Musica

In 'Aiuto!', Ombretta Colli aveva previsto tutta la paranoia della trap di oggi

Quando ancora era in piena fase combat e femminista, l'artista aveva tirato fuori un disco technopop e synth con la voglia di fare a pezzi la vita moderna.
Ombretta Colli Aiuto!
Immagine di copertina tratta da 'Aiuto!'

A volte la storia dà delle bizzarre lezioni di musica e di vita. Per tutti coloro che sono stati attenti, ne abbiamo avuto l’esempio principe proprio durante i mesi della quarantena, quando improvvisamente si sono ribaltati i valori e in qualche modo sono crollati tanti luoghi comuni della materia musicale.

L’episodio più clamoroso è avvenuto però non nel nostro Paese, ma in Spagna, dove un giornalista di Radio Onda Cero per chiudere la sua trasmissione mattutina ha preso l'abitudine di passare "Facciamo finta che!" Se non conoscete il pezzo—e avreste tutte le ragioni di questo mondo—si tratta di una canzone di Ombretta Colli, tratta da un programma Rai intitolato Giandomenico Fracchia: ebbene sì, parliamo proprio di Paolo Villaggio e del 1975.

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In Spagna, un giornalista ha preso l'abitudine di passare "Facciamo finta che!" di Ombretta Colli in radio. E la cosa assurda è che è diventata un’autentica hit.

Se ascoltate poi il pezzo vi accorgerete subito che è chiaramente permeato da un’ironia dolceamara totalmente in linea con il personaggio de La belva umana, sottolineata dai testi di apparente rassegnazione che però nascondono in realtà un rifiuto a questo stesso atteggiamento, segnalato già dall’interpretazione vocale al vetriolo della Colli—tra gli autori del testo, Maurizio Costanzo, che probabilmente avrà scritto solo le virgole. Il testo recita: "Facciamo finta che… / Tutto va ben, tutto va ben / Facciamo finta che tutto va ben / C’è la salute (tutto va ben) / Sian tutti amici (tutto va ben) / Siamo felici".

Fin qui tutto normale, in fondo viene passata una canzone vintage di un programma che in Italia non si ricorda più nessuno… la cosa assurda è invece che improvvisamente il brano diventa virale, un’autentica hit. Il gap temporale creato dal lockdown trasforma un datato brano del 1975 in un manifesto, un inno di resistenza umana del qui e ora, che gli spagnoli cantano dai balconi in maniera bipartisan.

Mentre qui in Italia ci dividevamo in nazionalisti incartapecoriti con l’inno italiano e wannabe partigiani con "Bella ciao"—canzoni che in entrambi i casi, diciamolo, possono rompere ampiamente le balle—, laggiù si riscoprivano le qualità particolari della Colli che fu, e il "che fu" non è casuale. A questo punto molti lettori, a digiuno della storia musicale d'Italia, si chiederanno: ma la Colli di cui parliamo chi è, è quella stessa politica di Forza Italia che s'accanisce sull’Islam e l’immigrazione?

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La risposta in effetti è positiva, ma, proprio come Lindo Ferretti, si sa che in vecchiaia si perde di lucidità, e infatti quando era giovane la nostra Ombretta rappresentava invece la frangia femminista e combat del cantautorato italiano. Una donna di spettacolo bella e intelligente che passava dalle selezioni di Miss Italia—nel 1960 arrivò al secondo posto—alle pungenti critiche sociali, in grado di penetrare nelle case degli italiani dalla tv nazionale e dal cinema—lavorò addirittura con Scola e Petri, per dirne due—stuzzicando con polemica, brio e beffarda incazzatura la comfort zone dello spettatore, per sfruttare così le crepe della società dello spettacolo.

Quando era giovane la nostra Ombretta rappresentava la frangia femminista e combat del cantautorato italiano. Una donna di spettacolo che stuzzicava con polemica, brio e beffarda incazzatura la comfort zone dello spettatore, per sfruttare così le crepe della società dello spettacolo.

Tanto più che il fatto che fosse la moglie di Giorgio Gaber, in una società maschilista come quella italiana, avrebbe potuto subito massacrarle la carriera e invece, per così dire, era Gaber a essere il marito della Colli. Con il Signor G, sempre un passo indietro alla moglie a differenza di tanti altri, Colli ha condiviso tutta la vita anche dopo l’incredibile “conversione a destra” di Ombretta, che possiamo provare a immaginare essere stata vissuta in maniera complicata, tanto che, su ammissione della stessa Colli, "A casa non si parlava di politica".

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Una volta, quando condividevano le stesse idee di sinistra, invece ne parlavano e pure parecchio: tanto che la Colli fu una delle prime a battersi per il divorzio e l'aborto in Italia—cosa che fortunatamente viene rivendicata ancora oggi. E incise tra i Settanta e gli Ottanta una serie di dischi piuttosto massicci nei quali troviamo lo zampino, tanto per dire, di un Battiato—nell’ambigua “Cocco bello cocco fresco”, la hit di Ombretta, come “Un'estate al mare” con una spacciatrice che sostituisce la prostituta del brano della Russo—ma anche e soprattutto del marito, al servizio dell’istrionismo della nostra eroina con una scrittura che a tratti può essere considerata migliore rispetto alle prove da solista.

Dopo uno iato che durerà dal 1975 al 1982, Gaber e Colli virarono poi verso la tecnologia e il moderno, portando la loro sperimentazione di “teatro canzone politico-femminista” su un piano synth pop dominato dalle macchine e documentato dai dischi A Marilyn e Una donna tutta sbagliata, ai quali partecipa anche Sandro Luporini, storico socio collaboratore del Signor G. E nel 1985 viene sfornato un album che nel soggetto che tratta sembra essere stato scritto oggi, dopo essere stati rinchiusi in casa in piena esplosione pandemica, rilasciati improvvisamente su cauzione ed esposti agli inevitabili crolli nervosi: l’album in questione si chiama, senza troppi giri di parole, AIUTO! e oggi Italian Folgorati ve lo descrive con tutti i crismi.

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Quei banditi favoriti dei Krisma

"Crismi" ci rimanda ai Krisma, e se la coppia Arcieri & Moser era navigata tra synth e corbellerie elettroniche, la coppia Gaber & Colli invece fino ad allora ne aveva fatto un uso accessorio, che possiamo definire di facciata, per quanto interessante. In questo caso invece si trasformano in due cybernauti finalmente sul pezzo, in una penisola oramai automatizzata e che puzza di plastica bruciata, tanto che la stessa Colli si presenta in copertina con occhiali futuribili e una mise completamente vapor.

Gaber & Colli sono due cybernauti in una penisola oramai automatizzata e che puzza di plastica bruciata, tanto che la stessa Colli si presenta in copertina con occhiali futuribili e una mise completamente vapor.

A parte i session man impegnati nelle loro parti (tra i quali il buon Bob Callero, bassista di Anima Latina di Battisti), gli arrangiamenti sono di Vito Mercurio, violinista e tastierista nella Nuova Compagnia di Canto Popolare. Ma, invece che rifugiarsi nella tradizione, il nostro arrangiatore si lascia andare alle seduzioni di un suono perfetto per la filodiffusione dei supermercati, dominato dalla finzione artificiale.

Giorgio Il Distruttore

Sette brani su otto sono in realtà tratti dallo spettacolo teatrale Aiuto…sono una donna di successo, scritto da Gaber e Colli, nonché da Giampiero Alloisio. Uno spettacolo in cui la Colli fa la mattatrice e, grazie a un pretesto semiautobiografico, finisce per scoprire gli altarini degli anni Ottanta del riflusso, qualcosa che nasce dal timore e dalla alienazione.

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"Ho paura" è infatti il primo brano, arricchito da un'introduzione quasi industrial, che poi sfocia in un technopop erede degli Art Of Noise tanto quanto di Grace Jones in zona "I've Seen That Face Before (Libertango)". Si tratta di un pezzo sorretto da modulazioni paranoiche e da un testo fenomenale, in cui l’irrazionalità del terrore oramai indotto dal sistema non permette altra via d’uscita se non il comportarsi come un topo in una gabbietta, magari compiacendosene.

"La paura qualche volta aiuta", una grintosa Ombretta interpreta come se lottasse con un suo doppione vocale algoritmico, una metafora della lotta tra il rischio e la sua mancanza, e "Ho paura" potrebbe essere in effetti il brano simbolo di questo periodo, in cui il desiderio di sicurezza estrema auto-reprime le libertà personali più elementari tra le quali quella, ancor più assurda, di avere paura ad avere paura. Lasciate perdere i vari assembramenti, anche quelli sono il parto di una paura ben precisa, quella della solitudine: "Sola" è infatti il brano successivo, che sfoggia un sintetizzatore digitale al profumo di bicchieri di cristallo inumiditi.

"Non cercate di aiutarmi per piacere / non ci riuscireste mai"

È un’ammissione della propria incapacità di capire le persone e un inno all’individualità, "Non cercate di aiutarmi per piacere / non ci riuscireste mai", condita da orchestrazioni da Emulator e ritmiche alla Machintosh Plus, con in più un rifiuto a dividere con gli altri le paure ma anche le rassicurazioni facili. "Chi finge di capire chi sta male e chi non trova le parole / La gente che conosco è troppo fragile, stasera non ci sono per nessuno".

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In realtà poi emerge anche la sofferenza profonda dell’incapacità di riconoscere i propri limiti e tollerare quelli dei propri simili, per poi essere in grado di superarli: in "Una donna senza", su una base di pop caraibico da cartolina computerizzata, tutta slap artificiali e mallets sequenziati, si demoliscono infatti con un nichilismo notevole tutti i luoghi comuni sul mondo femminile, puntando il riflettore sulla necessità di resettare tutto verso il superamento del genere sessuale. D’altronde, questa è "La vita", una ballata digitale di un romanticismo postatomico, orchestrata a botte di  campionamenti, perché la vita non è solo aggrapparsi a essa e Ombretta ce lo ricorda con il suo "Non so se sia allegra o noiosa, ma non è questa cosa, la vita".

Anche la gioia di avere un figlia che ti salva l’esistenza non è in realtà la vita, la vita è quello che non si sa, in continue scatole cinesi basate su un dubbio di ricerca perenne. Come al solito, dunque, la coppia  Colli/Gaber smonta le certezze, a cominciare proprio da quella gioia che si dà per scontata, e infatti in "Quando facciamo l’ amore" si sonda l’intimità di coppia analizzandola come una serie di fantasie e di trasformazioni, oltre alle contraddizioni inconciliabili, fuori dal perbenismo alla missionaria di tanti moralismi—"Quando facciamo l'amore / a volte ti immagini come un nazista / cogli stivali di pelle  / il berretto e la frusta / Quando facciamo l'amore io e te / Quando facciamo l'amore / sei un piccolo gatto, un topino, un maiale / una tigre bellissima, un uomo o qualche altro animale", si canta infatti nel pezzo.

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La questione del sentimento è fondamentale, e "Sento" parte come una roba simil synth afro che piacerebbe a Sun Araw, per poi declinare in una nuvola in stile Sound-System di Herbie Hancock, "Tu mi spieghi il mio comportamento mentre io invece sento", è l'istinto contro la ragione, e poi spunta Gaber a fare i controcanti come a ribadirlo. È un incontro/scontro tra sensibilità maschile e femminile, dove quest’ultima rivendica la propria capacità di andare nel profondo senza tante quisquilie cerebrali, cavalcando la magia dell’immediato e amando l’altro per quello che è, "quando non sai cosa dire ti sento più vero, sento arrivare il futuro".

"Quando facciamo l'amore / a volte ti immagini come un nazista / cogli stivali di pelle  / il berretto e la frusta / Quando facciamo l'amore io e te / Quando facciamo l'amore / sei un piccolo gatto, un topino, un maiale / una tigre bellissima, un uomo o qualche altro animale"

"Che uomo sei" amplifica il sentimento, tramite i pianoforti digitali e le fredde sinosuidali, nonché grazie a bassi e suoni da Second Life, e una batteria elettronica Linn che sottolinea la meschinità del maschio; l’amore come recitazione fredda e calcolata, inevitabilmente educata quanto sterile. A questo proposito giunge a cecio la conclusiva "Giorni", che sembra nata da un computer degli Yellow Magic Orchestra lanciato a bomba, con la sua ritmica ossessiva, le sequenze su cassa dritta e un viaggio esistenziale attraverso il vuoto di una vita.

"Un gioco senza scopo da ripetere da capo", il ritornello ripete in loop il titolo come se questi giorni si accavallassero sulla schiena dell’umanità senza pietà, sia nel bene che nel male. È uno dei picchi del disco, non a caso posto a conclusione del tutto, un pezzo in cui la filosofia della Colli è chiarissima e dichiarata: uno scetticismo quasi cinico, ma proprio per questo vitale. La vita che chiede alla vita stessa spiegazioni, insomma.

Aiuto! uscirà, ironia della sorte, per la Five Records del Berlusconi che poi sedusse la Colli, allora ancora in zona rossa. All’epoca l’etichetta aveva il vizietto—oltre a quello di setacciare il fenomeno italo e quello delle sigle dei cartoni e tv, per i facili guadagni—di mettere sotto contratto le vecchie glorie a prescindere dai risultati commerciali e dalla qualità o meno dell’ opera, in quella che, col senno di poi, è una mossa chiarissima di riciclo.

La Colli  nel 1985 fa parte di questa categoria, il disco esce e non viene pubblicizzato se non con qualche comparsata televisiva, ragion per cui cadrà presto nel dimenticatoio. Ma, a differenza di tante monnezze prodotte nel periodo, nella freddezza sonora cosmica di Aiuto!, e nelle sue domande che sembrano inviate a un Dio che è in realtà un calcolatore elettronico, ritroviamo uno spaccato di questo 2020 in cui la paura si mimetizza nella libertà e la vita viene fraintesa con la gioia. "È inutile tentare di scappare dalla sofferenza con i colpi di testa", ci dice la Colli, benché purtroppo sia stata lei la prima a farlo, a metà degli anni Novanta. Dunque, non seguite il suo esempio ma, se vedete che vi state perdendo per strada… chiedete Aiuto!

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