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Vuoi perdere peso? Chiedimi come

Siamo stati al summit italiano di Herbalife.

Illustrazioni di Simone Tso.

L’altro giorno, riordinando la mia polverosa e strapiena soffitta, ho trovato decine di cose senza senso fra le quali: una spilla che recitava “2008 Veltroni presidente ahahahahah”, delle manine appiccicose non più appiccicose delle patatine, e un misterioso manoscritto impolverato del mio antenato Adalgiso Manzoni-Doner, morto nel 1878. Conteneva un reportage per L’allegro risorgimentale realizzato alla convention di Herbalife Italia del 2012. Una riunione alla quale Adalgiso aveva partecipato grazie alla macchina del tempo da lui inventata mischiando dell’uranio impoverito con delle poesie di Foscolo sul tuning automobilistico.

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Visto che tutto quel ciarpame che avevo in solaio meritava un po’ più di posto, l’ho venduto a VICE in cambio dei soldi per affittare una soffitta più grande. Ora però ho un sacco di spazio ma niente da metterci dentro, e mi chiedo dove ho sbagliato. In compenso, subito dopo aver saputo di questo gesto di alta intelligenza, dal PD mi hanno chiamato per chiedermi se voglio candidarmi alla segreteria. Gli ho risposto che per il momento mi basta la tessera della Coop adriatica.

Ecco a voi il manoscritto-reportage del mio avo.

HERBALIFE, LO STRANO BUSINESS CHE NON CONOSCE LA CRISI, SI RITROVA A CASALECCHIO DI RENO di A. Manzoni-Doner (gennaio 2012)

Sul treno extraurbano che fende la campagna innevata in direzione dell’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, si sentono discorsi di espansione imprenditoriale, appena incrinati da un certo rammarico: “Certo che se solo avessi un contatto in Inghilterra…” Ma basta affacciarsi curiosi di vedere quei manager, incapaci di riposare pure di domenica mattina, per vedere al loro posto delle massaie di mezz’età, con berretti, sciarpe e spillette recanti il logo Herbalife. “E poi,” fa notare la più giovane del gruppo come se si fosse ricordata all’ultimo momento di un particolare irrilevante “ci vorrebbe anche qualcuno che parli inglese.” “Già,” convengono le altre mestamente.

COS’È HERBALIFE

Alle nove e mezza di domenica mattina nel palazzetto dello sport più di 4 mila persone dai 20 ai 60 anni si stanno agitando scatenate su una versione house di “Tu vuò fa l’americano”. Pezzo particolarmente adatto, visto che sui maxischermi dietro al palco capeggia la triplice foglia simbolo della multinazionale californiana Herbalife. È l’Italian Summit 2012, ovvero l’evento aziendale di punta nel nostro paese per questo colosso da 4,3 miliardi di dollari di fatturato, una multinazionale presente in 79 paesi, come praticamente ogni persona con cui parlerò durante la giornata mi ripeterà ossessivamente.

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Herbalife sponsorizza atleti di fama mondiale come Leo Messi e opera nel settore alimentare vendendo principalmente frullati, integratori e barrette, prodotti divisi in linee pensate per un’alimentazione normale e altre studiate specificamente per il dimagrimento. Ma ciò per cui Herbalife è più famosa è il sistema di network marketing: in pratica con soli 4.500 dipendenti utilizza una rete di 2,3 milioni di distributori indipendenti, divisi fra grossi (pochi), medi (qualcuno) e piccoli (una moltitudine) acquirenti e contemporaneamente rivenditori dei prodotti. Questi ultimi sono legati all’azienda solo attraverso un meccanismo di sconti che aumentano all’aumentare del volume d’affari e sono strutturati in una rigidissima gerarchia attraverso un sistema di codici numerici che alla lunga dovrebbe garantire rendite economiche crescenti ai più abili e fortunati. A patto, s’intende, che la rete che ogni acquirente/venditore ha sotto di sé continui a espandersi esponenzialmente e il fatturato della Herbalife non interrompa quindi la cavalcata gloriosa degli ultimi anni. La sua crescita ne fa un modello di business controverso ma resistente alla crisi, anzi forse proprio adatto a una congiuntura negativa. Il sospetto che viene infatti è che una struttura come quella di Herbalife sia avvantaggiata dalla situazione disastrosa del mercato del lavoro in Italia. Questa è una delle cose che noi de L’allegro risorgimentale abbiamo cercato di capire infiltrandoci nella loro convention più importante sul territorio nazionale.

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L’ITALIAN SUMMIT  

L’Italian Summit 2012 è riservato ai membri della rete aziendale; l’unica eccezione è prevista per i partner dei distributori, per cui riesco ad entrare solo fingendomi il fidanzato di quella che in realtà è la ragazza di Marco, il mio contatto dentro Herbalife. Un tizio che ho turlupinato fingendomi interessato a entrare dentro la società come suo adepto: incredibile quanto l’autostima delle persone possa trarle in inganno. Il biglietto è di soli 70 euro alla cassa, ovvero 12.50 euro in più di quello per i Radiohead nella qui vicina Bologna, ma qui se non altro nessuno ti spacca il cazzo con la difesa dei pinguini amaranto dell’Honduras.

In cambio dei 70 euri mi viene consegnato, in un sacchetto di carta: n.1 braccialetto rosa per l’ingresso; n.1 poster di Mark Hughes, defunto fondatore e profeta aziendale; n.1 attestato in cartoncino verde di partecipazione dei tre giorni, benché io presenzi solo all’ultimo; n.2 fogli d’informativa che le mie immagini potranno essere usate a scopo di marketing.

Comunque, in omaggio al detto “Mal comune mezzo gaudio” chiedo a Marco se anche lui ha dovuto pagare il biglietto. “Sì,” mi spiega “ma 35 euro perché l’ho preso per tempo.” Tutti qui hanno pagato cifre variabili a seconda dell’anticipo con cui hanno effettuato l’acquisto. Herbalife è una specie di Ryanair che però invece di portarti a Orio al Serio ti scarica sull’uscio dei tuoi vicini per provare a vendergli frullati dietetici. Un’altra variabile del prezzo d’ingresso è il grado nella gerarchia interna. Ad esempio se Marco avesse comprato il biglietto oggi in quanto supervisore avrebbe pagato 160 euro, mentre la sua ragazza che è solo distributrice avrebbe pagato 70 euro, tariffa che ho ereditato da lei. Incomincio a capire che i sistemi a scalare sono una passione aziendale, un po’ come la musica techno trash negli stacchetti fra un relatore e l’altro.

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Con Marco ci sediamo in piccionaia: non voglio dire che la gente da queste parti non trasudi intelligenza, ma preferirei essere alla manifestazione del PdL alla quale nel futuro è andato mio nipote quit.

La compartimentazione, da queste parti, è una cosa seria: nel mezzo del palazzetto si trovano gli ambiti tavoli dei pezzi grossi, suddivisi con bande eliminacode di un rosso così evidente da essere visibile a occhio nudo dallo spazio, e corredati da cartelli indicanti la precisa categoria di appartenenza all’interno del sistema delle classi censuarie di Herbalife. In fondo, lontano dal palco, ci sono i migliori fra i Work team che vengono subito dopo i Supervisor e che Marco mi spiega possono arrivare a guadagnare 2.000 euro al mese; poi ci sono i Get, che gravitano fra i 3 e i 5.000 euro; i Millionaire, divisi in due sottoclassi, la più “povera” delle quali è in assoluto la più esigua di tutte, ma si sa, la classe media non esiste più nemmeno qui nella terra dei sogni liofilizzati. In cima, a ridosso del palco, la linea più ambita, ovvero quella dei President, gente che viaggia a più di 25.000 euro al mese e senza nemmeno essere assessore ai lavori pubblici.

Tutti gli oratori della giornata proverranno da quest’ultima classe, ma non pare essere un problema, perché quando il presentatore cita il detto “Fattela con chi è più bravo di te e pagagli le spese,” tutti sembrano essere entusiasticamente d’accordo. Questi sono talmente avanti che non ti regalano neanche la farfallina di bigiotteria, devi pagargliela tu. I President pronunciano accorati discorsi motivazionali; il primo, accolto con un boato dalla platea, è quello dell’executive Carlos Calcada Bastos, un cinquantenne in completo e codino anni Ottanta, che farà ridere tutta l’Unipol arena raccontando come si fa a vendere un integratore mentre si frequenta una palestra non cercando assolutamente di venderlo. Ah ah ah. Che storia esilarante.

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Comunque qui a Herbalife tutti ci tengono molto a dire continuamente che loro non vogliono venderti nessun prodotto, ma caso mai ti servisse ce l’hanno.

“Ti serve per caso?”
“No.”
“Ah, sicuro?”
“Molto.”
“Ah. Sicuro-sicuro?”

Un’altra cosa che sono felicissimi di fare è spiegarti come funziona, perché chi ti fa entrare nella grande famiglia si prenderà una percentuale variabile sul tuo lavoro vita natural durante. È tipo un’adozione, o forse sarebbe meglio dire una sorta di “servitù della gleba” del nuovo millennio.

Oppure, come preferiscono loro, “la magia del codice seriale Herbalife”. E “magia” è proprio il termine che utilizzano. A ogni cambio di oratore, tutto il palazzetto scatta in piedi, applaude, e molti sventolano bandiere, un settore questo nel quale la leadership va alla Sardegna, con 18 bandiere coi quattro mori (quasi tutte sugli spalti) contro le cinque dell’Italia (quasi tutte nelle file dirigenziali) e quella singola, solitaria e piena di saudade del Brasile. Gli oratori continuano a invitare determinate categorie di venditori ad alzarsi in piedi e poi a sedersi, in una ginnastica che ricorda un rito religioso o i miei tentativi di non raggiungere il barattolo della nutella in cucina.

Apprezzatissima novità fra i convenuti il kit “Herbalife Italia”, che permetterà di presentarsi in uniforme azzurra al raduno europeo “Extravaganza” evitando le figuracce della scorsa edizione, quando su tutte le nazioni l’unica senza una divisa fu proprio l’Italia. Incredibile quanto si possa scendere in basso.

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Per evitare che accada ancora ed essere degnamente rappresentati ai massimi livelli, il kit in vendita quest’anno comprende maglia, fischietto, un attrezzo per fare rumore e costa 20 euro. Un ragazzo di fianco a me si lamenta “Ho comprato solo la maglia a 15 euro, sono stato uno stupido”, ma non faccio in tempo a rincuorarlo che è già in piedi che balla lo stacchetto.

ENTRARE IN HERBALIFE

Maddalena è rumena, vive a Milano da tanti anni ed è la Work team (qualsiasi cosa significhi) di Marco, per cui se lui riesce a reclutarmi, diventerà anche la mia.

Maddalena mi rifà lo stesso disegnino che mi aveva già fatto Marco quando ha cominciato a parlarmi di Herbalife. Il meccanismo non è difficile ma è abbastanza articolato: per partire hai bisogno di un codice numerico e dell’I.B.P. ovvero l’altisonante “International Business pack” che costa 130 euro e che, mi dice, “È il primo passo per entrare in Herbalife.” Peccato, e questo mi sarà confermato solo dopo infinite reticenze, che in realtà questo rappresenti sostanzialmente una fornitura mensile per una sola persona, e quindi realisticamente me stesso.

Il primo cliente che avrò attraverso l’I. B. P. sarò quindi io, ma questo devo praticamente dedurlo da solo. Un po’ deludente per un pack che contiene l’aggettivo “International” nel nome. Quando glielo faccio presente lei mi spiegherà che “Herbalife vuole che tutti i suoi distributori come prima cosa conoscano i loro prodotti.”

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Comunque non ci sono altre possibilità, se voglio entrare devo acquistare il business pack e consumarlo. In effetti ora che mi guardo attorno molti sono intenti a consumare prodotti Herbalife, nella maggior parte dei casi direttamente dal colorato shakeratore con il brand aziendale. Solo ai tavoli del management le persone sembrano preferire le bottigliette d’acqua. Una volta comprato l’I.B.T con il 25 percento di sconto rispetto al prezzo di mercato, se voglio mettermi in affari seriamente posso acquistare materiale per 500 euro con il 35 percento di sconto, oppure 2.000 euro con il 42 percento o infine 4.000 € con ben il 50 percento. Quest’ultima opzione porta in dono qualcosa di molto più importante dei frullati e delle tavolette, ovvero il raggiungimento dei punti sufficienti a diventare supervisore. Infatti che poi voi vendiate il materiale o meno a Herbalife non cambia nulla, dato che ormai lo avete pagato.

FACCIO FATTURA?

Chiedo a Maddalena “Va bene, compro il pack da 4.000 euro, ma come faccio a venderlo? Apro partita Iva?” ma lei, candida, mi risponde: “No, le tasse le paga già tutte l’azienda.” Provo a insistere: “Ma se io rivendo il materiale a una terza persona, dovrò rilasciargli una ricevuta, una fattura, un documento fiscale insomma, no?”

Maddalena mi guarda senza capire, e mi spiega che lei non rilascia niente, il commercio è porta a porta, e si svolge soprattutto fra amici e conoscenti. Allora chiedo lumi ad altri distributori, ma fra quelli che interrogo la scenetta si ripete identica, nessuno sembra essere al corrente del fatto che in Italia come nel resto del mondo le transazioni a scopi commerciali sono soggette a tassazione. E sembrano sinceri, il che, in un periodo in cui non si fa altro che parlare di scontrini ed evasori fiscali, fa riflettere. In tutto questo comunque Herbalife non commette alcun illecito, perché da parte sua emette regolare fattura per la vendita al distributore. Certo è che se queste dinamiche fossero effettivamente così diffuse come sembra dal mio campione, non sarebbe molto difficile scoprirle, dato che un cliente di Herbalife che compra 800 frullati al mese per uso personale dovrebbe risultare un po’ sospetto.

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Mi presentano Daniele, 17 anni di Cantù: è l’unico consumatore semplice che incontrerò durante la convention. Il motivo è che fino a che non avrà 18 anni non potrà comprarsi l’I.B.T, ma, mi assicura, “Non vedo l’ora.” Poi Marco mi porta al cospetto di Amir, il suo Millionaire di riferimento. È un quarantenne franco-israeliano da 11.000 euro al mese: “Ho lavorato duro un anno, poi ho vissuto in buona parte di rendita.”

Gli chiedo: “Hai sempre lavorato per Herbalife?” e lui replica “No, io non lavoro per Herbalife, io lavoro per me stesso.” Chissà su quale opuscolo di Herbalife ha imparato questa formula.

LA RENDITA

E proprio la rendita è la protagonista indiscussa della convention: mentre i President parlano, sugli schermi laterali vengono proiettate le loro foto mentre sono in yacht, a bordo di sobrie Bentley nuove di zecca, sdraiati al sole in località esotiche o nei giardini fioriti di enormi ville rosa confetto. In nessun momento si ha la sensazione che l’argomento della convention sia il prodotto; quello di cui si parla qui è il successo economico individuale. I President parlano alle platee, continuano ad alternare motti empatici come “Quando ero lì al posto vostro” a stimoli sferzanti “Si sta scomodi su quei sedili, eh?” ma a sorpresa nessuno risponde “Puoi scommetterci testa di cazzo;” quello che accade invece è che i distributori e i sovraintendenti abbozzano sognando il giorno in cui saranno loro su quel palco e non muoveranno più un dito invogliando gli altri a lavorare per loro.

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Perché non si tratta solo di fare soldi con le vendite, ma soprattutto di cooptare più gente possibile dentro l’azienda in modo da ricevere una percentuale variabile dal due al sette percento sul loro giro d’affari, e tutto questo solo in virtù del proprio codice numerico. Più il volume di vendite delle persone che hanno preso un codice dallo stesso ramo di azienda dove ti trovi tu aumenta, più riceverai del denaro per il semplice fatto di essere più in alto nella scala. Il sogno è dunquefare soldi senza lavorare. Non stupisce, date queste premesse, che l’Italia sia il mercato più ricco d’Europa per Herbalife. Come a dire che la voglia nazionale di non fare niente ha la meglio sul patrimonio gastronomico. Il President Claudio Buzzi durante il suo discorso arriva a definire il nostro paese “Herbalandia.” Spero per lui che non lo vengano a sapere Fini e Giovanardi

IL DIPARTIMENTO ETICA

Herbalife possiede una sorta di “dipartimento etica” e chiedo ad Amir in cosa consista. “L’ufficio,” mi spiega un po’ stupito della mia domanda, dato che per lui sono un aspirante distributore come il mio cappellino con visiera e mani che applaudono cerca di comunicare chiaramente, “controlla che non ci siano alterazioni della gerarchia stabilita dai codici numerici, o che qualcuno non venda i prodotti a prezzi più alti o senza essere autorizzato dall’azienda.” In pratica, stando a quanto dice, è un ufficio che controlla che non vengano lesi gli interessi dell’azienda. Ah ecco.

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IL CULTO DEL CAPO

Herbalife possiede una figura profetica, il defunto fondatore Mark Hughes, quello di cui per soli 70 euro ho ricevuto una foto formato A4 all’ingresso. Ironia della sorte, si pronuncia come si pronuncerebbe in inglese Marcuse, e per le prime tre citazioni ho la surreale impressione che il filosofo della scuola di Francoforte avesse pronunciato massime come “Usa, indossa, parla” e “Semplice, divertente, magico.” La leggenda vuole che Hughes abbia perso la madre a causa di una dieta dimagrante e da allora abbia dedicato la sua vita alla diffusione di un sistema di alimentazione sano di cui divenne il primo cliente ma che non gli impedì di morire all’età di 44 anni per una overdose di alcool e Doxepin. Hughes è visto da molti in Herbalife come una sorta di uomo dai caratteri sovrannaturali, e fra le altre cose si deve a lui l’idea della famosa spilletta “Vuoi perdere peso? Chiedimi come” che molti portano appuntata alla giacca. Particolarmente apprezzabile anche la sua massima “Siamo i racconta-storie meglio pagati al mondo.”

I RISCHI DEL SISTEMA HERBALIFE

Da un punto di vista legale Herbalife non è una truffa. Le uniche perplessità, stando a quanto mi hanno confessato i singoli distributori, riguardano la correttezza fiscale dei passaggi di vendita intermedi. Ci sono però i rischi sociali, resi ben evidenti dall’assegnazione del premio “Coppa Italia Herbalife” alle tre città che hanno generato più fatturato nel 2011 e che sono state: 1. Cagliari, 2. Caltanissetta, 3. Oristano. Tutte realtà ad alto tasso di disoccupazione. Questo perché con Herbalife possono lavorare tutti, anzi di più, più gente ci lavora più l’organizzazione farà soldi, dato che per partire è necessario comprare dei pack anche abbastanza onerosi. Ma a chi vende il distributore neofita, o come eloquentemente li definisce Calcada Bastos fra le risate generali i “Distribuglioni”? Il consiglio degli esperti della società è rivolgersi per prima cosa a parenti e amici, ed è facile immaginare come specie in zone occupazionalmente depresse, soggetti giovani possano ricevere dai loro cari una sorta di elemosina, che li illuda per un breve periodo di aver trovato un lavoro vero. Herbalife si vanta di dare fino al 73 percento del costo di un proprio prodotto alla rete dei venditori, ma in realtà ben il 50 percento del prezzo è costituito solo da sconti sull’acquisto e non da retribuzioni vere e proprie, le quali invece avvengono sotto forma di royalty, ma in percentuali minori e solo a coloro che sviluppano una rendita attraverso il codice numerico. La rendita però funziona in maniera stabile solo finché il volume d’affari dei propri sottoposti aumenta o quantomeno rimane stazionario. Questo genera una grande precarietà per persone che invece danno la sensazione di considerarsi inserite in un sistema aziendale molto stabile.

In Herbalife il rischio d’impresa è in buona parte esternalizzato sulle spalle dei distributori, che vengono invogliati a spendere soldi oltre che nell’acquisto dei materiali anche in corsi di aggiornamento, convention e materiale promozionale. Tutto il sistema è studiato per convincere persone ad affrontare impegnative carriere imprenditoriali indipendentemente dalle loro effettive capacità, lasciandoli soli di fronte a un rischio e a problematiche a cui sono scarsamente preparati, dato che la formazione aziendale è soprattutto motivazionale, incentrata com’è sulle storie di Hughes e sulla vita dei President. Per ottenere questo risultato, chi è più in alto nella gerarchia mitizza la propria posizione e convince così chi è più in basso ad accettare ogni sforzo per aumentare il proprio volume d’affari, salire di grado, guadagnare più denaro ed essere celebrato coreograficamente durante gli eventi. Il dominio che i più alti in grado hanno viene utilizzato così come motore dell’espansione del fatturato aziendale, poiché tutti sono incoraggiati a cercare di diventare dei President. È attraverso questa strategia di comunicazione e amministrazione aziendale che le massaie con il berretto di Herbalife in testa finiscono per pianificare la conquista dell’Inghilterra sul regionale per Vignola senza sapere l’inglese e molti giovani non si pongono neanche il problema della totale precarietà del loro posto di lavoro, attratti come sono dalle macchine di lusso dei President, sistemate in bella vista nel parcheggio con tanto di adesivo aziendale sul cofano.

Ora scusate, ma devo tornare nel mio tempo a combattere gli austriaci, volevo solo aggiungere al mio nipote quit, di cui conosco bene le gesta grazie ai miei viaggi nel tempo, “Sono orgoglioso di te e sono sicuro che farai bene come segretario del PD.”

A. Manzoni-Doner

Segui quit su Twitter: @quitthedoner