Ho fatto una risonanza magnetica dopo aver fumato erba per la scienza

All'University College di Londra stanno studiando gli effetti della cannabis sul cervello, e io mi sono immolata.
Hatti Rex
London, GB
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
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Tutte le foto per gentile concessione dell'autrice.

Ogni tanto la vita ti fa una di quelle sorprese per cui ti ritrovi a pensare che vendere un rene potrebbe non essere una cattiva idea. Il mio è un caso tipico: avevo un lavoro da commessa e un capo molto rompipalle, e poi improvvisamente non avevo più nessuno dei due. Visto che non avevo neanche programmi concreti, mi è sembrato un buon momento per cliccare su una di quelle pubblicità di Facebook che ti offrono soldi per fare da cavia. Mi piacerebbe poter dire che è stata la cosa più strana che abbia mai fatto per denaro, ma una volta mi sono truccata usando un profilattico per scrivere un articolo.

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Quella pubblicità mi ha portata fino a CannTeen, uno studio dell’University College London (UCL) che indaga sull’impatto che la cannabis può avere sulla salute mentale e sulle abilità cognitive. “Stiamo anche cercando di scoprire se diversi tipi di cannabis con diverse percentuali di cannabinoidi possano avere effetti diversi,” mi ha spiegato Anya Borissova, una delle ricercatrici che lavorano sul progetto. “È importante raccogliere più informazioni al riguardo perché potrebbero essere usate per fornire una guida ai legislatori e per aiutare gli utilizzatori di cannabis a scegliere la varietà giusta per loro.”

Aiutare la gente a usare meglio la cannabis? Produrre ricerche che potrebbero spingere il governo verso la legalizzazione? E venire pagata per farlo? L’esperimento di CannTeen sembrava la cosa giusta per me, così mi sono iscritta immediatamente.

L’esperimento si svolge in tre sessioni: in una si usa il CBD, in una il THC e in un’altra un placebo. Ai partecipanti è richiesto di inalare vapore di marijuana e poi svolgere una serie di esercizi cognitivi dentro una macchina per la risonanza magnetica. I ricercatori inoltre prelevano quattro campioni di sangue durante ogni sessione, cosa che di certo non suona troppo bene, però è sempre meglio che farsi asportare un organo per venderlo.

“Sappiamo che la cannabis ha effetti positivi e negativi a seconda di chi la assume,” ha aggiunto Borissova. “Ci piacerebbe capire se i diversi tipi di cannabis (con diversi tenori di THC e CBD) possono interessare in maniera diversa adulti e adolescenti in termini di capacità cognitive, e come questo si collega all’attività cerebrale osservabile tramite una risonanza magnetica."

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La ago-cannula per il prelievo di sangue durante l’esperimento.

Quando arrivo alla facoltà di psicofarmacologia clinica dell’UCL per la mia prima sessione, per prima cosa un ricercatore mi chiede di raccontare nel dettaglio ogni porzione di alcol e droga che abbia consumato in tutta la mia vita. Dopo averlo fatto, giuro a me stessa di non assumere mai più nulla. Ma non mi resta molto tempo per riflettere, perché bisogna prelevare i campioni di sangue richiesti. È così che scopro che le vene del mio braccio “si muovono un sacco”, il che le rende piuttosto difficili da bucare. Dopo un paio di tentativi falliti e qualche pizzico, il ricercatore becca una bella venazza cicciotta in una mano e siamo pronti a partire.

Poi arriva il momento clou: è ora di fumare. E per “fumare” intendo inalare vapore di marijuana da un palloncino dentro un grosso sacchetto di plastica. La sensazione è tipo cercare di bere una birra nel cortile dell’asilo senza farsi notare e usare un sacchetto per vomitare in aereo allo stesso tempo. Si suppone che fumare sia un’attività rilassante, ma ricevere istruzioni precise per inalare ed esalare in un sacchetto a intervalli precisi per nove minuti non è rilassante per niente. Per smussare un po’ gli spigoli, i ricercatori mettono musica da spa e qualcuno mi dà una bevanda al limone e miele per lenire il bruciore alla gola. Mi viene prelevato il sangue una seconda volta.

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L’inalazione del vapore di marijuana prima di entrare nella macchina per la risonanza magnetica.

Ora che sono sufficientemente fatta, è ora di entrare nella macchina per la risonanza magnetica. Non l’ho mai fatto prima e mi preoccupo un po’ quando il ricercatore mi avvisa che c’è la possibilità che la spirale intrauterina in rame che uso come contraccettivo si scaldi leggermente. Derubrico il tutto come paranoia da erba e mi sdraio, pronta a entrare nella macchina. Mi viene applicato un sensore per il controllo della respirazione sul petto e mi viene bloccata la testa con una specie di elmetto. Il camice che indosso è talmente comodo che alla fine dell’esperimento chiederò il permesso di portarlo a casa.

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Dopo pochi minuti nella macchina, superato lo shock di trovarmi in uno spazio così angusto, riesco a rilassarmi. Sembra di stare dentro un’installazione artistica o una specie di remake in realtà virtuale di quel pezzo in Arancia Meccanica in cui costringono il tipo a guardare un film terrificante—ma senza l’ultraviolenza. È una strana esperienza. Fumare in un setting non medico di solito è un modo per far sembrare certi aspetti noiosi della vita più divertenti e interessanti. Qui, tra il ronzio delle macchine e il monitor per la respirazione, mi sembra di essere in un episodio di X Files.

Dentro alla macchina per la risonanza magnetica, i ricercatori mi chiedono di svolgere una serie di giochini mentali per misurare l’attenzione, la memoria a breve termine e il tempo di reazione. Che sembra una cosa semplice, ma diventa piuttosto complicata quando sei coricata e fattissima dentro un tunnel pulsante. Nemmeno restare sveglia è facilissimo. Se fossi a casa, starei facendo un pisolino. La mia memoria operativa è chiaramente messa in difficoltà da tutta l’erba che ho appena fumato.

Ma, secondo Borissova, fa tutto parte dell’esperimento. “Ricerche precedenti hanno evidenziato che la cannabis influenza l’attività cerebrale in modi diversi," mi spiega. “Una interessante scoperta recente fatta dal nostro team è che una varietà di cannabis ad alto tenore di THC sembra disturbare il lavoro di una parte del cervello che determina a cosa prestiamo attenzione, mentre una varietà di cannabis con più CBD comporta un disturbo minimo a quella regione—il che sottolinea, di nuovo, quanto sia importante continuare a studiare i diversi effetti che possono avere diverse tipologie di cannabis.”

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Proprio mentre mi sto abituando all’idea di vivere dentro questo tunnel per sempre, una voce mi dice che è ora di uscire. Vengo tirata fuori dalla macchina e mi viene prelevato di nuovo il sangue, poi devo svolgere un altro esercizio che consiste nel premere una barra spaziatrice con il mignolo il più velocemente possibile. Sono all’ospedale dell’università da quasi quattro ore, ma c’è un ultimo compito da portare a termine. Fortunatamente è il più facile della giornata: mi viene dato un quadratino di cioccolato al latte e mi viene chiesto di dare un voto all’esperienza da 1 a 10.

Borissova mi rassicura sul fatto che tutti quegli esercizi e quei prelievi di sangue hanno motivo di esistere. “I diversi esercizi che i partecipanti svolgono sono stati usati in studi precedenti sugli effetti della cannabis,” dice. “Sono concepiti per valutare diversi aspetti del funzionamento psicologico—come la memoria, l’umore e in generale l’esperienza di essere sotto l’effetto di una sostanza.”

Alla fine della sessione, io sono ancora decisamente fattissima e molto stanca. Ma sono contenta di aver fornito i miei servigi alla scienza e spero che la mia risonanza magnetica permetterà di capire qualcosa in più. Intanto, mi accenderò una canna alla salute della ricerca.

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