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Tecnologia

Come ricavare energia elettrica dall'urina

La tecnica sviluppata dal team di ricerca italo-inglese permette di generare fino a 2 watt di energia, abbastanza per ricaricare uno smartphone.

Siete in mezzo al deserto, avete finito le scorte di acqua e cibo, il cellulare è scarico e quella cabina telefonica che vedete davanti a voi è probabilmente un miraggio. Che fare? Grazie al lavoro di un team di ricerca dell'Università di Bath—un piccolo centro termale nella campagna inglese occidentale—potrebbe bastarvi abbassare i pantaloni ed espletare i vostri bisogni fisiologici per ricaricare il cellulare e chiamare i soccorsi.

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Quello della produzione di energia a partire dall'urina, e più in generale dai rifiuti organici, è un filone di ricerca che esiste ormai da parecchio tempo. L'idea che queste fonti potessero essere effettivamente riutilizzate, sfruttandone la facile reperibilità e i costi praticamente nulli, in effetti era già venuta in mente a qualcuno. Si tratta del Professor Ioannis Ieropoulos del Bristol Robotics Laboratory, primo scienziato a creare una cella rudimentale per la produzione di energia elettrica dall'urina—tuttavia il problema nel suo caso era che se il metodo di produzione da un lato sembrava economico, dall'altro richiedeva materiali estremamente costosi.

Alla Bath University hanno così voluto riprendere in mano la questione ed ottimizzare questa tecnologia. Il nuovo team di ricerca, capitanato dall'italiana Mirella di Lorenzo, ha ingaggiato il Professor Ieropoulos e, dopo qualche anno di lavoro, ha creato un dispositivo grande poco più di un chicco di caffè—6,4 centimetri quadrati per qualche millimetro di spessore—capace di generare energia elettrica fino a 2 watt. Il tutto, servendosi di materiali a costo quasi zero.

Il dispositivo, grande poco più di un chicco di caffè, è capace di generare energia elettrica fino a 2 watt.

Gli ingredienti per avere a disposizione qualche watt così da far ricaricare il tablet, o far roteare la strobo alla vostra festa di compleanno anche se è andata via la luce, sono pochi: una cella a combustibile microbica—una sorta di piccola batteria acquistabile al prezzo di 2,50 euro e che produce elettricità a partire dai batteri; un catodo fatto con glucosio e ovalbumina (una proteina del bianco d'uovo); qualche batterio, ad esempio lo Shewanella putrefaciens o l'Aeromonas Hydrophila; e poi, il combustile. In questo caso, l'urina.

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"All'interno della cella vi sono particolari tipi di batteri—che definiamo elettrici—derivanti dalle acque di scarico e che consumano sostanze organiche alimentate all'interno della cella" mi racconta Mirella di Lorenzo che ho contattato per farmi spiegare come avviene il processo. "Questo porta alla produzione di protoni ed elettroni. Essi vengono poi ceduti ad un elettrodo e da qui viaggiano attraverso un circuito esterno fino al catodo, generando corrente elettrica. La reazione si completa al catodo dove gli elettroni si combinano con l'ossigeno e i protoni per formare acqua."

Solitamente quest'ultima reazione è catalizzata da metalli costosi come il platino. Il team di Bath ha invece rivoluzionato questo processo utilizzando carbonio ottenuto dalla carbonizzazione di biomassa derivata da scarti di cibo, come zuccheri e ovalbumina (la proteina dell'uovo appunto). I prezzi di produzione così crollano: si passa dai 30 euro al grammo circa del platino, ai soli 2,50 euro della batteria senza il bisogno di alcun metallo o altro materiale supplementare.

La batteria e il dispositivo, via.

In effetti, i principali fattori che hanno ostacolato fino ad oggi l'attuazione pratica su larga scala della tecnologia MFC (microbial fuel cell), sono stati il costo elevato dei materiali e le difficoltà nel processo di scale-up. Negli ultimi anni, la valorizzazione della tecnologia MFC è dovuta quindi alla scoperta di nuovi materiali "attivanti" molto più economici—il catodo fatto con glucosio e ovalbumina nel caso del team di Bath, ma anche biomasse derivanti dalla banana, dal legno e dai fanghi di depurazione nel caso di altri esperimenti accademici.

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Perché tutto il processo possa arrivare a termine, è poi necessario iniettare nel dispositivo un combustibile organico che permetta ai batteri di produrre energia elettrica. "Le acque di scarico sono ricche di sostanze organiche e l'urina non è da meno. Pertanto è il combustibile ideale per questi dispositivi" continua Di Lorenzo.

Al momento, l'unica pecca di questo particolare meccanismo di produzione energetica è che, in realtà, produce davvero poca energia. Tuttavia, nel paper 'Towards effective small scale microbial fuel cells for energy generation from urine' il team sottolinea come l'allungamento da 4 a 8 millimetri dell'elettrodo permetterebbe di ottenere fino a 2 watt di energia per metro cubo. Quanto basta per ricaricare uno smartphone. Invece, mettendo insieme tre batterie, si avrebbe una potenza complessiva decuplicata.

"Le celle a combustibile microbica (MFC) possiedono un grande potenziale come tecnologia verde e carbon-neutral capace di convertire in modo diretto la biomassa in energia elettrica."

Materiali economici a costo quasi zero, processi semplici e veloci, ma poca energia. Con queste condizioni, la produzione di elettricità da urina potrebbe apparire più che altro come uno svago con cui riempire, tra un litro d'acqua e l'altro, i caldi e piatti pomeriggi estivi.

In realtà, il progetto del team di Bath si presenta molto più ambizioso. Come si legge nel paper, l'obiettivo è quello di offrire una nuova soluzione per rispondere alla necessità, sempre più condivisa a livello internazionale, di abbandonare le fonti fossili per la produzione di energia.

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"Di fronte al crescente problema di esaurimento dei combustibili fossili, vi è un interesse globale per lo sviluppo di forme sostenibili ed ecocompatibili di energia. Una forma di energia alternativa che può essere vitale per affrontare questo problema è la bioenergia. In questo contesto, le celle a combustibile microbica (MFC) possiedono un grande potenziale come tecnologia verde e carbon-neutral capace di convertire in modo diretto la biomassa in energia elettrica."

Oltre all'obiettivo ambizioso di proporsi come alternativa seria alle fonti fossili, il processo guarda ai paesi in via di sviluppo, così da offrire soluzioni energetiche a basso costo capaci di soddisfare i bisogni primari. "Il processo di MFC ha la capacità di produrre energia in modalità remota utilizzando una serie di materiali di scarico. Questo fa sì che possano essere utilizzati in aree con scarse infrastrutture energetiche" continua il paper.

"Questi catalizzatori catodici sostenibili ed economici sono di particolare interesse per applicazioni in regioni remote o impoverite dove la tecnologia MFC potrebbe essere utilizzata per la generazione di energia sostenibile a partire dai rifiuti."

Mirella di Lorenzo ci tiene a sottolinearmi questo punto. "Utilizziamo materiali estremamente economici con l'intento di ottenere un dispositivo che sia alla portata di tutti, anche dei Paesi più poveri. Il focus non è necessariamente soltanto per i paesi in via di sviluppo, anche se è più facile implementare questa tecnologia lì."

Ho chiesto alla ricercatrice se la batteria a urina da poco realizzata rappresenta per il suo team un punto di partenza o di arrivo in termini di ricerca sulla produzione energetica da materiale organico. "Ovviamente un punto di partenza. C'è ancora tanto lavoro da fare per raggiungere utilizzi pratici della tecnologia, ma siamo sulla buona strada."

"La volontà – conclude la ricercatrice – è quella di arrivare alla costruzione di smart toilets capaci di trasformare istantaneamente il rifiuto domestico in elettricità, così da generare energia in modo continuativo e contribuire anche a ridurre le bollette."

Non è ancora dato sapere quando e se questo avverrà. Per ora dobbiamo accontentarci delle piccole batterie da due euro e cinquanta alimentate ad albume e batteri, così da iniziare a familiarizzare con il processo e sognare un mondo dove le trivelle saranno sostituite dai wc.

Segui Luigi su Twitter: @luigimastro_