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Tecnologia

"Ok Glass, sei in arresto" è una frase che non vorremmo mai sentire

La polizia di New York testa i Google Glass, e noi siamo inquieti.
Immagine: lawrencegs/Flickr

In un futuro non troppo lontano, l'agente di polizia che vi fermerà facendovi accostare l'auto al marciapiede vi scatterà una foto con i Google Glass. L'algoritmo di riconoscimento facciale farà uscire fuori il vostro nome e la vostra patente—a patto che ne abbiate una—pescandoli dal database della motorizzazione. Il poliziotto si leggerà un po' della vostra vita proiettata direttamente sulla sua retina e, dopo aver visto le foto su Facebook della festa di ieri sera dove vi siete sparati uno shuttle di birra, vi chiederà di scendere dal veicolo per un alcol test. Visto che la tolleranza in Italia è quasi zero, vi beccherete una bella legnata sui punti della patente.

Detta così, questa storia del poliziotto con gli smart glass sembra l'ennesimo delirio tecno-totalitario di uno che passa troppo tempo a leggere Ghost In The Shell e roba simile, ma vi posso assicurare che non è del tutto lontanta dalla realtà. Il punto è che, come riporta Venture Beat, il New York Police Department (NYPD) sta già testando qualche paio di Google Glass per capire se sia una buona idea fornirli in dotazione ai propri agenti. Forse non accadrà, ma come ha detto un ufficiale del NYPD “Pensiamo che [i Google Glass] possano avere un impatto sulle operazioni di pattuglia a New York. Vedremo.” Non è la risposta che tutti si aspettavano, ma se non altro è una risposta. Come sempre, le forze dell'ordine non si sono lasciate sfuggire l'opportunità di utilizzare le nuove tecnologie per ottenere un maggiore controllo sul territorio. Nel bene e nel male.

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Oggi, in Italia, un agente di polizia ha il potere di identificare una persona chiedendole i documenti, o di porla in stato di fermo per almeno 48 ore in attesa di una decisione da parte del giudice per le indagini preliminari. Domani, lo stesso agente avrà la possibilità di indagare sul conto di una persona attingendo direttamente alle informazioni raccolte nei database e sui social network. Visto che basta un attimo per programmare una API che chieda a Facebook di mostrare tutti gli aggiornamenti pubblici del vostro profilo, non è da escludere che presto dovremo tutti fare i conti con le foto e i commenti che pubblichiamo online.

A differenza dello scenario di New York, dove la polizia è già avanti con la sperimentazione dei Google Glass, l'Italia sembra abbastanza indietro. Da una parte, gli agenti delle nostre forze dell'ordine avrebbero piena libertà di partecipare al programma Glass Explorer per testare gli occhiali a realtà aumentata, ma per adesso nessuno ha ancora segnalato niente del genere—in caso contrario, fatecelo sapere alla velocità della luce.

Come potete immaginare, il fenomeno è abbastanza preoccupante. Posto che nessuno di noi sia pronto a credere alla favola del “lo facciamo per la sicurezza dei cittadini,” pensare che gli occhiali a realtà aumentata possano finire sugli occhi degli agenti di polizia—o di vigilantes privati—dovrebbe fare suonare una campanella d'allarme. Giusto per mettere le cose in chiaro: oggi, in Italia, la polizia postale non ha alcun problema a passare in rassegna i nostri profili social (spesso lo fa per tracciare casi di bullismo, stalking e violenze), ma queste indagini approfondite sono spesso avviate sotto indicazione di un giudice. Bypassare la supervisione da parte di un tribunale pubblico, un po' come è successo con lo scandalo dell'NSA, è semplicemente un azzardo.

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È una questione di civiltà, non di vendetta personale.

Forse è troppo presto per gridare alla minaccia di un futuro di tecno-sorveglianza dove il controllo da parte di polizia e governi si spinge ben oltre intercettazioni telefoniche—vedi per esempio, quelle che hanno permesso all'ex governo ucraino di inviare un SMS di dissuasione abbastanza inquietante ai cellulari di tutte le persone nei pressi di una delle manifestazioni che hanno incendiato le strade di Kiev a gennaio—ma il timore è più che fondato. Senza nulla togliere all'etica delle forze di polizia, il vero problema degli smart glass alla robocop è che sono anche alla portata di qualsiasi montato che non ha nulla a che fare con le forze dell'ordine.

Ce ne siamo resi conto qualche mese fa, quando NameTag, la controversa app di riconoscimento facciale disponibile per Google Glass, ha sollevato parecchi dubbi sul fatto se fosse opportuno collegarla a un database con 450.000 immagini di persone segnalate per molestie sessuali. Che succede se l'algoritmo che confronta i volti reali con le foto segnaletiche sbaglia? Una percentuale di match del 70-80-90 percento potrebbe dirci, sbagliando, che la persona seduta di fronte a noi in metro è un pericoloso maniaco sessuale. Un bravo cittadino qualsiasi potrebbe semplicemente cambiare di posto, ma un vigilante con il prurito alle mani avrebbe più di un motivo per puntarlo.

Direte voi, sono tutte pippe mentali. In un certo senso, sì, ma è pur sempre vero che questo genere di dibattito sulla riconoscibilità delle persone, non è affatto fuori luogo. Ribaltiamo il discorso per un attimo e proviamo a pensare alla proposta, tanto osteggiata in Italia, di identificare i poliziotti in tenuta antisommossa attraverso numeri di matricola stampati sul casco e/o targhette con nome e cognome dell'agente sulla divisa. L'Europa si sta adeguando alle linee guida definite da un codice etico delle forze di polizia—tra le cui indicazioni spiccano l'uso della forza solo in situazioni strettamente necessarie e l'obbligo di rendere identificabili gli agenti—ma il nostro paese non sembra particolarmente incline a adottarlo. È una forma di discriminazione molto pericolosa: laddove i cittadini sono criticati per il fatto di indossare caschi e bandane sul volto durante le manifestazioni, non si capisce perché un celerino non debba avere il numero di matricola stampato sul casco. È una questione di civiltà, non di vendetta personale.

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Ora che nel panorma della sicurezza armata fanno ingresso le nuove tecnologie, il dibattito sul controllo dei cittadini e delle forze dell'ordine si fa più complicato. Per esempio, come riporta Il Sole 24 Ore, Beretta sta provando a integrare una serie di sensori nelle proprie armi e abbigliamento tecnico. Il prodotto si chiama i-Protect, e il video diffuso dall'azienda è un surrogato di onnipotenza unito a un loop di inquadrature che spiegano il tutto in modo molto fumoso.

Stando a Beretta, il suo sistema d'arma potrebbe dirci molto su chi impugna una pistola (poliziotto, vigilante o cittadino che sia): quanti colpi sono stati sparati, quando e se prima o dopo avere ricevuto una ferita registrata dai sensori biometrici. Bene, ora il problema è capire se dati del genere siano alla portata di tutti e, soprattutto, non falsificabili. Dato che una app come NameTag può sbagliare, è plausibile che anche le informazioni raccolte da un software come quello di un'arma da fuoco possano indurci in errore. Tanto per dirne una, alterare il time stamp di un proiettile esploso da una pistola a realtà aumentata potrebbe fare la differenza durante un processo penale.

Diciamola fino in fondo: in un paese con un sistema giudiziario in salute, è probabile che la tecnologia possa rendere le forze dell'ordine un corpo più disciplinato. Il vero problema sono le persone che imbracciano armi senza appartenere ad alcun corpo dipolizia. Un po' come è successo con i mercenari della Blackwater di stanza in Iraq. Il loro approccio nei confronti dei civili iracheni non è stato esattamente da manuale di cooperazione, e non sorprende che la situazione sia spesso degenerata con scontri a fuoco in pieno centro città, investimenti di civili e impiccagioni—questa volta, però, ai danni dei contractor.

Potrebbe accadere anche l'esatto contrario: cioè, i civili che indossano smart glass potrebbero essere presi facilmente di mira dalle forze di polizia e dai vigilantes privati. Un po' come succede oggi con le guardie del corpo che ribaltano telecamere e strappano i microfoni di mano con una delicatezza da pranzo di corte, i corpi armati del futuro potrebbero non vedere di buon occhio chi va a curiosare in giro scattando foto e girando video compromettenti.

In tutta questa storia, ci auguriamo che l'esperimento del NYPD vada a buon fine. Nel caso la polizia newyorchese sia davvero la prima a scegliere di utilizzare i Google Glass, c'è solo da sperare che lo faccia in modo responsabile. Regolamentare l'impiego di questa tecnologia e assicurarsi che le forze dell'ordine la utilizzino senza ledere i diritti dei cittadini è un dovere di ogni governo civile. L'idea che le persone con porto d'armi arrivino a installare ipotetiche app che trasformino la realtà in una sorta di videogioco a punti in stile GTA è l'unico vero incubo da evitare.