Cibo

Cosa c’è dietro al più grande concorso di cioccolato al mondo

La hunger games del cioccolato, fra quantità di zucchero illegali, pathos reale, 10.000 euro di premio che sembrano non interessare a nessuno.
Lavinia Martini
Rome, IT
Campionato Mondiale di cioccolato 2022 Parigi
Sulla sinistra uno dei lavori di Issam Tajer (Marocco). Sulla destra di Antoine Carréric (Francia). Foto per gentile concessione del World Chocolate Masters

Fare i concorsi è un vero e proprio lavoro: servono competenze, costanza e supporto economico […] le fasi di preparazione durano per anni, e sono parecchio intense.

Quando sono stata invitata a partecipare a questo evento, mai avrei pensato di trovarmi in una grande arena circondata da tifo sfegatato, cioccolato a palate e cioccolatieri di nazionalità diverse, dalla Corea al Marocco: è questa più o meno la scena che si delinea entrando al World Chocolate Masters a Parigi, la finalissima che riunisce 18 cioccolatieri internazionali che si sfidano su una complicata serie di prove per eleggere il miglior cioccolatiere del mondo. Del resto, chi se l’è mai immaginato un campionato mondiale di cioccolato? 

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Il tifo coreano. Foto dell'autrice

A guidare la giuria c’è Amaury Guichon, la star del cioccolato più famosa al mondo a guardare i suoi numeri sui social, 10 milioni su Instagram, 18 milioni su Tik Tok, più degli abitanti del paese in cui è nato, la Svizzera. Poi Kirsten Tibballs, detta “the queen of chocolate”, persona di rara simpatia e con uno spiccato senso dell’umorismo. Infine l’enigmatica coppia di cioccolatieri giapponesi, Yusuke Matsushita e Sachi Takagi. È uno sconosciuto mondo di nerd del cioccolato che proprio negli ultimi anni, anche grazie a Guichon, sta guadagnando una spiccata visibilità. 

Anna è anche l’unica donna in questa competizione. Nella giuria ci sono due donne su 18 giurati, oltre ad altre quattro cioccolatiere nella sezione “sustainability jury”.

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La giuria con il vincitore. Foto dell'autrice

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Anna Gervasi. Foto dell'autrice

A rappresentare l’Italia c’è la finalista Anna Gerasi. “Alle semifinali mi hanno detto che non sapevo in che guaio mi sarei messa” mi racconta “Arrivare alla gara è stato pesante a livello mentale. La mia fortuna è quella di essere titolare di un’azienda e di aver ricevuto supporto da tutti. Qui la competizione è autentica: ci sono miei competitors che sono persone fantastiche, mi hanno salutato e abbracciato. Altri che invece sono più sulle loro”. E poi c’è il discorso della pressione della gara. “Lavorare in laboratorio è completamente diverso, abbiamo fatto anche delle segnalazioni con elementi di disturbo, come la musica a manetta. La sicurezza ti viene solo con l’allenamento”.

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Anna è anche l’unica donna in questa competizione. Nella giuria ci sono due donne su 18 giurati, oltre ad altre quattro cioccolatiere nella sezione “sustainability jury”. Nelle sette edizioni precedenti, dal 2005 ad oggi, a vincere sono stati sempre degli uomini. Nel 2009 Michaela Karg è arrivata terza, nel 2013 Marike van Beurden seconda. Sono in molti però a dirmi che in questi concorsi ci si ricorda solo dei vincitori, mai dei partecipanti. Già in passato avevamo parlato del fatto che i concorsi – sì, anche quelli gastronomici – sono più facili a una rappresentazione maschile del talento. 

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Foto dell'autrice

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I bon bon in gara. Foto dell'autrice

Del resto per superare tutte le prove, che si snodano nell’arco di tre giorni, il talento serve ma non basta. Occorre essere creativi, saper gestire le emozioni e saper parlare in pubblico. Ogni concorrente può scegliere di sviluppare otto diversi argomenti, per esempio la Generazione Z, il cibo circolare oppure i prodotti locali. Il tema viene poi declinato in sette differenti prove, una delle più spettacolari è la realizzazione di un’intera vetrina di cioccolato che il vincitore esporrà nei grandi magazzini Harrods.

I giudici, diversamente da quello che succede nel vino, ingurgitano veramente una tale quantità di cioccolato da stendere anche il piccolo Bruce di Matilda Sei Mitica

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Ci sono elefanti di cioccolato, ballerine rotanti, un’intera parete che ripete decine di volte lo stesso bon bon, una balena bionica e molti pezzi che non hanno retto il colpo del montaggio: al terzo giorno alcuni animali sono disfatti, completamente irriconoscibili, e lungo il cordolo che protegge le strutture dalla folla si viene rapiti da un pungente odore di cioccolato. 

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Foto dell'autrice

Il regolamento della gara è estremamente dettagliato e complesso, così come quello per i 18 giurati che valutano ogni singola monoporzione, ogni centimetro di pralina. Ma l’unica persona in grado di ribaltare tutti i voti è Amaury Guichon, l’Alessandro Borghese del cioccolato. Nessuno qui si chiede se Guichon sia un vero artista o semplicemente uno diventato famoso sui social: gli stessi professionisti gli riconoscono una bravura cristallina. Anzi gira voce che sia scrupoloso e gentile, proprio come appare nella Scuola di Cioccolato, il suo reality su Netflix.

E in effetti se c’è una cosa che di quel programma mi aveva colpito, era proprio che diversamente da MasterChef nessuno sbraitava o si comportava in modo aggressivo e disturbante per fare dello show. È sempre Guichon che può attribuire ai singoli concorrenti delle penalità, per esempio se dimenticano degli ingredienti in dispensa o se violano le indicazioni del lungo regolamento. A seconda delle prove viene richiesto di minimizzare l’utilizzo di zucchero, di fare tutte le preparazioni sul momento, di rispettare specifiche misure in altezza e larghezza, di utilizzare solo cioccolato e nessun altro tipo di ingrediente. 

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Ma questo è praticamente nulla rispetto alle vibrazioni che offre il campionato, un vero e proprio Hunger Games per cioccolatieri. Oltre a dover completare le loro realizzazioni, i finalisti lavorano in una grande arena davanti alle telecamere, circondati da un pubblico numeroso con interruzioni continue, interviste e caldo, molto caldo, che con il cioccolato di certo non aiuta. I primi due giorni di manifestazione culminano nell’eliminazione di 8 concorrenti: in un eccesso di vibrazioni da reality show, i led wall si tingono di rosso per salutare gli eliminati. A stemperare la tensione ci pensa l’altra metà del campionato: quella dove si beve champagne dall’open bar e si assaggiano deliziosi panini con curry e maionese scovati nella sala riservata al personale. 

Ci sono diverse cose a lasciare il segno. La prima è che i giudici, diversamente da quello che succede nel vino, ingurgitano veramente una tale quantità di cioccolato da stendere anche il piccolo Bruce di Matilda Sei Mitica. “Ma io ne assaggio un pezzo piccolissimo. Non sarebbe elegante fare diversamente davanti alle telecamere” mi spiega Kirsten Tibballs in un momento informale. La seconda è che questo campionato è simile e diverso da altri concorsi internazionali, come spiega Matteo Berti, direttore didattico di Alma Scuola Internazionale di Cucina Italiana e giurato in questa sede. “I concorsi rappresentano ancora uno spartiacque in cui l’allievo può diventare maestro universalmente riconosciuto. Per questo secondo me c’è ancora bisogno di contesti che, proprio come questo, possono cambiare la vita dei vincitori, senza lasciare spazio per secondi o addirittura terzi. Anni di preparazione che dipendono nel giro di tre giorni dai grammi di una pralina o dai millimetri della camicia di un bon bon”. 

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Il pubblico. Foto dell'autrice

Fare i concorsi è un vero e proprio lavoro: servono competenze, costanza e supporto economico. Quest’ultimo è garantito ai finalisti, se non integralmente almeno in buona parte, da Cacao Barry, main sponsor e organizzatore dell’evento ma anche da altri partner che il finalista raccoglie. Del resto, le fasi di preparazione durano per anni, e sono parecchio intense. “Questa cosa era nella mia testa da quattro anni. Per sei mesi non ho avuto neppure un giorno di riposo” mi spiega Stephen Trigg dal Regno Unito. 

I concorrenti sono molto adrenalinici all’idea di gareggiare, ma alcuni sembrano anche impazienti di vedere la fine delle prove. “Sono felice per tutto quello che ho fatto” racconta Stephen “Non mi interessa se arrivo primo o ultimo. È una cosa che mi smuove molte emozioni, questa competizione ti spinge ai limiti fisicamente ed emotivamente”. Dongsuk Kim gareggia invece per la Corea con uno spirito molto più combattivo “la mia aspettativa è almeno quella di arrivare nella top ten dei finalisti: sono così tante le cose che ho preparato per arrivare qui, che voglio far vedere quello che so fare. Di competizioni ne ho fatte tantissime, ma niente è paragonabile a questo”. E sulla presenza di così tante persone mi dice: “l’apprezzo tantissimo. Mi dà la carica e mi fa sentire che gli altri sono interessati a quello che faccio”. 

Oltre alla gloria eterna, sembra che in questi concorsi a nessuno interessi del premio: al primo classificato vengono dati 10.000 euro, […] e l’allestimento della vetrina di Harrods.

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Lluc Casellas, il vincitore. Foto dell'autrice

La premiazione arriva alla fine della terza giornata con un sensazionale moto di pathos. A guadagnarsi la testa del podio è lo spagnolo Lluc Casellas che, sin dalle prime ore, era stato dato per vincitore. Anna Gerasi arriva quarta. Tra fuochi d’artificio e stelle filanti, girano vassoi ricolmi di bicchieri di champagne che qualcuno manderà maldestramente in pezzi. Già, ma cosa si vince? Perché oltre alla gloria eterna, sembra che in questi concorsi a nessuno interessi del premio: al primo classificato vengono dati 10.000 euro, una sessione creativa con gli chef di Cacao Barry e l’allestimento della vetrina di Harrods. 

Ma finito il giro degli applausi, è all’immediato party di chiusura che va la scena. “Di solito a queste feste si vedono cose pazzesche” mi racconta Livia Chiriotti, direttrice di Pasticceria Internazionale. I vincitori e i finalisti usano questi momenti per scaricare l’ansia da prestazione del campionato, lasciandosi andare alla generosità dell’open bar. È un passaggio buffo e repentino: dalla formalità di una gara serissima al trenino interculturale. Il giorno dopo durante la colazione in hotel alcuni esibiranno un plateale hangover tra un caffè americano e un morso di uova e pancake. 

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