FYI.

This story is over 5 years old.

Stuff

Dentro il mercato nero degli eroinomani inglesi che non riescono a bucarsi

La maggior parte delle persone che si bucano l’hanno fatto da sole fintanto che le vene erano sane e ben visibili. Ma se non ci riesci, come nel mio caso, devi trovare qualcuno che lo faccia per te.

Illustrazione di Cei Willis

Avere la fobia degli aghi non è poi così impossibile. Prendete i compagni delle elementari che scoppiavano a piangere per una "puntura" o tutti quelli che, piuttosto che essere vaccinati per l’encefalite giapponese, preferiscono non andare mai in Sri Lanka: ecco, probabilmente queste persone non svilupperanno una dipendenza da droghe per via endovenosa. Tuttavia la sola paura degli aghi non basta a tenere alla larga da questo comportamento dannoso.

Pubblicità

Al di là di questi casi un po’ anomali, sono molti anche gli eroinomani che non hanno mai tenuto in mano una siringa. Le ragioni per cui succede una cosa del genere sono molteplici, ma la più significativa è che iniettarsi delle droghe in vena è più difficile del previsto, e non esiste nessun manuale che spieghi come fare.

Come nel mio caso, la maggior parte delle persone che si bucano l’hanno fatto da sole fintanto che le vene erano sane e ben visibili. Ma dopo un buon lasso di tempo passato a inquinare il sangue, le vene diventano meno visibili e meno utilizzabili.

Così, a un certo punto, mi sono accorta che improvvisamente tutti quelli che avevo sempre utilizzato come punti di accesso si stavano chiudendo. Certo, c’erano ancora delle parti del mio corpo che non avevo utilizzato (alcune perché erano troppo difficili da raggiungere e altre per una questione di buon senso), quindi per un po’ ho insistito. Ma quando ho capito di non avere alternative mi sono messa a cercare qualcuno che potesse farmi le iniezioni.

Tutte le persone a cui mi sono rivolta facevano a loro volta uso di droga per endovena. Il più delle volte si trattava di persone che non associavo affatto all’eroina—o che comunque non conoscevo—essenzialmente perché il mio coinvolgimento nel mondo inglese della droga si limita a scambi regolari con il mio fornitore di fiducia. Dopo alcuni mesi in cui mi sono servita di aiuto per iniettarmi la dose quotidiana le mie vene sono diventate meno visibili. E siccome queste persone non volevano perdere tempo hanno deciso di puntare al collo o l’inguine, tutti punti che io non avevo mai utilizzato, perché in quelle zone le vene si vedono più facilmente. Non avevo alcuna intenzione di iniziare a bucarmi lì, ma il problema è che, con la dipendenza, ci sono momenti in cui ti sembra di non avere vie di fuga.

Pubblicità

Ho sempre trovato strano il modo in cui, quasi inconsapevolmente, finivo a trovarmi d’accordo con queste persone, o quanto poco avessi da ridire riguardo al risultato, a prescindere dal fatto che in gioco ci fossero il mio corpo e la mia droga. E credo che per tutti gli altri valga lo stesso; ho visto persone far entrare dell’aria nell’ago per sbaglio, mentre il destinatario del buco si limitava semplicemente a sperare che non fosse letale. Ho visto persone che asciugavano l’ago con le dita o che sbagliavano e invece di infilarlo nella vena lo infilavano sotto la pelle (due cose inaccettabili). Ma nessuno dice nulla perché nessuno si sente nella posizione di lamentarsi, tutto per timore di dover cercare qualcun altro disposto ad assumersi questo rischio, e di perdere la dose durante il processo.

La prassi prevede che chi richiede l’aiuto per l’iniezione condivida la propria droga o dia un contributo economico—così facendo si passa da un semplice scambio a un vero e proprio mercato nero per tossici in cerca di assistenza. Il prezzo medio per iniezione equivale a una dose, o, per chi non ne ha una intera, la metà di quella a disposizione. Dato che il prezzo è indipendente dalla quantità iniettata, spesso va a finire che, per risparmiare, uno se ne fa iniettare più della dose regolare.

Foto per gentile concessione dell'autrice.

Ho parlato con Jane (tutte le persone che ho intervistato hanno richiesto di rimanere anonime), che nonostante la fobia degli aghi si è fatta bucare per dieci anni. Ha iniziato con il suo ex, e mentre cercava di riprendersi emotivamente dalla rottura con lui ha dovuto affrontare una realtà molto più dura, ovvero capire che c’era un legame fisico molto più forte che aveva bisogno di soddisfare: il desiderio di fare uso di droga.

Pubblicità

“Sono stata fortunata perché avevo qualcuno di cui mi fidavo,” mi ha detto. “Preferisco che siano loro a farlo piuttosto che qualcun altro, ma ovviamente non puoi contarci 24 ore su 24, sette giorni su sette. Oltre al problema della fiducia c’è anche quello economico: ogni volta che chiedi a qualcuno di aiutarti devi spendere il doppio di quello che spenderesti normalmente.”

Le ho chiesto perché accetta di sostenere questa spesa e non prova invece a cambiare metodo di assunzione. “Credo semplicemente che sia un modo per punire me stessa,” ha risposto. “Quando mi buco le cose sembrano andare meglio, almeno sul breve termine, mentre le implicazioni a lungo termine, anche e soprattutto quelle relative al mio stato di salute, peggiorano. È un incubo e non lo auguro a nessuno, eppure non ho alcun desiderio di cambiare metodo e iniziare a fumare. Le cose migliorerebbero solo se imparassi a farmela da sola.”

Nel caso di Joy, è stata la condanna a 12 mesi di prigione del partner a costringerla a rivedere le sue abitudini. “Dopo aver metabolizzato la notizia, è arrivato un altro shock quando ho capito che avevo la droga ma non avevo alcun modo di assumerla. Dopo diversi tentativi falliti mi sono resa conto di quanto poco avessi imparato [sul bucarsi in sé] negli anni.”

Foto per gentile concessione dell'autrice.

Joy ha spiegato bene la dinamica delle ricerche: “Non riuscivo a pensare a nessuno che potesse aiutarmi e quindi sono andata dalla chiesa dove distribuiscono la colazione ai senzatetto.”

Pubblicità

“Avevo passato una nottata terribile a cercare di farmi e a complicare la situazione c’era il fatto che ormai l’astinenza aveva iniziato a farmi venire una tachicardia martellante. Il giorno dopo è stato ancora peggio: dopo una notte passata a vomitare, mi chiedevo come fosse possibile essere così stanchi da non riuscire neanche a uscire. Alla fine il mio unico desiderio era lasciarmi andare e morire.”

Aiutare altre persone a iniettarsi in vena sostanze illecite è chiaramente una cosa poco etica. Anche se spesso chi sa come somministrare droga per endovena non ha soldi e nemmeno droga per sé, il potere di cui riesce a godere è dato dal fatto che colui che chiede aiuto, per quanto abbia i soldi o la dose, ha fisicamente bisogno di altri per placare temporaneamente la sua dipendenza.

Prima criticavo chi si prestava a questi compiti, ma dopo aver avuto io stessa crisi di astinenza ho iniziato a capire il modo in cui ragionavano. Davanti all’aumento dei livelli di ansia e di attacchi di panico e di disperazione che sopraggiungono quando il principio di una droga in circolo nel sangue inizia a calare, la prospettiva di infrangere la legge o di contraddire i propri valori morali diventa un’opzione più praticabile.

Buste di eroina (Foto via)

Ho parlato con Nick, che attualmente aiuta un’altra persona ad assumere droghe, per avere anche il suo punto di vista sulla situazione. Quando gli ho chiesto come ha iniziato mi ha risposto così: “Vivo con altre tre persone che si bucano, quindi in tanti ci chiedono di aiutarli a iniettarsi la droga o di procurargliene. La prima volta che me l'hanno chiesto ho rifiutato; era una ragazza. Una delle altre persone con cui vivevo ha accettato a patto di farlo una sola volta, ma lei è tornata anche il giorno dopo.”

Pubblicità

Gli ho chiesto cosa gli avesse fatto cambiare idea: “Se devo essere sincero, non avevo nulla e non potevo permettermi di rifiutare la droga," ha risposto. “Le prime volte il flusso continuo di eroina è stato sufficiente a farmi venire voglia di continuare, ma poi lei ha iniziato a chiedermi più dosi al giorno.”

Volevo sapere se arrivato a quel punto non ci fosse qualcosa che lo disturbava: “È strano, perché nonostante continui a farlo, mi fa sentire una merda. Vorrei dire di no, ma una volta lì non ne sono capace.  Quando non sto bene mi sembra impossibile rinunciare a una dose, tutto il resto non conta nulla.”

"È difficile accettare l'idea che qualcuno ti sta comprando,” continua Nick. “A dire il vero sono stufo—non voglio bucare me stesso, figuriamoci se lo voglio fare ad altri.”

Foto per gentile concessione dell'autrice.

Al momento riesco a bucarmi da sola, quindi di recente non sono stata costretta a cercare qualcuno che mi aiutasse. Questo ovviamente non vale per tutti quelli che, bloccati in un circolo vizioso, devono procurarsi il doppio dei soldi e il doppio della droga e rintracciare ogni giorno qualcuno che li aiuti.

Cosa si può fare, allora? Una soluzione finora non prevista qui in Inghilterra potrebbe essere quella di introdurre luoghi di iniezioni assistite, come accade già in Svizzera, in Germania, in Spagna, in Danimarca e in Olanda. Ma considerato che qui l’aiuto ai tossicodipendenti passa attraverso il metadone, limitandosi così a sostituire una vecchia dipendenza con una nuova, non credo sia qualcosa che si potrà ottenere facilmente.

Un altro problema collegato alla questione è quello relativo all’atto di bucarsi in sé. Ho conosciuto persone che non si fanno più di eroina ma che continuano a iniettarsi acqua nelle vene. E quando ad esempio ho chiesto a Joy perché non considerasse l’idea di smettere di bucarsi e di iniziare a fumare eroina, lei mi ha risposto: “Non l’ho mai fumata e sinceramente credo che non smetterò. È una parte così grande della mia dipendenza che spesso mi chiedo se non sia un modo di punirmi—una forma insolita di autolesionismo che sicuramente sarebbe ridotta se potessi fare da me.”

Per i tossicodipendenti, la preparazione della droga e di tutto l’occorrente diventa parte integrante della propria vita. Potrebbe essere collegato a un rilascio di dopamina nel cervello che si scatena quando si inizia a disporre davanti a sé tutto l’armamentario—un fenomeno conosciuto come “stimolo condizionato”. Ma si tratta comunque di qualcosa che può essere trattato solo con il tempo e la terapia.

Per quanto mi riguarda, l’unica strada percorribile è quella che passa attraverso la consulenza specializzata, come la terapia cognitivo-comportamentale, e il recupero basato sull’astinenza. Alla radice di questo problema non c’è il fatto di avere la droga—o il fatto di averla ma di non saperla assumere da soli. Invece di impegnarsi a sostituire una droga con un’altra, come accade nel caso del metadone, la via più breve per ottenere un recupero dovrebbe essere quella di imparare a vivere senza droghe.

Sfortunatamente, tutto ciò è facile a dirsi ma non a farsi.