Pizzeria Shambo Milano
Nella foto Raji Patwa. Collage by Munchies. Tutte le foto dell'autore 
Cibo

Il pizzaiolo che a Milano fa una pizza al pollo pazzesca

Non la chiameremo pizza gourmet, ma da Pizza Shambò a Milano abbiamo goduto tantissimo, anche per la cura delle pizze vegetariane.

“Gourmet” è la parola del vocabolario gastronomico che negli ultimi anni ha subito maggiori violenze e svuotamento di significato. In teoria indicherebbe il buongustaio dal palato fine ma, come accade nei normali processi linguistici, il termine s’è esteso diventando sinonimo di cucina ricercata. Eppure, quando una parola esce dalla nicchia e diventa esca del marketing, proliferano chi oltre stracciatella, pistacchio, mortadella, olietti al tartufo e tartare assortite, non sa andare.

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Un vero piatto gourmet dovrebbe essere costruito su complessi criteri gastronomici, proponendo abbinamenti inusuali, con materie pregiate e l’impiego di tecnica d’alto livello per creare sapori e consistenze fuori dal comune. Tutto il resto sono mini ciccioli venduti come mirabolanti fuochi d’artificio, e la pizza in questo è un caso esemplare.

Fatta tutta sta tiritera, avevo da tempo segnato il nome di una pizzeria in zona Stazione Centrale a Milano e a un certo punto avrei dovuto mettere una spunta sulla lista.

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Pizzeria Shambò. Tutte le foto dell'autore

Entro da Pizza Shambò e alla cassa, di ritorno da un’ordinazione, scambio quattro chiacchiere con Raji Patwa, il titolare. Ventotto anni, nato in India e arrivato in Italia da qualche anno, Raji apre Shambò nel settembre del 2018. Inizialmente il locale era solo la piccola sala da 20 posti in cui ci troviamo e lui era il factotum, dalla cucina alla sala gestiva ogni cosa. Adesso il locale s’è esteso, con un’insegna rinnovata e 40 posti in più all’interno, ha due dipendenti in cucina e due in sala.

Una di queste, Francesca, mi racconta che è stata assunta dopo aver cenato lì una sera con delle amiche e, vedendo Raji in difficoltà, ha iniziato a servire ai tavoli vestita in modo elegante.

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Il menu di Pizza Shambò

Essendo in una zona piena di alberghi, gran parte della clientela sono persone straniere o avventori di passaggio, ma non mancano i clienti fissi. In India Raji ha imparato la panificazione e passare alla pizza è stato semplice. È arrivato in Italia per lavorare nella moda, poi, da autodidatta, ha deciso con i dovuti sacrifici di aprire un posto per seguire la sua passione.

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Gli chiedo se il suo impasto abbia qualcosa di particolare o segreto. Sorridendo, quasi derubricando la domanda come una curiosità fighetta, mi dice che l’unico segreto è l’impegno.

Shambò è una parola che viene dallo yoga e vuol dire “rilascio di energia”. Raji spiega che sono i viaggi in giro per l’Italia a ispirarlo, molti nomi usati per battezzare le sue pizze vengono da luoghi visitati o esperienze. Gli abbinamenti hanno un’impronta italiana, ma Raji cerca di inserire elementi della sua terra d’origine, un ingrediente o una preparazione, senza stravolgere il concetto di pizza in sé. 

Chiacchierare è bellissimo ma anche il mio stomaco parla emettendo mugugni di sofferenza da vuoto, passo quindi alla fase due della mia missione: testare la pizza di Shambò.

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L'autore finalmente con la sua pizza

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La pizza doppio gusto

Dando una scorsa al menu inciampo in quella famosa parolina. Se devo essere onesto, le proposte gourmet di Shambò non hanno abbinamenti da lasciare di stucco, ma nel modo in cui Raji mi spiega il perché e il come di ogni pizza non traspare un nauseabondo ego pompato dal marketing.

Accanto alle pizze gourmet ci sono proposte classiche e speciali. Vorrei assaggiarne più d’una, ma ne ho già viste atterrare un paio ai tavoli e le dimensioni vanno ben oltre il mio comunque lauto appetito. Raji taglia la testa al toro: metà così e metà colì. Una metà Primavera Rossa (dalla sezione gourmet) con crema di barbabietola, cipolla di Tropea, zucchine, pomodorini secchi, bufala, rucola e pistacchio, e un’altra metà Pizza Pollo (dalla sezione speciali), una base margherita con pollo (tipo kebab), rucola, salsa yogurt e piccante, cipolla e pomodorini.

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Dettaglio della pizza con barbabietola

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Dettaglio della Pizza Pollo

Non ho mai mangiato una pizza con del pollo sopra, e concettualmente non la trovo raccapricciante, bensì la fisiologica fusione di tradizioni gastronomiche diverse. Tutti i classici della nostra cucina nascono da questo processo inarrestabile. E sia messo agli atti che la rucola è una delle cose che più mi indispone su una pizza. Residuo bellico degli accrocchi anni Novanta, è sopravvissuta alle mode diventando ingrediente “classico” in quasi tutte le pizzerie d’Italia. La detesto con tutto me stesso ma sono, nel contempo, rispettoso delle idee di un locale, quindi non ne chiedo l’esclusione. 

Arriva così questo disco vivace, dai colori intensi; l’impasto è basso ma le fette non si piegano una volta sollevate facendo precipitare il condimento. Il bordo non partecipa al campionato Guarda-Mamma-Che-Alveoli, è arioso dentro e croccantino in superficie. La base è piacevolmente ruvida. 

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Attacco la metà vegetariana, la Primavera Rossa. La crema di barbabietola sostituisce la salsa di pomodoro e ammetto che fossi un po’ scettico, se non altro per il timore che ci fosse troppa dolcezza—mitigata invece da una puntina acidula, probabilmente aggiunta, che dribbla l’effetto-dessert. Pur mantenendo la nota terrosa interagisce bene con gli altri ingredienti di questo che sembra un orto su pizza. Le zucchine sono appena toccate dal calore della griglia e il taglio spesso mezzo centimetro ne mantiene la croccantezza. È un piccolo dettaglio tecnico non da poco, dato che nella stragrande maggioranza delle pizze veg le verdure sono maltrattate, come se gli ortaggi non meritassero amore. Il pomodoro secco interrompe la frequenza dolciastra iniettando umami nel boccone, la bufala spara lievi acidità e pannosità e la tanto odiata (da me) rucola non si trasforma in un cimitero di foglioline appassite dal calore, preservando l’amaro erbaceo. Ogni componente concorre a un mosaico delicato ed elegante.

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L'autore mentre azzanna una fetta di pizza

Passo all’altra metà, e già al primo morso mi sciolgo come un ghiacciolo nel microonde. I petali di questa sorta di kebab hanno un sapore pulito, chiaro, con la speziatura appena accennata che permette di riconoscere il pollo.

Sia qui che nella Primavera Rossa c’è un’accurata distribuzione degli ingredienti senza parti troppo condite, e quando arriva la salsina di yogurt mi ingrifo fortissimo per la piacevole acidità che rischiara la scena. Anche il piccante si infila qua e là per ricordarti che c’è, ma senza invadere il resto. 

Restituisco a Raji il piatto pulito, e lui mi ringrazia con ferma e sincera gentilezza accertandosi che fosse tutto ok. Lo rassicuro e si fortifica in me la convinzione che per saper cucinare certi piatti “tipici” non devi nascere in quel luogo, piuttosto devi conoscere la tecnica e avere sensibilità gastronomica senza forzare il colpo a effetto—due doti che non si acquisiscono per trasmissione genetica, forse neanche per influenza ambientale.

Certo, penso che Raji faccia un passo un po’ più lungo della gamba usando la parola “gourmet”. Ma ciò non toglie che le sue pizze abbiano un’anima, una vivacità gustativa e cromatica e un carattere sobrio e limpido.

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