Pugin alvi all’inglese, parliamo esperanto

Di cosa sono fatte le storie migliori? Di nazisti cattivi, di esplosioni e di una lingua inventata dal niente. Se già vi state ammosciando al pensiero che non esista nulla che comprenda questi elementi, rallegratevi: fanno tutti parte della storia dell’esperanto. L’esperanto è una lingua artificiale inventata da Ludwick Lejzer Zamenhof, oftalmologo polacco preoccupato per il destino della sua arciviolata patria polacca. Pensando che la base dei conflitti fosse la mancanza di comprensione—dovuta alla presenza contemporanea di quattro lingue sul territorio, ovvero polacco, russo, tedesco e yiddish (di cui tra l’altro scrisse la prima grammatica)—si chiuse nel suo studio e, mischiando vari idiomi europei, creò una lingua con poche regole grammaticali, una manciata di vocaboli base, e una serie di suffissi e prefissi utili a coprire qualunque campo semantico. “Esperanto” significa “colui che spera”.Zamenhof tra l’altro ha inventato anche una specie di religione, ma di quella parliamo un’altra volta.

Dopo dieci anni di lavoro, a mettere i bastoni tra le ruote del suo sogno di pace, amore e comprensione sono arrivati: i francesi, una guerra mondiale, un’altra guerra mondiale, le persecuzioni da parte di qualsiasi regime, gli americani, vari ministeri dell’istruzione, l’esercito italiano (in particolare il reparto “esplosivi marittimi”, se esiste) e il Parlamento Europeo. Ma nonostante tutto questo si contano 15 milioni di esperantisti nel mondo—o 20 milioni, non si sa con certezza. Abbiamo intervistato Ermigi Rodari, il segretario del Circolo Esperantista Milanese, per farci raccontare la storia dell’esperanto, e per discutere di quanto abbiano rotto le palle i madrelingua inglesi. Non è razzismo, io sono piena di amici madrelingua inglese, però.

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VICE: Si sa più o meno quante persone in Italia conoscono l’esperanto?
Ermigi Rodari: No, non s’è mai potuto fare un censimento. Sappiamo quanti sono quelli che pagano la quota per lavorare gratis nella federazione esperantista italiana, ma sono una minoranza. Qui a Milano siamo un centinaio. Alcuni dicono che nel mondo quelli che parlano l’esperanto sono venti milioni, altri quindici, ma non ci sono statistiche precise. Ad ogni modo, il problema linguistico è tuttora un problema d’avanguardia. Il continente dove è più sentito è l’Europa.

Un posto relativamente piccolo in cui tutti parlano lingue diverse.
Se vai in America del Sud basta sapere lo spagnolo, mentre negli Stati Uniti e in Canada si parla l’inglese. In Asia l’esperanto è diffuso a macchia di leopardo. Ce ne sono tanti in Iran, molti si erano interessati all’esperanto dopo la rivoluzione del 1979. In Africa, poveretti, fan fatica a mettere insieme pranzo e cena…

Hanno altro a cui pensare. C’era stata una proposta per utilizzare l’esperanto al Parlamento Europeo come lingua unica, giusto?
C’è sempre questa proposta. Al parlamento europeo il problema non è molto sentito perché comunque solo tre parlamentari sanno l’esperanto. Figurati che molti non sanno neanche l’inglese. Ma mica gli importa: ci sono le cuffie, il traduttore simultaneo, spese enormi di traduzione.

La guardi così: sono posti di lavoro.
Ecco, messa così è l’unica giustificazione. Il problema è che in questo momento c’è solo una lingua privilegiata ed è molto grave, e non se ne parla, uno perché non ci si rende conto del problema, e due perché ci sono enormi interessi alle spalle. In pochi lo sanno, ma la Società delle Nazioni nel 1921 stava per approvare l’esperanto come lingua internazionale.

E l’esperanto esisteva già da quarant’anni, più o meno.
Be’, nel ’21 era ancora abbastanza “giovane”: è stato ideato alla fine dell’800, ma la Prima guerra mondiale ha bloccato tutto. Nel 1918 c’è stato un vero boom dell’esperanto, e nel 1921 la Società delle Nazioni prese in considerazione la proposta di adottare l’esperanto come lingua internazionale. Sia ben chiaro che l’esperanto non intende eliminare le altre lingue, intende affiancarsi come soluzione razionale e intelligente del problema.

Nel 1921 la lingua per le relazioni internazionali era ancora il francese?
Esatto, infatti nel ‘21 l’approvazione della proposta della Società delle Nazioni fu plenaria, ma sa chi è che si oppose facendo deragliare il progetto perché era contro gli interessi nazionali? La delegazione francese.

Eccoli, i maledetti.
Essere madrelingua dell’idioma più importante nei rapporti commerciali dà vantaggi immediati. Niente a che vedere con i vantaggi che ha l’Inghilterra ora. La lingua è un veicolo di penetrazione capillare. Faccio un esempio stupido: se si accende la radio o la televisione, novantanove volte su cento si sentono canzoni in inglese, a volte belle, a volte banali. Ma secondo te a questo mondo le belle canzoni sono capaci di farle solo gli americani? Perché non si sente mai una bella canzone ungherese, o una bella canzone cecoslovacca?

Perché non esistono?
Perché il veicolo è la lingua l’inglese, quindi bello o brutto dentro tutto. In questo momento è così, ma in futuro potrebbe essere uguale con un’altra. Finché scegliamo questa strada saremo costretti a cambiare lingua secondo i corsi e ricorsi storici. Un tempo c’era il latino, poi c’è stato lo spagnolo, poi il francese, e ora l’inglese—che a guardar bene se fosse per l’Inghilterra sarebbe tramontato, casualmente gli Stati Uniti parlano l’inglese, dico casualmente perché quando proclamarono l’indipendenza, si doveva scegliere tra l’inglese e il tedesco, e vinse l’inglese per quattrocento voti.

E per fortuna, ché il tedesco è una mazzata.
Non lo so, non conosco il tedesco. Io preferisco comunque una lingua razionale dove imparo una regola e quella vale, non come la maggior parte delle lingue dove le regole si hanno soltanto per attaccarle al chiodo.

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Un ritratto di Ludwick Lejzer Zamenhof, creatore dell’esperanto

Però questa è la caratteristica principale delle lingue che vengono utilizzate abitualmente, le “lingue naturali”.
Oh, innanzitutto spieghiamo cosa vuol dire che il tedesco è una lingua naturale e l’esperanto è una lingua artificiale: la lingua naturale nel senso vero della parola non esiste, esiste una lingua che ha avuto una naturale evoluzione nei secoli e la lingua che invece ha avuto tempi brevi, artificiale, “pianificata” forse è il termine migliore. Tutte le lingue sono artificiali, solo il vagito del bambino è naturale.

Lei prima diceva che l’esperanto non vuole sostituire la lingua di una nazione. Però ho letto la storia dell’Isola delle Rose, dove l’esperanto era stato proposto come lingua nazionale.
È andata così: l’ingegner Rosa ha costruito fuori dalle acque territoriali al largo della costa di Rimini (non a caso) una piattaforma da sfruttare sul piano turistico, con una casa da gioco, negozi dove le sigarette costano un quinto, cose così. La scelta dell’esperanto lì serviva a sottolineare che non avevano nulla a che fare con l’Italia.

Quindi in realtà era una posizione politica?
Era una posizione strategico-politica. Gli è andata comunque male, perché il governo italiano era infastidito da questa piattaforma, per motivi economici evidentemente, e quindi ha pensato bene di fargli guerra. Fu una delle poche guerre che l’Italia vinse. Mandò la marina militare che prima la occupò e poi la distrusse. Fecero saltare in aria i piloni su cui era costruita la piattaforma. Lui ricorse alle Nazioni Unite, ma ovviamente vuoi che le Nazioni Unite difendessero una piattaforma contro l’Italia? È vero che la giustizia è uguale per tutti, ma c’è gente che è più uguale di altra.

Però immagini un secondo: quella piattaforma poteva diventare una nazione vera e propria con delle nascite e dei bambini che avrebbero imparato l’esperanto subito. Sarebbero stati madrelingua.
Lì sarebbe stata la lingua della nazione, ma è un caso limite. In tutto il mondo c’è una lingua nazionale a cui l’esperanto vorrebbe affiancarsi nei rapporti internazionali, mentre adesso si affiancano naturalmente l’inglese, che colonizza e sopprime, pian piano ti porta all’estinzione delle lingue nazionali. L’esperanto non ha alle spalle una nazione, non ha questa azione linguicida che hanno invece le lingue nazionali.

Be’, l’inglese sarà anche la lingua più utilizzata nei rapporti internazionali, ma in ogni caso la gente che sa l’inglese non è così tanta, anche tra quelli che dovrebbero saperla.
È il servo che si arrabatta.

Va bene, però non c’è lo stesso rischio con l’esperanto, che non lo impari nemmeno chi ne avrebbe bisogno?
Non occorre far gli stage in un paese che si chiama Esperanto per imparare l’esperanto, uno si mette a studiarlo a casa. Ovviamente devi studiare, però l’apprendimento è molto semplice.

Come fate coi neologismi, che per adesso sono soprattutto inglesi? Vengono tradotti?
Si traducono. Quando è nato l’esperanto, bastavano mille parole, con cui poi si possono formare molte parole utilizzando le radici, i suffissi. Alla fine il meccanismo è lo stesso delle altre lingue, ci sono delle radici comuni: “padre” è il “vater” tedesco, il “father” inglese, è il “pater” dei latini, quindi si prende la radice più nota e la si esperantizzata, diventa “patro”. Adesso i nuovi vocaboli sono quasi tutti scientifici e sono tutti uguali nelle varie lingue, quindi questo processo è ancora più semplice. C’è anche un’accademia che esprime i suoi pareri su queste adozioni.

Tipo una Crusca dell’esperanto?
Più ascoltata della Crusca. Ovviamente non c’è nulla di obbligatorio, in genere è l’uso a fare un po’ di selezione naturale. L’esperanto è fatto in modo intelligente: innanzitutto nessuna irregolarità, si legge come si scrive. Quando impari una regola vale nel 100 percento dei casi, non c’è un’eccezione, i verbi son tutti uguali, non c’è un verbo irregolare.

Non ci sono neanche le coniugazioni?
Solo una. Hanno preso molte idee dalle varie lingue. Ad esempio coniuga i verbi come in inglese, senza coniugare la terza persona, basta mettere sempre il soggetto. Qui la regola c’è e viene applicata sempre.

È quasi commovente. Mia mamma, all’inizio degli anni Settanta, seguiva un corso di esperanto all’istituto professionale, perché il preside faceva parte di un circolo esperantista. C’erano più esperantisti in passato?
A Milano c’era una scuola, la Marignoni, dove il preside era simpatizzante esperantista. Ogni anno sfornava alcune centinaia di persone che parlavano l’esperanto. L’UNESCO riconobbe l’esperanto come lingua internazionale ausiliaria nel 1954, ed è stato raccomandato l’insegnamento nelle scuole di tutto il mondo. L’allora Ministro dell’istruzione Medici recepì l’invito e fece una bella circolare, presso tutte le scuole, invitando i presidi a fare tutto il possibile per diffondere l’esperanto.

Ah, quindi c’è stata un’azione.
Vabbe’, una circolare. I presidi han detto, “Va bene! Prendiamo gli insegnanti, li paghiamo e facciamo i corsi.” Il ministro dell’istruzione ha detto di no.

Si era dimenticato di aggiungere che non c’erano soldi.
Fate tutto quello che potete, ma non si possono chiedere soldi. Noi abbiamo detto ad alcune scuole che saremmo disposti a insegnarlo gratuitamente, ma i presidi ci dicono: “Non possiamo in una scuola pubblica insegnare gratuitamente perché sarebbe un comportamento da krumiro.” In assoluto la scuola non è mai stata una cosa d’avanguardia, vedi ad esempio l’insegnamento del computer.

Giornali in esperanto

Come si dice “computer” in esperanto?
“Computero”.

Vabbe’, è uguale.
Non c’è nulla di inventato.

Mi dica una parolaccia in esperanto.
“Pugin alvi”, che è il vaffa. “Pugo” sono le natiche e “alvi” è “mandare”. Poi c’è “porko” che vuol dire “maiale”, ma sono parole che usi intenzionalmente come parolacce quando vuoi, altrimenti sono parole normali.

Ci sono degli ambiti della lingua che non sono stati tradotti, come il linguaggio medico o altri?
No no, quello è facile poi, son tutte parole greche, ci attacchi la a, la o finale e hai fatto! Mal di fegato, l’epatite, in esperanto è “epatito”. Elementare, no? Ci sono una ventina di suffissi: ad esempio, se l’aggettivo “bello” è “bela”, una cosa bella è “belo”, il concetto di bellezza astratto è “belezo”, il bellone, tipo Tom Cruise. A questo punto vale per tutti sempre.

È affascinante l’idea di una persona che dal nulla crea una lingua, come Mark Okrand che si è inventato il klingon.
Zamenhof però l’ha visto come problema dell’umanità, sul piano tecnico e sociale. Lui viveva in una città polacca sotto il dominio russo, quindi la lingua ufficiale era il russo. C’era una minoranza tedesca e una forte presenza ebraica che parlava yiddish, quindi lì c’erano quattro lingue.

E nessuno si capiva.
La mancanza di comunicazione è una delle cause dei conflitti. E allora lui disse: “Troviamo una lingua facile, per tutti, che faccia da ponte.” Ha avuto una visione tecnica per risolvere un problema umano. L’esperanto nasce con due anime: l’anima tecnologica, risolvere tecnicamente un problema, e quella sociale, di avvicinare i popoli, quindi implicitamente porta a concetti di pace di fratellanza, di amicizia. Non per niente l’esperanto è sempre stato boicottato dai regimi dittatoriali e nazionalisti.

Anche dal fascismo?
I fascisti lo tolleravano, diciamo che non ne hanno ammazzati, come pure Slazar in Portogallo e Franco in Spagna, invece ci sono stati Hitler e Stalin che li ammazzavano tutti.

Pure gli esperantisti?
Stalin aveva il terrore degli esperantisti perché temeva infiltrazioni dall’estero, e l’esperanto non poteva neanche censurarlo, non conoscendolo tanto. Hitler li aveva nella sua lista nera. Dopo gli ebrei, i sovversivi, i gitani e gli omosessuali, al quinto posto c’erano gli esperantisti. Altri regimi dittatoriali li hanno boicottati, messi a tacere, come è successo in Italia col fascismo, a parte gli ultimi anni quando arrivarono le leggi razziali. Le camice nere volevamo l’elenco degli ebrei dentro la federazione, e quelli dei circoli cancellavano gli ebrei dalle liste dei soci, perché sapevano che fine avrebbero fatto. L’esperanto ha tutta questa ideologia sociale che la rende mal vista dai regimi dittatoriali, però è una ricchezza. Favorisce i rapporti di amicizia.

Perché è anche un interesse comune?
A volte si parla in inglese con un polacco, e siamo due che parlano in trasferta. Quando parlo con un inglese sono in posizione nettamente di inferiorità. C’è uno studio dell’università di Ginevra sull’incidenza dell’inglese sull’economia: risulta che ogni europeo di lingua non inglese paga 70 euro all’Inghilterra per l’insegnamento dell’inglese, gli stage, le vacanze studio. È un tributo che involontariamente paghiamo all’Inghilterra.

Caspita.
La lingua è un patrimonio culturale importantissimo che identifica i popoli. Purtroppo stanno pian piano scomparendo, vengono schiacciate dall’inglese, che porta tutto nella sua cultura. Conosciamo il nome di almeno metà degli stati componenti degli Stati Uniti d’America e non sappiamo il nome delle sei repubbliche della vicina Yugoslavia.

È colpa del piano Marshall.
È indice di conquista, sottomissione, e gli italiani poi sono servi per istinto, più degli altri, e questo vale per i governi di destra o per i governi di sinistra: Berlusconi voleva fare le tre I (Inglese internet e impresa), D’alema era al governo quando hanno inventato il briefing al parlamento. Non fa più fine dire briefing!

Come una volta ci si dava un tono usando il francese.
Esatto, una volta si diceva “coiffeur” per dire parrucchiere, faceva molto più chic, adesso lo facciamo con l’inglese. In certi casi è una soluzione intelligente, come con “sport”, ma per altre è stupido, esterofilia pura o pigrizia mentale. Come il ticket sanitario, no? Chiamiamolo ticket così lo digeriscono meglio, perché così pensano che anche gli inglesi hanno il ticket e invece no, il ticket sui farmaci è un’invenzione italiana. In inglese il ticket è quello del tram.

Sembra che all’improvviso arrivi la civiltà.
Il layout! Il know how! Si dice “conoscenza”. Gli italiani sono i più servi di tutti, quello che è straniero vale di più. Mi ricordo una storia: in fiera campionaria a Milano c’eran due sposini che andavano per metter su casa, e stavano guardando tutte le cucine. C’erano Scavolini, Salvarani… Poi lui vede la Gasfire: “Roba americana, vuoi mettere? Prendiamola.” Be’, la facevano a Erba.