno di Blackn[è]ss Fest—evento culturale dedicato alla rappresentazione dell’universo afrodiscendente in programma a Milano dall’1 al 3 ottobre—un tavolo dove si parlerà proprio di profilazione razziale ed effetti sulla salute mentale.

Una delle relatrici è Ariman Scriba, 24enne milanese di origine marocchina laureanda in chimica e tecnologia farmaceutiche, che da un paio di anni si occupa di questi argomenti. “Lo faccio soprattutto per un vissuto personale”, mi spiega. “Sono questioni che ho approfondito anche durante gli studi, ma ho scelto di parlarne pubblicamente dopo il suicidio di mio fratello Ilyas. Mi sono ripromessa di non silenziare questo tema e affrontare lo stigma che ancora oggi circonda tutto quello che riguarda la salute mentale.”

Il fratello aveva 19 anni e soffriva di un disturbo bipolare. “Più volte si è trovato davanti operatori e operatrici delle forze dell’ordine incapaci di gestire il suo contesto di fragilità,” ricorda Scriba. “Le sue origini marocchine lo hanno esposto a maggiori probabilità di essere fermato, spesso con modalità aggressive che non sono il massimo quando hai una crisi psicotica.”

Un altro relatore che parteciperà al tavolo su profilazione razziale e salute mentale del Blackn[è]ss Fest è Hilal Alexander Beraki, 41enne catanese di origine eritrea, che per molti anni ha lavorato come sindacalista CGIL e poi come mediatore linguistico e culturale per Emergency e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Hilal Beraki mi dice che la profilazione razziale è sfaccettata. Esistono forme di profilazione istituzionale, che sono quelle in cui si è imbattuto il mediatore. “È profilazione razziale anche quando accompagno un richiedente asilo in possesso di tutta la documentazione necessaria, ma il dipendente che ho di fronte mi dà del tu, tratta entrambi con sufficienza e ci caccia dall’ufficio,” racconta. “Una situazione che si sblocca solo se a intervenire è una mia collega bianca.”

Quando si parla di profilazione razziale, anche per Ariman Scriba, come per molte persone razzializzate cresciute in un contesto dove sei “l’altro,” è normale a un certo punto chiedersi: “è una dinamica che riguarda solo me oppure coinvolge anche altri?”. L’aspetto peggiore di questa domanda, aggiunge, “è che fino a quando non incontri più storie simili alla tua pensi che sia un problema solo tuo e tutto nella tua testa.”

Per questo motivo, conclude, “I momenti e gli spazi sociali in cui incontri altre soggettività con un percorso analogo ti permettono di ricalibrarti. Leggere e ascoltare storie identiche alle tue ti fa fare questo passo in più, aiutandoti a capire che non sei tu il problema, il singolo che per chissà quale motivo viene fermato più volte rispetto all’amico con cui è cresciuto a scuola.”

Nel citato rapporto “Esseri neri nell’UE”, la FRA raccomanda agli stati membri di sviluppare protocolli specifici per scongiurare la profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, e di provvedere alla loro implementazione e comunicazione anche con l’aiuto di autorità competenti.

Ma finché non ci sarà una vera e propria raccolta dati per comprendere l’entità del fenomeno—e finché gli episodi razzisti di ogni tipo vengono spesso negati o sminuiti, e il discorso (già da tempo oggetto di studio) sui traumi e le conseguenze del razzismo sulla salute mentale non viene affrontato—gli spazi come questi rimarranno anche gli unici in cui affrontare il problema.

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Il tavolo all’interno del Blackn[è]ss Fest di cui si parla nell’articolo si terrà il 2 ottobre del 2021, dalle 14:45 alle 16:15 in via Tertulliano 68 a Milano, con Ariman Scriba, Hilal Beraki, Ronke Oluwadare e la moderazione di Khadim Loum. Per avere più informazioni sul festival, organizzato da Blackcoffee_pdc e Kirykou, vai qui.