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Come ho trovato la forza di scappare da una fidanzata violenta

Per riuscirci ho dovuto parlare con un cuscino e fare a pezzi un'asse da stiro con una mazza da baseball insieme a un tizio in mutande, ma ne è valsa decisamente la pena.

Immagine via Flickr/

wsilver

Ho conosciuto Angelo sul set, a Berlino. Entrambi eravamo stati chiamati per girare delle pubblicità per la televisione tedesca. I produttori erano convinti che delle ragazze bionde e con gli occhi azzurri avrebbero fatto passare un messaggio sbagliato, così si sono messi alla disperata ricerca disperata di due attori non tedeschi. Siamo saltati fuori io e Angelo. C'erano un sacco di momenti di stallo durante le riprese, in cui Angelo e io parlavamo spesso. Ma le nostre conversazioni erano continuamente interrotte dal via vai dei messaggi rabbiosi che mi mandava la mia ragazza dell'epoca, Sara. "Dobbiamo parlare" mi scriveva.
"Aspetta che torni a casa."
"Ora o mai più."
"Non essere ridicola."
"Chiamami ridicola un'altra volta e ti stacco la testa." Sara è tedesca, e a volte non riusciva a formulare bene le frasi. Mentre continuavo a interrompermi per rispondere, Angelo aspettava pazientemente. "È vivace la ragazza," mi ha detto Angelo.
"Non hai idea," ho risposto. "Mi urla addosso anche mentre dorme."

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E questo non era niente. Non solo Sara mi urlava addosso nel sonno, ma rubava le mie cose––alcol, sigarette, soldi, la bicicletta, vestiti, qualsiasi cosa. Rubava anche ai miei vicini. Io riportavo sempre indietro tutto, sopratutto le piante da terrazzo. Lei mi colpiva con degli schiaffi leggeri che diventavano sempre più pesanti man mano che l'alcol saliva. Una volta mi ha colpito così forte sull'orecchio che per tre giorni ogni suono che sentivo sembrava venire dal fondo di un pozzo. Una volta, dopo una litigata, l'ho lasciata in un bar e me ne sono andato; lei mi ha seguito fino a casa e ha iniziato a tirarmi delle pietre contro la finestra. Dato che non la facevo entrare si è tolta gli stivali e ha lanciato anche quelli. Quando Sara voleva attenzioni, sapeva come ottenerle. Il laptop su cui sto scrivendo ha una crepa enorme sullo schermo perché Sara l'ha buttato per terra dopo che le avevo detto qualcosa come "Amore, solo un secondo." Non era la mia prima relazione del genere. Ero attratto da quel tipo di donna: quella che beve troppo, ama i drammi, ha ex fidanzati ovunque e un temperamento che farebbe vergognare un dittatore. Mi ha dato del frocio, del codardo. Quando litigavamo mi prendeva a pugni e calci, e io rimanevo immobile in una strana posizione di difesa––e non perché mi hanno sempre insegnato che le donne non si picchiano, ma perché avevo veramente paura di lei.

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Quel giorno, sul set, dovevamo girare una scena semplice: dei gran sorrisi davanti alla telecamera. Abbiamo dovuto farlo per due ore prima che il regista fosse soddisfatto. Alla fine abbiamo ottenuto dei grandi applausi e un assegno da 550 Euro. Evviva!

Finite le riprese Angelo mi ha chiesto che programmi avessi per la sera.

"Litigare con la mia ragazza" gli ho risposto.
"E dai," mi dice Angleo, "vieni a fare una sessione con me."
"Una sessione di cosa?"
"Psicodramma, è un metodo terapeutico. Ho fatto un corso online, magari ti torna utile."

Angelo mi ha spiegato che era un processo di recitazione: dovevamo mettere in scena le nostre esperienze, passate o probabili, per cercare una soluzione. La tecnica è stata inventata da Jacob L. Moreno. Lui sosteneva che rivivendo momenti della propria vita in questa forma sia possibile trovare una soluzione a un problema. Io avevo fatto un po' di terapia quando mio padre era andato in riabilitazione, ma non avevo alter esperienze. I poveracci non vanno in terapia––beviamo, fumiamo erba e non andiamo a dormire. Ma ero stufo di quella situazione con Sara, così ho accettato la proposta di Angelo. Quando sono arrivato a casa sua mi ha portato dritto in salotto. "Non avere paura di fare casino."
"Perché dovrei?"
"Vedrai."

Abbiamo iniziato in piedi. Angelo mi ha chiesto di chiudere i miei occhi e abbiamo fatto un gioco simile a un'associazione di parole. Angelo doveva dire una cosa, e io dovevo dire la prima cosa che mi veniva in mente. Gelato - vaniglia
Estate - laghi
Sara - stress
Casa - mamma
Birra - divertimento
Sara - spina nel fianco Siamo andati avanti per un po', e ogni volta che usciva il nome Sara, venivano fuori cose come ansia, dolore, o la donna che sta rovinando la mia vita. Allora Angelo mi ha chiesto di chiudere gli occhi e di tenerli chiusi mentre lui usciva dalla stanza. Ho sentito qualcosa di metallico che cadeva per terra, poi Angelo mi ha detto di aprire gli occhi. La prima cosa che ho visto è stata Angelo, si era tolto la maglietta. Aveva dei rotolini di ciccia e i piercing ai capezzoli. Aveva una mazza da baseball di plastica per mano e davanti a lui aveva posizionato un asse da stiro. "Non fare caso se mi sono tolto i vestiti," mi ha detto. "Così è tutto più sincero."

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Mi ha passato una mazza da baseball e mi ha chiesto di canalizzare la rabbia e colpire l'asse da stiro. Sembrava una stupidaggine, ma ho tentato un colpetto di mazza. "Più forte." Ho eseguito l'ordine. "Così," ha detto, e ha dato un colpo con tutta la sua forza. Lo vedevo, i rotolini di grasso, i pantaloncini cargo, i piercing ai capezzoli che luccicavano al buio. Dato che sembrava stupido starmene lì a guardare ho iniziato a imitarlo.

Non avevamo pietà, e ci siamo fermati solo quando non avevamo più la forza. Non capivo perché, ma mi sentivo meglio. Angelo mi ha detto che da quello che aveva visto sarebbero bastate poche altre sessioni per essere curato. "Curato da cosa?" ho chiesto.
"Dalla tua incapacità di arrabbiarti," mi ha detto. "A un certo punto della tua vita devono averti detto che era una cosa brutta, che non dovevi arrabbiarti, perciò ora quando dovresti arrabbiarti non ci riesci più, c'è qualcosa che ti blocca. In realtà tu ti arrabbi, ma invece di uscire la tua rabbia ti rimane nello stomaco."
"E questo cosa c'entra con Sara?"
"Tu l'hai scelta proprio perché pensavi che un rapporto con lei avrebbe potuto risolvere la tua situazione." Non so se sia così––tanto nel mio caso specifico quanto in generale––ma devo ammettere che a sessione ultimata mi sentivo molto meglio.

Sono tornato a casa, e quella sera non ho visto Sara. Ho provato a chiamarla verso mezzanotte, ma non ha risposto. Lei faceva così: una comunicazione senza sosta, o un completo silenzio. La volta dopo Angelo mi ha aperto la porta in mutande. "Addirittura tutta questa sincerità?" gli ho chiesto. Angelo ha annuito. Mi ha fatto sedere e mi ha chiesto come mai Sara e io litigassimo così tanto.

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"Vogliamo fare entrambi gli artisti."
"Quindi c'è competizione?"
"Ogni volta che uno dei due lavora bene, l'altro sente di avere meno possibilità di farcela. In più beviamo entrambi." Ci era voluto un mese prima di riuscire a fare una conversazione da sobri.

Angelo mi ha chiesto di chiudere i miei occhi e di immaginare di essere un animale. Mi sono immaginato una volpe. Mi ha chiesto di descrivere la mia vita da volpe. Io gli ho parlato della mia piccola tana, di come l'avevo scavata, e di come fossi felice di giocare nel torrente, d'estate, con mia moglie volpe e i miei cuccioli. Mentre parlavo, mi immedesimavo sempre più nella volpe––così profondamente da sentire i denti, la pelliccia, la coda. Mi piaceva essere una volpe. Le volpi vivono alla grande. "Ma c'è qualcosa che ti preoccupa?" mi ha chiesto Angelo. Ci ho pensato un attimo, e mi sono reso conto che in fondo a tutto quel gironzolare da volpe c'era dello stress. "Sì c'è. Ho paura che se non porto a casa abbastanza polli, mia moglie decida di andarsene e di portare via i cuccioli." "Perché dovrebbe andarsene, se ti ama?"
"Perché fanno così," ho risposto. "Una moglie volpe ti abbandona sempre, alla fine." Ero tristissimo: non ero più la volpe––ero solo io, vent'anni passati, sottopeso e con carenze di ferro e vitamine. Ho iniziato a piangere. Angelo è venuto da me e mi ha toccato il braccio. "Se ti ama non ti lascerà." Angelo ha portato l'asse da stiro in camera. Mi sono alzato, ho preso la mazza di plastica e abbiamo ricominciato. Mi sono guardato. Mi sono tolto la maglietta. Ho guardato Angelo, era senza fiato. "Ora sì che stai diventando sincero."

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Quella sera Sara mi ha chiamato verso le 11. Era ubriaca e voleva che ci vedessimo. Ho immaginato il mio piccolo mondo da volpe––la mia tana, i miei cuccioli che respiravano, la mia bella moglie con i suoi bei denti. Ho detto di no. Sara ha iniziato a urlare, e io ho fatto una cosa che non pensavo fossi in grado di fare: ho riagganciato. Ma con lei non finiva mai così: mi ha richiamato dieci volte, poi ho deciso di spegnere il cellulare. Dopo circa un'ora e mezza ho sentito il campanello. Ho fatto finta di non sentire. Poi l'ho sentita suonare il campanello di ogni altro appartamento del condominio. Alla fine è arrivata alla mia porta prendendola a pugni. Se avessi potuto squagliarmela lo avrei fatto––ma sapevo che se non avessi risposto alla porta lei se ne sarebbe stata lì a bussare e scalpitare per tutta la notte.

Sara aveva un modo di parlare (di urlare, sarebbe meglio dire) che mi riportava alla mia infanzia, quando venivo chiuso negli armadietti e inseguito dai ragazzi più grandi. Quando mi prendevano mi lasciavano la scelta tra un calcio nelle palle e mangiare una cacca di cane. Io sceglievo sempre la cacca di cane. Oggi sono in grado di andare in posti tipo l'India, la Thailandia e il Marocco e mangiare qualsiasi cosa senza sentirmi male.

Quando ho aperto la porta, Sara ha cercato di colpirmi ma è caduta per terra ubriaca. L'ho messa a letto. La mattina dopo sono scivolato fuori dal suo abbraccio e sono andato da Angelo. Quella sarebbe dovuta essere la nostra ultima sessione.

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A questo punto, mi ero abituato al fatto che Angelo non indossasse nulla salvo le mutande. Mi ha fatto sedere e ha messo due sedie al centro della stanza, una di fonte all'altra.

"Dove vuoi stare tu?" ha detto.
"Non lo so."
"Scegli un posto e siediti."

Mi sono alzato e mi sono seduto nella sedia che mi sembrava più comoda tra le due. Angelo ha messo un cuscino sulla sedia vuota.

"Questa è Sara," ha detto.
"Scusa?"
"Questo cuscino rappresenta Sara," ha detto, "e adesso devi litigare con lei."
"In che senso litigare?" ho detto.
"La devi lasciare," ha detto.
"No," ho detto.
"Lo farai."
"Ma si incazza."
"È un cazzo di cuscino," ha detto Angelo. Aveva ragione.

Ho guardato il cuscino. Non sembrava niente di che. Non sembrava in grado di sfondare una porta nel bel mezzo della notte o di urlare fino a svegliare tutti i vicini e i vicini dei vicini. Anche se avesse avuto delle lame o se fosse stato in fiamme non sarebbe stato neanche lontanamente spaventoso quanto la vera Sara. Perciò ho iniziato a parlarci.

"Sara, mi dispiace, ma non ce la faccio più," ho detto al cuscino. "Sei fantastica, ma sei troppo per me."

Il cuscino è rimasto lì in silenzio. Ho sentito la mano di Angelo che si posava sulla mia spalla. Ho guardato in alto verso di lui. Ha annuito.

"Ora devo picchiare l'asse da stiro?"
"No," ha detto. "Ora devi solo parlare."

Non ho lasciato Sara quella sera, ma l'ho fatto il pomeriggio successivo. Ho organizzato tutto così da farglielo intuire, perché potesse arrivarci preparata. Le ho detto che volevo parlarle e ho scelto un parco a metà strada tra le nostre case, un posto neutrale. Il parco era affollato: bambini che giocavano nella sabbia, ragazzini che si lanciavano i frisbee, gente che andava in giro a chiedere spiccioli. Sono andato dritto al punto.

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"Dovremmo lasciarci," ho detto.
"Non ci stiamo lasciando," ha detto Sara.
"Io ti sto lasciando," ho detto.
"No che non lo stai facendo," ha detto Sara.
"Addio," ho detto, mi sono alzato e me ne sono andato. L'ultima cosa che ho sentito è stato il rumore di una bottiglia che mi volava poco sopra la testa e andava a cadere per terra di fronte a me.

Non so perché mi sono lasciato andare in una relazione con una persona che mi trattava così. Non penso di averlo fatto per risolvere qualche mio problema, ma credo di essere diventato più forte dopo esserne uscito. Nel modo in cui mi trattava Sara c'era qualcosa di familiare, qualcosa che potevo ricondurre alla mia infanzia passata a prenderle da tutti, e per quanto possa sembrare folle all'inizio la cosa mi andava bene.

Sara non è scomparsa. L'ho incontrata per caso l'altra sera, e lei mi ha inseguito con una catena da bicicletta. Un'altra volta ha cercato di rompermi una finestra di casa con un sasso, ma era così ubriaca che ha spaccato la finestra della casa sbagliata. L'ultima volta che l'ho vista era in un bar. Era ubriaca e faceva fatica a parlare.

"Voglio dirti una cosa," mi ha detto. "Sei un profeta di merda."

L'ho guardata. Mi è sembrato che si fosse rimpicciolita.

"Grazie," ho detto, e mi sono girato dall'altra parte.

Non so cosa sia successo a lei o ad Angelo. So che lui era stato scritturato come personaggio secondario per un spettacolo e non è più tornato. Ma so che aver imparato a liberarmi da una situazione del genere mi ha insegnato a ribellarmi, una lezione che non dimenticherò mai. Come non dimenticherò mai la faccia di Angelo, nella luce soffusa del suo appartamento al primo piano, con le mutande madide di sudore.

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