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Italia

'Cerchiamo di rendere la nostra permanenza a Roma il meno deprimente possibile'

Abbiamo parlato coi ragazzi di NERO, che tra magazine, eventi, libri e festival stanno cercando di smuovere i romani.
Il logo del festival Interregno, foto via.

Sono un fervente sostenitore del quartiere Ostiense di Roma, più in particolare del quadrante dove si interseca con Testaccio e Portuense, situato subito a Sud del centro, bagnato dal Tevere e confinante con il recentemente chiacchieratissimo EUR. Mi assegno anche il merito di essere stato uno dei primi a scommettere sul fatto che in questi anni l'evoluzione naturale del Pigneto sarebbe avvenuta lì, in termini di gentrificazione e di fermento culturale. Come sta avvenendo: ci sono le università, c'è il gazometro, i Mercati Generali (che nel frattempo sono diventati Ex Mercati Generali ma nessuno ha ancora capito bene per diventare cosa), ci sono i locali e ristoranti fichetti, ma ci sono anche teatri, spazi di co-working e associazioni culturali.

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Tra queste c'è anche la sede di NERO, fondato da Francesco de Figueiredo, Luca Lo Pinto, Valerio Mannucci e Lorenzo Micheli Gigotti. All'inizio era una rivista d'arte contemporanea ma da sempre ha una vocazione interdisciplinare e sfocia al di fuori della carta stampata, organizzando festival e performance per mantenere vivo il rapporto con un pubblico in carne ed ossa e con gli spazi messi a disposizione o ricavati dalla città.

Oggi questa vocazione viene in qualche modo "ufficializzata": con la fondazione di una nuova collana editoriale, di un magazine online e con la nascita di uno spazio fisico—un ex teatro in pieno centro a Roma—che ospiterà concerti e altri eventi di vario genere.

Ne ho parlato con il fondatore Valerio Mannucci e con Valerio Mattioli e Corrado Melluso, che si sono uniti alla famiglia NERO per curare questi progetti, coordinando uno staff di una ventina di persone che sono già tutte piantate sui propri Mac quando li raggiungo in quella che per loro deve essere la tarda mattinata, ma a me sembra l'alba o quasi.

VICE: Ci spiegate cosa state facendo?
NERO: Diciamo che NERO è ormai da 13 anni una realtà attiva in ambiti e contesti differenti, sia locali che internazionali, sia istituzionali che "off"—e oltre all'editoria ha sempre organizzato eventi e creato situazioni per tenere vivo il legame con il proprio pubblico. In questo momento, sotto un unico tetto coesistono: una serie di pubblicazioni (libri, edizioni, cataloghi, ecc.) legate all'arte e perlopiù in lingua inglese; un nuovo sito, sempre in lingua inglese, che si spera partirà a breve; una rivista digitale destinata all'Italia che si chiama Not; e sempre "a marchio Not", una nuova collana editoriale di libri che si concentreranno soprattutto sulle tematiche e le forme del presente, sul pensiero radicale, ma anche su fantascienza, musica, narrativa speculativa e cultura pop.

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Infine siamo anche coinvolti in un luogo fisico che si chiama La Fine e che è un piccolo spazio ricavato dal Teatro Piccolo Eliseo e che sarà destinato a festival e concerti.

Sembra una cosa enorme.
Diciamo che non sappiamo ancora del tutto quanto sia realmente esteso il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo. Però crediamo anche che oggi la risposta a una generica domanda di diffusione della cultura non possa essere solo "facciamo un magazine". Anche perché l'esperienza della cultura è frammentata e stratificata su mille piani. Insomma non è che uno può limitarsi al "leggere è bello, bisogna farlo," oppure rassegnarsi a quella strana convinzione a compartimenti stagni secondo la quale chi legge non va ai concerti e viceversa. Quindi diciamo che stiamo tentando di sperimentare tanti dispositivi diversi all'interno di un organismo le cui braccia sono però indipendenti.

Tutto questo assume un valore ancora più importante, considerando che fate base a Roma e sappiamo benissimo che non ce la stiamo passando affatto bene ormai già da un po' di tempo. Voi come la vedete?
Be' da un certo punto di vista Roma non sta vivendo un periodo esaltante, ma forse ha più senso ragionare su come siamo arrivati a questa diffusa sensazione di stanchezza e "depressione": di sicuro, da una parte c'è stato un preciso accanimento istituzionale contro tante realtà nate "dal basso"—centri sociali, associazioni o persino circoli ARCI e tante esperienze si sono concluse anche per banali questioni di consunzione naturale, com'è normale che sia; e poi c'è il versante diciamo così "commerciale" che, come spesso accade, ricorre perlopiù a formati discutibili o quantomeno effimeri. Diciamo che se prendi i nomi in voga del momento, li metti dentro a un capannone e fai un evento ogni tanto, non è che puoi aspettarti di lasciare granché in termini di "eredità culturale", no? È tutto figlio di quella politica del "grande evento" molto in voga ai tempi delle amministrazioni di centrosinistra, che come puoi vedere se vivi qui, si è risolta nella proverbiale bolla.

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Una cosa che ho notato, è che parlando con gente che non vive a Roma, la visione che hanno della situazione, degli spazi a disposizione e di quello che accade, non è affatto catastrofica.
Se guardiamo alla dimensione pop dominante, è vero che a Roma oggi si produce buona parte di questo immaginario: dalla Dark Polo Gang a Suburra, passando per I Thegiornalisti, di Roma ne circola tanta, o almeno così pare. La questione è quanto questi fenomeni riflettano davvero una "effervescenza di fondo". È ovvio che, essendo una grande città, a Roma si muova sempre qualcosa, quello è chiaro. Però la sensazione è quella di trovarsi in un classico momento di passaggio, in cui non si sa bene da che parte voltarsi…

Sono d'accordo con quello che dite, perciò non lo chiedo con fare provocatorio, ma una cosa che non ho mai ben capito è: quali sono degli esempi positivi da seguire, invece?
Dici fuori da Roma? Vabbè adesso non è che uno può mettersi a fare le liste. Però, se ci limitiamo all'Italia, è vero che ci sono tante realtà locali che portano avanti discorsi interessanti, si tratti di Palermo, di Napoli, o anche di Milano. Prendi Macao per esempio: il fatto che non sia considerato un centro sociale da chi proviene dai centri sociali, né un locale da chi viene dal mondo del clubbing, è un segno di una certa vitalità, o se non altro di una dimensione ibrida che per certi versi crediamo sia essenziale

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E c'è la possibilità in questo momento di costruire qualcosa di simile a Roma?
Ma guarda, Roma ha sempre vissuto i suoi alti e bassi, quindi per il futuro si vedrà. Intanto quello che si può fare è, molto banalmente, è lavorare con quello che c'è a disposizione, vedere che succede, chi reagisce, chi risponde. In tutti questi anni, attraverso la rivista, i libri, i festival e le collaborazioni abbiamo cercato di creare un ponte tra le realtà istituzionali e il pubblico (soprattutto quello più giovane) e tra la città e alcune esperienze internazionali. Ora stiamo cercando di trasformare tutta questa storia in uno strumento "organico" che possa reinterpretare alcune abitudini e dinamiche culturali proprie di questo paese e di questo momento storico.

Prendi per esempio un progetto come La Fine, che è uno spazio ricavato dal foyer di un teatro storico in pieno centro città, e quindi una dimensione molto "particolare": è anche bello provare a non buttarla sul tipico "party fluo", che sembra essere diventato il luogo comune della nightlife romana, e invece proporre cose particolari come i Mohammad o Elysia Crampton… Vediamo come andrà.

L'ufficio di Nero. Foto dell'autore.

Poi c'è anche il festival Interregno.
Sì, lì invece nasce tutto dal rapporto con ESC che se vuoi è agli esatti antipodi del tipico "club notturno", no? Perché comunque ESC è un atelier autogestito, una realtà radicale, militante. E con Interregno proviamo appunto a incrociare questi due ambiti che di per sé sono già intimamente intrecciati, e cioè da una parte il lavoro sull'estetica, sull'arte, sulle musiche, di cui NERO si è sempre occupato a livello sia underground che istituzionale, dall'altra quello della politica, del pensiero utopico, dell'intervento sul reale, che trova in ESC uno dei centri più attivi a Roma. Ma vedi, sono tutte collaborazioni che nascono in modo spontaneo, aperto, anche informale, con varie realtà presenti in città; anche perché un po' tutti, vista la situazione romana allo stato attuale, stiamo cercando di ricreare l'acqua dell'acquario nel quale poter nuotare.

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Bella metafora.
Grazie. Ma al di là delle metafore: noi non sentiamo alcuna "missione", se capisci cosa vogliamo dire. Non può essere una singola realtà a risollevare le sorti della città: più che un ragionamento presuntuoso, sarebbe un discorso letteralmente delirante. Semplicemente, diciamo che viviamo qui e per quanto possiamo cerchiamo di rendere la nostra permanenza a Roma il meno deprimente possibile, e nel frattempo proviamo a giocare su vari piani, a creare degli stimoli, anche relazionandoci con le altre situazioni presenti in città, dai locali più piccoli alle accademie straniere, da festival quasi mainstream fino a musei come il MAXXI. Fare tutto da soli sarebbe molto noioso, oltre che molto triste.

Sentite, ci sono delle volte in cui mi chiedo: ma di preciso cosa stiamo cercando, a cosa aspiriamo quando parliamo di far rinascere culturalmente questa città? Ma non è meglio la decadenza definitiva, l'oblio, la desolazione totale, cioè non ha anche questa un potenziale culturale?
Mah, il culto della desolazione c'è, esiste, ha anche il suo fascino. Però è anche un culto carico di morte, se il tutto si riduce al "sguazziamo nella monnezza perché fa tanto New York anni Settanta" (specie se non hai le realtà che negli anni Settanta rendevano New York un posto molto vivo). Di sicuro va ribadita una cosa: la bellezza, la cosiddetta "vivibilità di un posto", non sono date dall'opening della mostra, dall'inaugurazione di un nuovo museo o dal solito "grande evento" paraveltroniano, ma più da quel piccolo, diffuso pulviscolo quotidiano che ogni giorno si produce in un luogo.

Il problema è che queste sono più o meno le stesse questioni nate nella cosiddetta era "post-centri sociali", che però nel frattempo è finita senza che si siano trovati degli strumenti per costruire prima ancora di una collettivizzazione, un senso di appartenenza a un determinato momento storico culturale. Mi sembra che ci siano solo dei piccoli risvegli seguiti da un immediato riflusso.
Ma infatti quello che uno può provare a fare è, come dicevamo prima, provare e riprovare affinché si produca qualcosa di più duraturo. È chiaro che prima andrebbe ricostruito tutto un ambiente non solo "politico-culturale" ma soprattutto umorale, sentimentale ed emotivo, all'interno del quale si possa riconoscersi in tanti, no? I centri sociali—quelli degli anni Novanta/inizi Duemila, per capirci—in questo senso furono un esempio splendido, all'interno del quale ci siamo formati un po' tutti.

Uno può anche dire che quell'esperienza abbia col tempo esaurito una sua missione storica, almeno nei termini con cui era nata; ma intanto resta valido un insegnamento, che uno può provare a riaccendere e riadattare al presente. Se ci pensi, la cosa importante di quell'ambiente—di per sé molto eterogeneo—fu costruire una dimensione in termini di riferimenti, linguaggi e umanità, che poi riverberava nella tua esperienza quotidiana e in ciò che veniva prodotto a livello culturale, fino addirittura a contaminare il mainstream. E a dirla tutta è lo stesso mainstream che, senza un underground da cui attingere o meglio depredare, finisce per deperire esso stesso. Poi sì, le serie tv, i cantautori indie, quello che ti pare… Auguriamo a Tommaso Paradiso tutto il bene possibile, ma alla fine anche lui è andato a vivere a Milano.

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