Quanti soldi servono a un giovane italiano per “vivere bene”?

Se siete giovani e vivete in Italia, sapete per certo che ogni qualvolta esce una ricerca che ha in qualche modo a che fare con la vostra situazione economica non porterà belle notizie.

L’ultima risale qualche giorno fa, e dice che nel 2020, un ventenne italiano impiegherà 18 anni per raggiungere l’autonomia economica: ciò vuol dire che tutti i mesi tantissimi giovani si ritroveranno a non poter fare a meno dei soldi dei genitori—nei casi più fortunati, ovviamente.

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Lo studio in questione è stato svolto dalla fondazione Visentini e presentato alla Luiss il 22 marzo, e non si limita a dire che l’autonomia per i giovani è più lontana rispetto a qualche anno fa e più vicina che tra dieci anni, ma si spinge a proporre delle soluzioni. Nello specifico, visto il gap generazionale, suggerisce che per risolvere il problema e consegnare ai giovani l’autonomia quando ancora possono essere definiti tali, servirebbe un “contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose.”

Ma cosa vuol dire, nell’Italia attuale, essere autonomi? La ricerca non assegna un valore economico all’autonomia, e se è chiaro che questa varia di luogo in luogo e di situazione in situazione, è anche vero che deve esistere una cifra oggettivamente capace di garantirla. Non volendomi limitare alla sopravvivenza, ho cercato di capire con l’aiuto di Ida Pagnottella, consulente finanziario indipendente, con quanti soldi, in Italia, dovremmo smettere contemporaneamente di lamentarci, di chiedere aiuto economico ai genitori, e cominciare a prendere atto del fatto di guadagnare una cifra sufficiente per vivere decentemente.

QUANTO GUADAGNANO I GIOVANI?

Secondo l’ultima disamina del Tesoro sulle dichiarazioni Irpef del 2016, il reddito medio annuo dichiarato dagli italiani è di 20.690 euro. Essendo una media, nel suo calderone finiscono anche persone con più di 300mila euro, e ciò fa sì che la situazione sia meno rosea di come la cifra sopra sembra suggerire a una prima occhiata: quasi una persona su due (nello specifico il 45 percento dei contribuenti) dichiara un reddito sotto la soglia dei 15mila euro.

Per i giovani, la situazione è ancora più complicata. Prima di tutto, ci sono da considerare la disoccupazione giovanile al 40 percento, la diffusione capillare di forme di lavoro saltuario e di retribuzioni che non ammontano a uno stipendio che può essere definito tale. Ma anche guardando a chi un lavoro lo ha, la situazione non appare molto rassicurante.

Un’analisi del 2015 di Jobpricing mostrava che i dipendenti sotto i 35 anni in Italia guadagnano uno stipendio d’ingresso fra i già bassi di Europa, che si aggira attorno ai 23.586 euro lordi (1.312 euro netti su 13 mensilità). Il problema, faceva notare lo studio, è che quello italiano è un mercato “seniority driven”, ovvero dove a determinare l’aumento di stipendio è la maturità lavorativa—il cui picco viene raggiunto intorno ai 55 anni.

Alla mia richiesta di commentare la cifra, Ida Pagnottella è laconica: “Non è una cifra che basta. Senza l’aiuto di una famiglia, essere autonomi con 1000 euro al mese mi sembra molto difficile.” Ovviamente, aggiunge, molto dipende dalla città in cui si vive e dalle spese che si hanno a proprio carico, ma considerando la vita di un fuorisede, con mille euro la serenità economica sembra da escludere.

QUANTO DOVREBBERO GUADAGNARE PER STARE BENE?

Prendendo per buona la classifica dell’Unione Nazionale Consumatori, nel 2015 i centri più cari erano Bolzano, Milano e Roma, mentre agli ultimi tre posti si piazzavano Bologna, Novara e Vicenza. Inoltre, non si può affrontare un discorso del genere in Italia senza tenere in considerazione la differenza del potere d’acquisto tra nord e sud.

Fare un discorso generalizzato risulta quindi molto scivoloso. Tuttavia, ho scelto di prendere come punto di riferimento Milano: una delle città più care d’Italia ma anche quella in cui vivo, in cui ha vissuto l’esperta di riferimento, e ultimamente al centro della retorica della “rivoluzione giovane“.

“In una città come Milano la cifra con cui si può considerare di cominciare a vivere bene deve essere intorno ai 1.500 euro. A quel punto puoi gestirteli. Per stare proprio bene, invece ci vorrebbero due, 3mila euro,” commenta Pagnottella.

La domanda che sorge spontanea è la seguente: esistono giovani che guadagnano quella cifra? Che lavori fanno? Di sicuro non sono i liberi professionisti, il cui reddito annuo si aggira attorno ai 12.000 euro. Se in mia esperienza faccio fatica a pensare a retribuzioni del genere che non abbiano a che fare con il mondo della finanza o dell’ingegneria, Pagnottella più che professioni attribuisce a questi giovani tratti comuni molti identificabili.

“Ne conosco diversi, di giovani che guadagnano quella cifra. Ci sono pochissime persone che lavorano tantissimo e guadagnano bene, e tantissime persone sotto-occupate, che svolgono un lavoro che non è quello per cui hanno studiato e che molto spesso sono anche sottopagate,” commenta. “Ci sono sicuramente dei tratti distintivi nei giovani di successo che ho incontrato: sono persone polifunzionali, molto specializzate—che hanno capito in cosa sono brave, ma soprattutto che sanno fare molte altre cose.”

Sarebbe proprio quest’ultimo punto, quello della polifunzionalità, che secondo Pagnottella aumenta il valore di una persona sul mercato del lavoro, oltre alle abilità di problem solving. “Tutte le persone di successo sanno risolvere problemi, per sé o per gli altri. È un valore essenziale e si è disposti a pagare di più per una persona che ha questa qualità,” mi dice.

Che poi queste doti si trasformino in quella soglia di 1.500 euro che abbiamo fissato alla base di una vita autonoma decente, quello è un altro discorso. “Per riuscire a trovare le persone che riconoscano il tuo valore non bisogna pensare che l’obiettivo sia quello di guadagnare di più (anche se lo è) ma pensare nel breve come diventare un problem solver, come usare la tecnologia per aumentare la propria produttività, cosa amo fare,” commenta.

LA QUESTIONE AFFITTO: QUANTO BISOGNEREBBE SPENDERE/QUANTO BISOGNEREBBE AVERE?

Una delle grandi piaghe è ovviamente l’affitto. Secondo Pagnottella, anche nel remoto caso in cui un giovane abbia la possibilità di farlo, non necessariamente comprare casa è buona scelta: “prima di acquistare una casa, bisogna rivolgersi a un esperto e fare tutti i calcoli del caso per capire se, tra tasse, spese, e difficoltà nel rivenderla, ne vale veramente la pena,” mi dice.

Comunque, il problema nel 90 percento dei casi sembra non sussistere, quindi tanto vale dare per scontato di dover pagare un affitto. Per questo, Pagnottella mi dice che esiste una regola fissa: non vi andrebbe mai destinato più di un terzo del proprio stipendio.

A Milano, la città più cara d’Italia per gli affitti, nel 2016 una singola costava tra i 500 e 600 euro, mentre per una doppia, il costo stimato era di 345 euro al mese. Ovviamente, il prezzo varia ed è possibile trovare zone più convenienti, ma viene da sé che anche solo permettersi un posto letto decente e avere i soldi per vivere, con mille euro a Milano è difficile. Se addirittura vogliamo seguire la regola data dell’esperta e dedicare a questo solo un terzo dello stipendio, la cifra da cui partire si conferma essere attorno ai 1.500 euro.

Prima di liquidare la questione affitto, Pagnottella specifica che su questo è facile trattare se solo ci si mostra affidabili. “Mandare fuori casa una inquilino che non paga l’affitto oggi è così difficile che le persone spesso rinunciano ad affittare,” mi dice. “Un proprietario di casa sarà disposto ad abbassare il prezzo purché siate in grado di garantirgli che lo pagherete: è un punto molto importante.”

Qualora per farlo non si possa mostrare un contratto a tempo indeterminato, continua, bisogna mostrarsi disposti a intestarsi le bollette, e sapersi vendere facendo di tutto per mostrare la propria affidabilità.

TUTTO IL RESTO

Personalmente, tolto l’affitto, l’oculata tattica che adotto nella vita è quella di spendere come non ci fosse un domani per le prime due settimane del mese, per poi nutrirmi di buoni propositi e pasti a risparmio nei restanti giorni.

A quanto pare, non è una tattica sposata dagli esperti del settore. “Una regola di buon senso è destinare un terzo del proprio stipendio alla casa, un terzo alle spese (bollette, abbonamenti, spesa), e un terzo a tutto il resto,” mi dice Pagnottella.

Con uno stipendio da 1500 euro, rimarrebbero quindi 500 euro da gestirsi in serate fuori e hobby. Una cifra che personalmente mi sembra più che ragionevole, ma dalla quale, mi dice Pagnottella, per essere economicamente sereni andrebbe sottratta ogni mese una piccola parte. 

“Bisogna cercare di avere da parte al minimo una somma pari a tre mesi di stipendio per poter affrontare imprevisti, e poi accantonare per obiettivi futuri come la pensione, che sembra un problema lontano ma non lo è. È importante avere risparmi accumulati: questo permette di essere liberi—liberi di lasciare un lavoro per un altro, liberi di non chiedere prestiti, liberi di non dover adeguarsi a compromessi sul lavoro,” conclude Pagnottella.

In conclusione, 1500 euro sembrano una buona somma per poter fare tutto con un minimo di serenità. Personalmente rimango titubante solo sull’ultimo punto: qualche settimana fa un mio amico mi ha raccontato di aver rotto un maialino salvadanaio comprato a 5,99 euro per poter recuperare i 3,79 che aveva accumulato con fatica nei giorni precedenti. Forse con uno stipendio decente le cose sarebbero diverse, ma mi sembra un gesto simbolo di una generazione così abituata a non avere che nel suo DNA non esiste il gene del risparmio.

Thumb via Flickr. Segui Flavia su Twitter