Sono passate appena due settimana dall’uscita di A testa in su, il memoir di Alessandro Di Battista, e il panorama editoriale e letterario italiano non si è ancora ripreso dal colpo. Tra stroncature e post derisori su Facebook è diventato un po’ il caso letterario ironico dell’anno, una specie di meme di cui Il Foglio pubblica giornalmente delle citazioni presentate senza commento.
Certo, visto che si tratta pur sempre del libro di uno degli esponenti più prominenti della forza politica più anti-intellettuale d’Italia era perfettamente normale che il risultato finale non fosse proprio, diciamo, l’ultimo di DeLillo. Ce lo aspettavamo tutti, credo.
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Ma credo che non ci aspettassimo nemmeno una specie di minestrone di Federico Moccia e Che Guevara fatto di riflessioni banali sul senso della vita, lunghe corse in moto, viaggi di formazione per l’America latina in cerca di “spremute di umanità.” In pratica, una cosa tipo 3 metri sopra il Paranà o I diari della motocicletta di Step. O almeno questa è stata la mia impressione quando ne ho letti dei passi.
Dato che—a mio parere—finora a questo aspetto non è stata data l’attenzione che merita, ho creato un piccolo quiz per mostrare quanto, al di fuori del loro contesto, una frase di Dibba sia letteralmente indistinguibile Moccia o da una del giovane Che Guevara. Provate a darmi torto. Se volete sapere le risposte, andate sotto.
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Ed ecco le risposte:
1.
Pian piano la moto comincia a curvare. È ora di tornare a casa. È ora di ricominciare, lentamente, senza strappi al motore. Senza troppi pensieri. Con un’unica domanda. Tornerò mai lassù, in quel posto così difficile da raggiungere. Lì dove tutto sembra più bello. E nello stesso istante in cui se lo chiede, purtroppo, sa già la risposta.
—Federico Moccia, 3 metri sopra il cielo
2.
Il senso della vita era ancor più torbido di quando ero partito e il divino era sfuggente. Io non sapevo cosa avrei fatto al mio ritorno in Italia, non sapevo quando sarei tornato ma stavo bene, mi riconoscevo in me stesso, riconoscevo la mia identità anche se nessuno, su quella nave, conosceva il mio nome. Sentivo che ogni mio gesto estendeva il mio senso di appartenenza verso il genere umano.
—Alessandro Di Battista, A testa in su
3.
Il vino cileno è buonissimo e io bevevo con una velocità straordinaria, tanto che andando al ballo del paese mi sentivo capace delle più grandi imprese.
—Ernesto Che Guevara, Latinoamericana
4.
Il viaggio è un investimento in felicità. Se adesso mi facessero una radiografia al cuore, probabilmente scoprirebbero che le vene seguono l’itinerario di questo viaggio.
—Alessandro Di Battista, A testa in su
5.
Ecco il momento che ho tanto atteso. Quante volte, frugando nei ricordi, spostando pezzi dolorosi, macigni di delusioni, sono andato giù, infondo, fino a trovare quel sorriso. E ora eccolo lì, davanti a me. E lo divido con altri.
—Federico Moccia, Ho voglia di te
6.
Sono contento di essere quel che sono diventato ma sogno di poter tornare a essere uno straniero che lavora su una barca. Senza un nome. libero di non essere soltanto riconosciuto, ma di scegliere quando e da chi farmi conoscere.
—Alessandro Di Battista, A testa in su
7.
Viaggiavo e ascoltavo, sentivo crescere in me il senso di appartenenza alla mia specie: quella umana. E insieme al senso di appartenenza cresceva l’empatia. Come potrà misurarsi il livello di empatia di ciascuno di noi?
—Alessandro Di Battista, A testa in su
8.
Fermo la moto lì davanti e scendo. È una specie di casba di persone colorate. Una donna dalle labbra pronunciate quasi quanto il suo seno parla con uno stempiato dal riporto totale. Ha una gonna corta, la donna, e due gambe perfette che si spengono più in su tra le sue bocce, anch’esse rifatte.
—Federico Moccia, Ho voglia di te
9.
E poi pluff, proprio come quella neve anche questo ricordo si scioglie. Non c’è mai un perché a un ricordo. Arriva all’improvviso, così, senza chiedere permesso. E non sai mai quando se ne andrà. L’unica cosa che sai è che purtroppo tornerà di nuovo. Ma di solito sono attimi. E ormai so come fare. Basta non fermarsi troppo.
—Federico Moccia, Ho voglia di te
10.
Fino a quando continuerà questo ordine delle cose basato su un’assurda suddivisione in caste, è qualcosa cui non sta a me rispondere, Però è ora che i governanti dedichino meno tempo alla propaganda delle qualità del loro regime e più denaro, moltissimo denaro in più, per la realizzazione di opere di utilità sociale.
—Ernesto Che Guevara, Latinoamericana
11.
Forse la nostra vista non è mai stata panoramica, ma sempre fugace e non sempre adeguatamente informata, e i giudizi sono troppo netti. Forse. Ma quel vagare senza meta per la nostra maiuscola America, mi ha cambiato più di quanto credessi. Io, non sono più io, perlomeno non si tratta dello stesso io interiore.
—Ernesto Che Guevara, Latinoamericana
12.
Un finto tassinaro mi corre incontro fingendosi onesto: “Le faccio un buon prezzo.” Non rispondo. Capisce che non sono un buon affare e lascia perdere. Mi guardo in giro. Una signora bella, elegante, con un vestito chiaro e dell’oro leggero al collo, tiene tranquillo il suo sguardo sulla mia rotta. È bella. Le sorrido. Lei accenna una risposta minima che però contiene tutto. Tradimento, vorrei ma non posso, la sua voglia di libertà. Poi guarda altrove, rinunciando. Continuo a guardarmi in giro. Niente. Che stupido. Ma certo. Cosa mi aspettavo? Chi sto cercando?
—Federico Moccia, Ho voglia di te