Questa casa fatta di specchi riflette la solitudine del deserto

Doug Aitken è un artista conosciuto per espandere i termini “site-specific” e “land art” al loro massimo. Si è fatto un nome come uno degli artisti americani più prolifici immergendo sculture nell’Oceano Pacifico, facendo viaggiare un treno per mostrare lavori originali di numerosi artisti interdisciplinari e scavando un buco profondo 700 piedi a Inhotim in Brasile per far risuonare il suono del centro della Terra.

Creators è stato all’inaugurazione della Biennale Desert X a Palm Springs, in California.
L’evento, co-diretto da Ed Ruscha, ospitava grandi installazioni di 16 differenti artisti, incluso Aitken.
Il suo lavoro, Mirage, è una casa monoplano nel mezzo della valle di Coachella ricoperta interamente di specchi.

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Immagine by Dakota Higgins.

La carriera di Aitken si basa su modi sperimentali in cui si può manipolare la natura.
Parte della dichiarazione d’intenti di Desert X include la frase del drammaturgo francese Honorè de Balzac “Il deserto è Dio senza l’uomo.” Aitken vuole che i visitatori si rendano conto di questa vastità separata.

L’installazione costringe i visitatori a vedere l’intenso splendore dell’ambiente circostante, includendoli nel panorama, intrappolandoli allo stesso tempo in una caricatura del paesaggio urbano. Attraverso questa dualità, Aitken scava un buco nella super-romantica visione dell’Ovest permettendo, allo stesso tempo, allo spettatore di ammirare la bellezza della California

Immagine: Dakota Higgins

Creators: Dopo aver lavorato con così tanti paesaggi nel corso della tua carriera, cosa ti ha ispirato del deserto?

Doug Aitken: Ci avevo lavorato per molti anni, pensando a come trovare un posto con la vista di cui avevo bisogno. Volevo una prospettiva che in qualche modo guardasse alla periferia della città e includesse l’espansione urbana. Il lavoro funziona come una lente, è un dispositivo ottico. Può essere abitato e guardato dall’esterno. Dunque ero interessato all’idea di usare i sobborghi e usare il tipo di architettura che non noteresti perché l’hai vista già molte volte.

La forma aggiunge dinamismo al paesaggio?

Esatto! Specialmente sulla West coast è una cosa che vedi milioni di volte.
Quindi non è qualcosa a cui fai caso, ma è parte del paesaggio. Volevo usare questo tipo di architettura.
E’ interessante quello che vedi nell’area di Palm Spring, una celebrazione del modernismo di questi architetti seminali. Non ero per niente interessato a quell’estetica, volevo avere questa banalità.
Volevo prendere una forma ordinaria e privarla della storia, delle persone, degli occupanti, della struttura.
E all’improvviso è solo una forma, una forma vuota. Così lo spettatore diventa autore della sua esperienza.

Un altro aspetto del lavoro era di realizzare qualcosa di vivo che cambiava continuamente.
Per quello ho usato gli specchi in modo che lo spettatore diventasse parte dell’opera invece che guardarla dall’esterno e giudicarla.

Foto di Lance Gerber.

Il modo in cui descrivi l’urbanizzazione sembra in qualche modo squallido. Puoi raccontarci come questo lavoro si inserisce nella tua visione dell’ovest?

C’è una certa idea che ci si sposta ad Ovest per crearsi un nuovo futuro.
Il sole tramonta ad Ovest, sembra il luogo delle possibilità infinite. E’ il destino manifesto.
Si può notare questa migrazione graduale spinta dalla visione allucinatoria di ciò che dovrebbe essere.
In molti casi, quello che l’Ovest è veramente, è molto diverso. E’ una parte in cui chiunque può creare la propria realtà.
Inoltre, è interessante per me pensare ai simboli dell’Ovest ed essendo nato qui, penso ai sobborghi e alla distesa urbana. Mi piace l’idea che tutti si spingono verso l’ oceano, verso la fine della terra, oltre non si può andare. Vi è una brutale bellezza in questa idea.

Photo by Lance Gerber.

Recentemente hai avuto una retrospettiva al MOCA di Los Angeles, e non è stata esattamente una esperienza site-specific. Qual è la differenza tra un’esperienza che cerchi ed una che trovi per caso?

Attualmente penso che ci troviamo ad un crocevia per l’arte. E in un crocevia ci sono tante diramazioni. C’è la parte in cui ti chiedi cosa succede all’interno della galleria, all’interno del museo. Quello è un formato. Ma rompiamo questo formato e guardiamo alle possibilità all’esterno. C’è un mondo, dall’eredità della Land Art, alla Street Art, alle performance. E’ un linguaggio che sta crescendo. L’idea che l’artista ha bisogno di chiedere il permesso, o ha bisogno di essere scelto per realizzare qualcosa deve essere vista come obsoleta. Si può usare qualunque cosa. Quando si guarda al lavoro di Joseph Beuys o Marcel Duchamp ci si rende conto che tutto ha possibilità illimitate. Credo che i posti che incontriamo debbano essere visti allo stesso modo.

Photo by Lance Gerber.

Deve essere difficile usare la natura come medium così spesso nel tuo lavoro. E’ una sfida che ricerchi?

Viviamo in una tensione e in una armonia continua tra il sistema naturale ed il sistema artificiale da noi creato. Questa dicotomia è qualcosa a cui penso spesso. Ad esempio, la tua stanza ha un condizionatore programmato a 62 gradi. Poi fuori ce ne sono 75. Perciò quando si parla di cose come la realtà virtuale, lo trovo abbastanza noioso rispetto alla realtà tattile e fisica in cui viviamo. Credo sia incredibile. L’idea che possiamo creare realtà sintetiche ci allontana da quella reale in cui viviamo.

Foto: Lance Gerber.

Foto: Lance Gerber.

Mirage è parte di Desert X fino al 30 Aprile e rimarrà aperta dopo la conclusione della mostra fino al 31 Ottobre 2017