Da quando Donald Trump ha vinto le elezioni, giornalisti, accademici e vari opinionisti online hanno abbondantemente speculato in merito al ruolo giocato nell’ascesa di Trump dai troll, 4chan, e la “meme magick” dell’estrema destra. Molte supposizioni ricorrenti sono emerse tramite articoli, editoriali, e dibattiti su Twitter. Innanzitutto, che i membri dell’alt-right (e anche membri dell’amministrazione Trump) siano troll, e più in generale, che la parola “trolling” sia la miglior descrizione del clima politico attuale. In secondo luogo (e questi sono punti che tendono ad essere serviti in tutte le salse in articoli autonomi e più ampi), che questo tipo di “trolling” sia interscambiabile con 4chan, con l’ulteriore presupposto che 4chan sia interscambiabile con Anonymous, essa stessa ritenuta essere il climax dell’alt-right. Ancora, che 4chan stesso, come sito web, abbia radicalizzato gli utenti verso il nazionalismo bianco. Infine, il colpo di grazia: che 4chan – e i suoi troll di estrema destra – siano stati un fattore decisivo nell’elezione di Trump.
Tutto ciò porta a un’interessante narrativa. Ma ciò che è realmente accaduto – ciò che sta accadendo da molti anni – non è così semplice. L’antagonismo pro-Trump durante le elezioni potrebbe essere stato onnipresente, e potrebbe aver aiutato ad amplificare il messaggio di Trump. Ma non può e non dovrebbe essere legato a comunità online del passato. È stato invece sintomatico di un ben più profondo e ben più immediato malessere culturale.
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Possiamo fare questa affermazione perché abbiamo studiato comunità e sottoculture online per anni; noi tre, Jessica Beyer, Gabriella Coleman e Whitney Phillips, abbiamo pubblicato libri sulle culture dell’hacking e/o trolling, con particolare attenzione a 4chan e Anonymous tra il 2008 e il 2014. Non siamo le uniche; il nostro lavoro si unisce a quello di altri ricercatori e giornalisti che hanno scritto di trolling e Anonymous nello stesso periodo, David Auerbach, Burcu Bakioğlu, Michael Bernstein et.al., Julian Dibbell, Lee Knuttila, Ryan Milner, Quinn Norton, Parmy Olson, Molly Sauter, Luke Simcoe, e altri.
Insieme, abbiamo oltre trent’anni di esperienza nella ricerca – che attinge da e dialoga con la ricerca sopracitata – e ci troviamo quindi in una posizione che ci permette di mettere in dubbio le supposizioni fatte a proposito di 4chan, il trolling dell’alt-right, e il loro ruolo nelle elezioni. Siamo anche nella posizione di poter parlare dei motivi per cui queste supposizioni vanno messe alla prova, su un livello decisamente superiore a quello delle problematiche di semantica, dei cavilli della ricerca e delle ambizioni accademiche. Come dimostra il nostro lavoro sui contesti e gli impatti della mobilizzazione online, comprendere pienamente queste storie è fondamentale per navigare correttamente nel panorama generale dei media.
Ora più che mai questo panorama deve essere tracciato. Il nazionalismo bianco non scomparirà. Donald Trump non scomparirà. Internet non scomparirà. E in quest’epoca di notizie false la disintegrazione della pubblica fiducia – nel giornalismo, nelle istituzioni, nella più basilare realtà oggettiva – sicuramente non cesserà di esistere. È quindi imperativo categorico per noi, tutti noi, capire appieno che cosa si sa, quali siano i precedenti, e di che accidenti si stia parlando quando si parla di “trolling” nel 2017.
La grande varietà di esperienze di trolling
Il primo punto da contestare è l’idea che “trolling” sia una descrizione appropriata per l’alt-right bianco-nazionalista. Phillips è particolarmente contrario a questo inquadramento (specialmente quando applicato a Donald Trump). Per quanto la parola “trolling” sia salita alla ribalta nei primi anni 2000 per definire uno specifico e limitato ambito di auto-identificazione sottoculturale, il termine è stato applicato a così tanti tipi diversi di comportamento in così tanti contesti diversi negli anni che tutte le sfumature si sono appiattite in una categoria sfuggente che comprende tutta una serie di pratiche che dovrebbero arrecare disturbo. Dall’inoltrare opinioni d’odio fino a sfidare l’ipocrisia del Presidente degli Stati Uniti. Dalla solidarietà femminista e alla violenza misogina. Ormai tutte queste idee sono, in qualche modo, la stessa cosa.
Nel 2017, il termine “trolling” non significa molto. Eppure viene sbandierato in giro come una facile scorciatoia sia per spiegare la natura di qualcosa e sia per difendere ciò che viene fatto.
Quando viene usato per spiegare o difendere il genere di comportamenti preferiti dall’alt-right, lo “Stavo solo trollando” non va solo a rimestare le torbide acque della terminologia, fornisce anche ai bigotti un modo semplice per evitare la responsabilità per atti di odio, come analizza premurosamente Aja Romano. In effetti, permette loro di reindirizzare quella responsabilità alla persona che “si è lasciata” trollare, nonostante di fatto – principio egualmente applicabile alla violenza offline, in particolar modo alla violenza sessuale – l’unica persona realmente imputabile per un attacco sia la persona responsabile di esso.
Questo, di rimando, normalizza una visione del mondo basata sul continuo antagonismo, visione in cui all’aggressore viene permesso di scegliere le proprie condizioni e decidere quale sia la reazione appropriata al loro comportamento – un’asserzione specialmente pericolosa quando i comportamenti in questione sono violentemente razzisti, misogini, e anti-semiti, com’è spesso il caso nei circoli di estrema destra. Come argomenta Phillips, “Stavo solo trollando” è, in queste circostanze, il peggior genere di scappatoia. Gli antagonismi di estrema destra – in realtà ogni antagonismo – dovrebbero essere descritti in termini di impatto sulle vittime, non di ciò che gli antagonisti vogliono far pensare alla gente.
Non è solo perché il termine “trolling” è come minimo vago e ideologicamente tossico. È che l’uso della parola “troll” in riferimento agli attuali utenti di 4chan propone una falsa equivalenza – e falsa uniformità – tra quelli descritti come troll in passato e quelli descritti come troll nel presente. Come se il trolling (o ciò a cui ci riferiamo parlando di trolling) ora fosse lo stesso a cui ci riferivamo parlando di trolling allora. Il fatto è che, anche allora – nell’antica civiltà del 2007 – i troll erano un gruppo eterogeneo. Coloro che si identificavano come troll potevano essere burloni inoffensivi, piantagrane meno inoffensivi, e bulli spietati. Alcuni esprimevano estremismo violento; altri esprimevano faziosità più incerte; e alcuni non esprimevano nessuna intolleranza. Qualcuno addirittura trollava gli estremisti.
Chiamare gli antagonisti – specialmente antagonisti bianchi e nazionalisti – “troll” nel 2017, e oltretutto collegare questi “troll” ai troll dei tempi che furono, fa dimenticare della spaccatura sempre esistita nella prima sottocultura troll. Ciò non solo lega i “troll” contemporanei a un’eredità omogenea mai esistita, ma implicitamente suggerisce che ci siamo già passati; che il trolling online sia lo stesso di sempre. Ma non ci siamo già passati, e non è lo stesso. Il trolling non è mai stato una sola cosa, e di sicuro non era ciò che in cui l’estrema destra l’ha metastatizzato. Non abbiamo una mappa per descrivere nulla di tutto ciò.
Le comunità cambiano
La seconda dichiarazione che deve essere discussa è la falsa assunzione che il trolling dell’estrema destra sia egualmente intercambiabile con 4chan e Anonymous, un’affermazione che presenta inquadramenti statici e anacronistici di entrambi. Quest’asserzione, che sia esplicita o implicita, oscura la caratteristica fondamentale e unificante di 4chan e Anonymous: essi cambiano, sia in termini demografici sia ideologici.
Alcune norme gergali sono, ovviamente, rimaste nel tempo; alcune componenti della cultura geek, la cultura dei meme, e strategie retoriche associate alla prima ondata di trolling e altre forme di umorismo trasgressivo possono essere ancora trovate nell’attuale 4chan e all’interno di alcuni gruppi di Anonymous, sebbene lo stesso si possa dire per molti spazi e comunità immerse in una categoria più ampia di internet culture, come reddit (che é casa di una notevole quantità di board pro-Trump e di estrema destra – specialmente r/the_donald – spesso discusse a fianco della board “politicamente incorretta” di 4chan /pol/).
Ma oltre a queste più estetiche – e talvolta retoriche – linee guida, il 4chan e l’Anonymous del 2017 non sono la stessa cosadel 2008. Per quanto riguarda 4chan, questo cambiamento é per lo più direttamente attribuibile ai mutamenti all’interno della sua userbase.
Il fatto che i suprematisti bianchi di Stormfront abbiano deciso di fare reclutamento sulla board /pol/ di 4chan, per esempio, trascinando nel mentre nuovi partecipanti nell’ovile di 4chan, illustra bene questa mutevolezza. Lo stesso vale per l’esodo di molti utenti nel 2014 verso posti come 8chan, quando Chris Poole (aka moot), il fondatore e capo amministratore del sito, ha deciso di bandire tutte le discussioni della campagna di odio e molestie del GamerGate.
Anche se gli individui frequentanti 4chan fossero rimasti esattamente gli stessi, comunque, coloro che erano 20 nel 2008 sarebbero quasi 30 oggi, causando a loro volta un cambiamento. Regolandosi a questi mutamenti demografici, il sito ha visto varie novità nell’affordance sul campo, nelle politiche, e nella proprietà; e come evidenzia Beyer, questi cambiamenti strutturali hanno un impatto diretto sul comportamento dei partecipanti.
I membri di Anonymous hanno spietatamente hackerato governi e multinazionali, e alla fine hanno abbracciato la causa della giustizia sociale locale, attirando l’attenzione sia sulla cultura dello stupro sia sulla brutalità della polizia in Nord America.
Lo stesso vale per Anonymous, che é emerso non solo da 4chan, ma da una costellazione di canali e conversazioni IRC. L’organizzazione di Anonymous si é mossa rapidamente oltre i canali e 4chan in particolare, principalmente perché molte persone che non frequentavano 4chan iniziavano a unirsi, e 4chan non soddisfaceva i loro bisogni (il che spiega perché, come mostra Coleman, alcuni stavano già parlando da altre parti, come i canali IRC). L’influsso e la deviazione di nuovi Anon di origini diverse con diversi obiettivi nel corso di molti anni (qui un esempio del 2012) hanno provocato vari e profondi cambiamenti, qualche volta in direzioni ideologiche opposte, qualche volta simultaneamente, come illustrano gli studi di Beyer e Coleman.
Senza dubbio, asserire – usanza cospicuamente fomentata dall’ampiamente condiviso articolo di Dale Beran “4chan: The Skeleton Key to the Rise of Trump” – che esista una essenziale immutabilità tra il 4chan e l’Anonymous di oggi e il 4chan e l’Anonymous di dieci anni fa é complicato dal forte attivismo progressista intrapreso da Anonymous a partire dal 2008. Contrariamente al resoconto di Beran, che minimizza in maniera grossolana il ruolo di Anonymous in Occupy Wall Street, l’Anonymous del periodo tra il 2008 e il 2015 ha mostrato una sempre maggiore attenzione alle problematiche di giustizia sociale.
Come mostrano gli studi di Beyer e Coleman, il contributo di Anonymous a partire da questo periodo é stato sostanziale, abbondante, ed é riecheggiato per il mondo: oltre ad aiutare ogni singola occupazione e rivoluzione del 2011, dal movimento 15-M che ha fatto presa in Spagna ai primi tumulti tunisini della primavera araba e africana, i membri di Anonymous hanno spietatamente hackerato governi e multinazionali, e alla fine hanno abbracciato la causa della giustizia sociale locale, attirando l’attenzione sia sulla cultura dello stupro sia sulla brutalità della polizia in Nord America.
Questi comportamenti politicanti, in pieno regime nel 2011, sono stati preceduti dall’emergere di Anonymous come una forza attivista nel 2008. Nel 2006, per esempio, gli Anon hanno attaccato il conduttore radiofonico razzista Hal Turner, e negli anni successivi si é impegnato in svariati raid proto-politici che hanno reso più labile la linea tra il trolling e l’azione politica.
Questa fazione non é mai stata un “passepartout” per l’ascensione presidenziale di Donald Trump – ma loro vogliono senza ombra di dubbio far credere alla gente di esserlo stati.
4chan, Anonymous, e la loro libera e offensiva cultura del lulz é così riuscita a ordire – o almeno a spianare il terreno per l’espressione di – ideali sia progressisti sia violentemente intolleranti (per non parlare di un ampio spettro di registri incerti e difficile da inquadrare) nel corso del medesimo decennio. L’idea che 4chan e la sua apparentemente interscambiabile prole Anonymous siano fondamentalmente “unite da una cultura e un insieme di valori comuni, sfocati alle estremità, ma solidi nel profondo,” come argomenta Beran, semplicemente non regge, visto il resoconto storico facilmente verificabile.
Nell’insieme, tutti questi fattori – dal mutamento della demografia dei partecipanti ai mutamenti delle norme comunitarie ai mutamenti all’interno di una cultura più ampia – comportano che, parlando di 4chan e Anonymous, nessuno può entrare nello stesso fiume due volte. Ogni argomentazione contraria é semplicemente falsa. Oltretutto, ogni argomentazione contraria — come quelle presentate nell’articolo di Beran — semplicemente non riescono a spiegare come lo stesso marasma culturale possa essere stato fornace per ideologie politiche così diametralmente opposte.
I pericoli di dare voce a storie false
La terza problematica da indirizzare é la apparentemente illuminante (e, sinceramente, molto accattivante) idea che 4chan – e i suoi troll di estrema destra – siano stati il fulcro necessario ad assicurare la vittoria di Trump nella corsa alla presidenza.
È certamente vero che che lo”shitposting” dell’alt-right pro-Trump – ovvero l’atto di inondare i sociali media con meme e commenti progettati per sostenere il loro “Dio Imperatore” Trump – ha aumentato la visibilità dell’estrema destra e la loro opera memetica. Ed é anche vero che questo miglioramento in visibilità pubblica ha costretto la gente a concentrarsi su Trump più di quanto avrebbero fatto altrimenti. La connessione con lo shitposting ha raggiunto dimensioni critiche nell’agosto 2016, quando Hillary Clinton ha indetto una conferenza stampa (rovinata, in parte, da Pepe the Frog) per denunciare i legami di Trump con il gruppo di suprematisti bianchi – con grande piacere proprio di quei suddetti suprematisti bianchi. Senza dubbio, questo discorso e tutta l’attività dell’estrema destra che l’ha preceduto e seguito ha contribuito allo slancio complessivo della campagna di Trump.
Affermare che gli shitposter dell’alt-right siano stati un fattore decisivo per la vittoria di Trump rischia di minimizzare la tendenza culturale, sociale, e mediatica più ampia che ha amplificato la loro influenza.
Ma quell’attività non é avvenuta in un attimo, e non ha fatto tutto da sola. I “troll” e l’alt-right potrebbero aver giocato un ruolo importante nelle elezioni 2016, ma ciò dipende da – e non può essere scollegato da – l’ampia copertura giornalistica che ne ha amplificato il messaggio – shitpost e meme ovviamente inclusi. Phillips descrive come la copertura mediatica – anche quella che condannava l’antagonismo di estrema destra – abbia evocato il mostro, e come quell’evocazione, di rimando, abbia aiutato ad amplificare la piattaforma di Trump (essa stessa una serie di meme).
Il fatto che i membri dell’estrema destra abbiano ricevuto così tanta copertura parla chiaramente di un’altra questione più profonda, forse la più pesante, che ha influenzato l’ascesa di Trump. Più delle bufale, più delle filter bubble, più delle folli teorie del complotto su un giro di prostituzione infantile nei retro bottega delle pizzerie di Washington DC, il più importante resoconto mediatico emerso dalle elezioni 2016 riguarda fino a che punto i media di estrema destra siano in grado di decidere la linea narrativa per le principali emittenti. (Questo punto viene abilmente discusso da accademici dell’Internet quali Yochai Benkler, Robert Faris, Hal Roberts, e Ethan Zuckerman).
Ciò che ha fatto Breitbart, ciò che hanno fatto i programmi radiofonici cospiratori di estrema destra, ciò che ha fatto lo stesso Trump (per non parlare di ciò che hanno fatto i collaboratori muti del panorama politico), é stato assicurarsi che ciò di cui parlavano gli opinionisti di estrema destra fosse ciò di cui parlavano tutti, ciò di cui tutti dovevano parlare, se volevano tenersi al passo con le notizie del giorno. L’antagonismo dell’alt-right – il loro “trolling” – era una nuvoletta tra tante nella tempesta in arrivo, una diretta verso il pubblico dominio a partire dalla destra più estrema. I partecipanti allo shitpost hanno devotamente sfruttato questa energia, sono stati portati alla ribalta per via di questa energia, e sono stati in grado di trasferire grande attenzione a Trump grazie a questa energia. Ma non hanno creato loro questa energia.
Di conseguenza, affermare che gli shitposter dell’alt-right siano stati un fattore decisivo per la vittoria di Trump rischia di minimizzare la tendenza culturale, sociale, e mediatica più ampia che ha amplificato la loro influenza. Peggio ancora, quando accoppiata con le precedentemente menzionate assunzioni in merito alla relazione intercambiabile tra alt-right, “trolling”, 4chan e Anonymous, la pretesa che i “troll abbiano causato Trump” conferisce una specie di potere atemporale, quasi divino, a qualcosa che non é né più né meno di un intollerante sottoinsieme di una fazione di un collettivo online anonimo in perenne evoluzione, instabilità, reattività. Questa fazione non é mai stata un “passepartout” per l’ascensione presidenziale di Donald Trump – ma loro vogliono senza ombra di dubbio far credere alla gente di esserlo stati.
Proprio questo é il nocciolo della questione, del perché ci debba importare di tutto ciò. Prendersi il tempo di tracciare – di tracciare accuratamente – le ripetute, fratturate, riconfermate mobilitazioni emergenti da spazi online anonimi o pseudo-anonimi ci permette di capire dove siamo e come ci siamo arrivati. Ci permette anche di anticipare dove potremmo andare dopo, nel bene e nel male. Ma ancora più significativamente, contestualizzare appieno il momento presente – soprattutto visto quanto siano diventati inconsistenti e fragili i fatti al momento presente – ci mette in una posizione più adatta a salvaguardare un resoconto veritiero, e a distinguere con attenzione tra il sintomo e la malattia. Per resistere meglio al pensiero ambiguo; per fronteggiare meglio chi vuole dirottare la realtà.