Sono stato Acerra l’anno scorso, prima della manifestazione del 16 Novembre, quando l’attenzione mediatica e nazionale era ancora alta sulla situazione di quest’area. Giravamo per i campi insieme alle troupe televisive, perché i giornalisti volevano vedere cos’era la Terra dei Fuochi.
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Da Acerra passavamo al casertano, poi tornavamo nel napoletano e ci fermavamo sui cigli della strada, in tangenziale o poco fuori i paesi. Camminavamo coprendoci le bocche con le mani o i fazzoletti, e mostravamo ai giornalisti tutto quello che c’era da vedere: eternit, plastica rotta, cartoni vecchi e ammuffiti, monnezza su monnezza. I giornalisti erano appagati, avevano avuto quello che volevano: seguendo il loro programma, dopo “i ragazzi in piazza” erano andati dalle mamme, e poi dal prete di turno.
Oggi non è più così. Innanzitutto perché l’attenzione generale si è abbassata. Ci sono stati altri tentativi dopo il 16 novembre di riportare la gente in piazza, ma i comitati alla fine non ce l’hanno fatta e si sono sparpagliati. Don Patriciello è scomparso—lo trovi solo sull’ Avvenire o nella sua chiesa a dire messa.
L’occhio del ciclone si è fissato sulla sola città di Acerra, dove proprio in queste ore le persone, prima ancora che gli attivisti, sono tornate in strada. Acerra è il centro della rivolta—non Napoli, dove il 25 ottobre è stata organizzata una manifestazione che ha raccolto poco più di qualche migliaio di persone—perché è qui che sorge l’Inceneritore o, per essere più precisi, il Termovalorizzatore.
Dentro e fuori Acerra l’aria è più o meno la stessa, e non si sente la differenza. È quando ti avvicini alla torretta e allo stabilimento che cominci a capire che cosa effettivamente sia l’Inceneritore, a cosa serva e perché la maggior parte dei cittadini di Acerra non lo vogliano.
Secondo la politica e le istituzioni, l’Inceneritore è al momento l’unica soluzione concreta per eliminare una parte dei rifiuti (non solo quelli urbani, ma anche quelli speciali, nocivi, che i privati dovrebbero smaltire a loro spese). Ciò nonostante fa paura, e ne ha fatta ancora di più quando il 22 ottobre, quasi dal nulla, sono spuntate le ecoballe su cui, nel 2008, la magistratura aveva posto i sigilli. Sono le 10.700 tonnellate di ecoballe rimaste da smaltire provenienti da Coda di Volpe di Eboli (Salerno).
Prima le mamme, poi gli studenti e il resto della cittadinanza sono scesi in piazza e hanno fermato i camion per tre giorni e tre notti. La Regione, che aveva un tavolo fissato per il 5 novembre, ha dovuto capitolare: le ecoballe sono tornate a Eboli e non verranno bruciate. Non per adesso, almeno.
“Si è preso atto della richiesta del Comune e si è confermato il fermo dei rifiuti imballati provenienti da Eboli. Nell’impianto di Acerra riprenderà il conferimento dei soliti rifiuti trattati negli STIR della Campania,” è scritto nel comunicato stampa ufficiale. Le persone, però, non sono andate via subito, volevano essere sicure prima di tornare a casa, perché la paura è ancora molta: tutti sanno di campi in cui è stato trovato dell’eternit, in cui i rifiuti erano stati sotterrati, e tutti hanno perso qualcuno. Secondo il Ministro Lorenzin, per uno stile di vita sbagliato. Più probabilmente, per la monnezza bruciata e per quella sotterrata.
A Roma di rifiuti e piani alternativi per la loro gestione non se ne parla quasi più. La A2A, società milanese che ha in gestione l’Inceneritore di Acerra, usa toni gentili e disponibili, e invita i cittadini a un incontro: “A2A rinnova l’invito ad aderire agli incontri dedicati ai cittadini, agli studenti e ai comitati che si dal 2011 vengono organizzati periodicamente presso il termovalorizzatore di Acerra.”
Per la gente, però, l’emergenza non è finita. E lo sa bene Egidio Giordano, uno degli attivisti che già aveva partecipato attivamente alla manifestazione del 16 novembre 2013. Fa parte di Insurgencia, uno dei centri sociali di Napoli, e del comitato Rete Commons. È un’autorità in fatto di rifiuti in Campania. Egidio è andato ad Acerra con alcuni rappresentati del movimento Stop Biocidio e c’era anche lui, due sere fa, durante l’assemblea pubblica per decidere sul da farsi. Le ecoballe sono state bloccate, quindi la domanda è diventata: come continuare la lotta?
“Alla fine la Regione ha stabilito che le ecoballe, quelle provenienti da Coda di Volpe, non si bruciano più. Quindi i blocchi sono stati rimossi. Ma è chiaro che vogliamo rilanciare, noi come la componente acerrana, che è stata sicuramente la protagonista di questa battaglia.” Come ha specificato lui stesso, questa è stata la lotta di Acerra e degli acerrani; sono stati loro a imporsi e a far sentire la loro voce. Il movimento Stop Biocidio si è aggiunto solo in un secondo momento.
“Non abbiamo ancora una data precisa per continuare la nostra protesta. Ma è una vittoria comunque importante.”Poi conclude, “Sono stati tre giorni incredibili. Pesantissimi.”
Oltre all’attivista di Insurgencia ho parlato con Gennaro Piccirillo, uno studente del primo anno di Giurisprudenza. C’era anche lui quando domenica sera hanno bloccato i primi camion e hanno iniziato il presidio fuori l’Inceneritore.
“Eravamo più di mille,” racconta Gennaro. “Tutto è partito dalle mamme che da sole hanno deciso di scendere in piazza e di iniziare il presidio. A mezzanotte, hanno fermato il primo camion. La situazione si è mantenuta piuttosto calma almeno fino alla mattina dopo, quando la polizia ha deciso di forzare il presidio”. A quell’ora c’erano solo le madri, che non se ne sono mai andate, e gli studenti come Gennaro, l’altra parte importante di questa protesta.
“La piazza, ieri, era un po’ spaccata,” continua lo studente. “Le mamme se ne sono andate, ma la volontà di noi studenti è quella di continuare. Perché questo impianto non è a norma. E noi non parliamo di metterlo a norma, sia chiaro. Per noi non deve funzionare. Deve essere chiuso. Ci sono tante alternative all’Inceneritore.”
Sui blocchi, che l’altro ieri mattina sono stati sgomberati dalla Polizia, Egidio invece non ha detto molto. “Abbiamo avuto comunque ragione.” Tanto è bastato per dissipare l’ansia che era calata sulla protesta.
Acerra ha alzato la testa al momento giusto e la Regione è stata costretta a fare dietrofront sulle sue decisioni. Per ora, almeno.
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