C’è una proposta di legge per chiudere i negozi di cannabis light

Che non tiri una bellissima aria intorno alle politiche sulle droghe è piuttosto palese. Solo qualche settimana fa, il ministro della famiglia e delle disabilità Lorenzo Fontana manifestava l’intenzione di prendersi le deleghe per la lotta alla tossicodipendenza, e stendeva il suo piano: tolleranza zero su tutto, con tanto di salto indietro di qualche decade.

A questo si aggiunge anche la fase di incertezza giuridica e politica sul futuro della cannabis light—soprattutto dopo il parere negativo del Consiglio Superiore della Sanità. E sebbene il ministro della salute Giulia Grillo non abbia ancora formalmente deciso cosa fare in merito, in Parlamento c’è già chi ha le idee chiare.

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Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia, si è rivolto giusto ieri al ministro dell’interno Matteo Salvini augurandosi che sia “politicamente e culturalmente orientato a chiudere i ‘greenshop’ che commercializzano l’uso ricreativo della cannabis.” Diversamente, ha aggiunto, “dovremmo legittimamente pensare che il governo Penta-Leghista favorisca la crescita di un fenomeno che danneggia la salute dei nostri giovani, come asseriscono tutte le istituzioni sanitarie.”

Rampelli ha inoltre fatto sapere di aver depositato una proposta di legge per la chiusura dei negozi che vendono cannabis light, auspicando che questa “venga presto assegnata in commissione per iniziare l’iter legislativo e arrivi in aula nei giusti tempi. Fermo restando che se venisse emanato un decreto legge per la loro chiusura, saremmo disponibili a votarlo.”

L’onorevole del partito di Giorgia Meloni non è nuovo a uscite di questo genere, e la sua posizione sulla cannabis si muove un po’ sulla falsariga dei famigerati “buchi nel cervello” di giovanardiana memoria. Alla fine di giugno, ad esempio, ha detto che “la società italiana sembra aver incredibilmente metabolizzato l’uso delle droghe” e tratteggiato un ritratto a dir poco apocalittico: “la Rai sembra assecondare una certa cultura antiproibizionista strisciante, la scuola si volta dall’altra parte, lo Stato ha rinunciato a ogni forma di prevenzione e recupero.”

Naturalmente, in questo Rampelli è in ottima compagnia. La proposta di legge per chiudere i growshop è stata sottoscritta anche dal deputato Marco Silvestroni, uno preoccupato per le “conseguenze sui minori” (non specificate) e per cui non esiste alcuna distinzione tra droghe leggere e pesanti, perché “esistono le droghe, punto, che fanno male e il cui uso, produzione e commercializzazione devono rimanere vietati.”

Un’altra grande sostenitrice della chiusura dei growshop è la deputata Maria Teresa Bellucci, che ha promesso di “tutelare la salute degli italiani” liberando il paese da questa immensa piaga. La stessa, poi, ha proposto di costituire un “intergruppo parlamentare sulle dipendenze patologiche da droghe e comportamentali, vera emergenza nella nostra Italia.”

Bellucci, a ogni modo, sembra essersi presa particolarmente a cuore la questione cannabis light—arrivando anche a definirla un problema di “carattere culturale.” In un’intervista a Radio Radicale dello scorso 26 giugno, la deputata ha detto una serie di cose sul tema che vale davvero la pena riportare per intero:

Quando si aprono centinaia e migliaia di negozi che hanno quella foglia di marijuana e che propongono una scatolina di marijuana piuttosto che un cibo con della cannabis, sia comunque una modalità di comunicare una cultura dello sballo e dell’eccesso che non è quella che fa portare il popolo italiano a poter vivere libero dalle droghe, in cui trova dentro di sé la ragione della propria vita e la possibilità di risolvere le proprie difficoltà.


“Cultura dello sballo,” “ragione della propria vita,” popolo italiano: ok. Il Canada, nel frattempo, ci saluta da distanza siderale con tanto, tanto affetto.

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