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Giulio Regeni

Perché sul caso Regeni il governo italiano è così ossessionato da Cambridge e non dal Cairo

A sei mesi di distanza dal ritrovamento del corpo di Giulio, le indagini sono ad un punto morto. Ma il governo Renzi sembra essere più preoccupato dall'università di Cambridge che dalla reticenza delle autorità egiziane.
Foto di TheOnePhotogroup via Amnesty International - Italia

Sono passati sei mesi dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni al Cairo. Nonostante l'assoluta inerzia mostrata finora delle autorità egiziane, il primo agosto Matteo Renzi se l'è presa ancora una volta con l'università di Cambridge, definendo "inspiegabile" il silenzio dell'ateneo sul caso del ricercatore italiano.

"Ho chiesto al Primo Ministro inglese Theresa May, mercoledì scorso," ha detto il presidente del Consiglio a Repubblica, "di spendere la sua autorevolezza nel chiedere ai docenti di Cambridge di collaborare con le autorità giudiziarie italiane. Non capisco per quale motivo i professori di una così prestigiosa università globale pensino che l'Italia possa accettare il loro silenzio, che mi sembra inspiegabile. È morto un ragazzo italiano, torturato. Dobbiamo alla sua famiglia la verità. E chiunque ne possieda anche solo un pezzetto ci deve aiutare, subito."

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La polemica sul comportamento del prestigioso ateneo britannico non è nuova, e si riaccende periodicamente. All'inizio di giugno, diversi articoli avevano raccontato la trasferta del pubblico ministero di Roma Sergio Colaiocco, dei funzionari dello Sco e degli ufficiali del Ros a Cambridge.

Inizialmente si era parlato del silenzio da parte dei supervisor di Giulio - in particolare di Maha Abdelrahman, tutor egiziana della tesi di dottorato - che si sarebbero avvalsi della facoltà di non rispondere.

La notizia aveva creato un dibattito in particolare tra gli accademici che si occupano di Medio Oriente. Alla fine, Cambridge ha smentito le varie ricostruzioni comunicando a Valigia Blu che l'ateneo "non si è mai rifiutato di collaborare con le autorità italiane e continua a usare tutti i mezzi possibili per scoprire la verità sul brutale omicidio di Giulio Regeni."

La versione era stata poi confermata anche dalla procura di Roma, che solo dopo essere stata interpellata dalla stampa aveva specificato che "la rogatoria nel Regno Unito fosse finalizzata a raccogliere dichiarazioni sull'attività e sulla ricerca di Giulio Regeni al Cairo e quindi non fosse rivolta all'istituzione universitaria bensì a singole persone fisiche."

Ma se gli accademici italiani avevano espresso negli scorsi mesi delle opinioni divergenti sull'atteggiamento di Cambridge, le parole di Renzi sembrano averli ricompattati nel criticare una strategia che sembra davvero troppo morbida nei confronti del Cairo.

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A 6 mesi dal rapimento di — Caronte Dimonio (@carontedimonio)July 25, 2016

Andrea Teti - professore associato all'Università di Aberdeen nonché coautore della lettera firmata da 4600 accademici per chiedere la verità sull'omicidio di Regeni - spiega a VICE News che "la ricerca di Giulio era assolutamente normale: argomenti normali, metodi normali, procedura assolutamente normale. I commenti di Renzi danno l'impressione che fra le torri d'avorio di Cambridge ci sia un segreto che possa aiutare ad acciuffare i colpevoli."

"Ma Renzi sa benissimo - o dovrebbe sapere - che non è così," prosegue Teti. "Con le sue parole illude non soltanto il popolo italiano, ma anche e soprattutto la famiglia del povero Giulio."

Anche Elisabetta Brighi, professoressa di Relazioni Internazionali all'Università di Westminster afferma che "le dichiarazioni di Renzi sono mal riposte e poco opportune, spiccano per ipocrisia e cinismo."

Secondo Brighi, infatti, le parole del presidente del consiglio "si fondano su informazioni errate rispetto alla mancata collaborazione di Cambridge, che mirano a ricostruire il ruolo di Cambridge in termini di colpevolezza. Il che è molto grave visto ciò che sappiamo, ossia che Giulio è stato ammazzato al Cairo."

Naturalmente, non è la prima volta che la posizione italiana verso le autorità del Cairo viene definita troppo blanda. A parte il richiamo del precedente ambasciatore al Cairo Maurizio Massari e il blocco da parte della Camera della fornitura al Cairo dei pezzi di ricambio degli aerei militari F16 - il cosiddetto "emendamento Regeni" - i pesanti accordi commerciali (che ammontano a circa 5 miliardi di dollari di interscambio) tra Italia e Egitto sono rimasti intatti.

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Del resto, nel 2013 l'Italia è stato il primo paese a visitare il Cairo dopo il colpo di stato dell'allora capo delle forze armate Al Sisi.

Leggi anche: Il nostro speciale su Giulio Regeni

"L'Egitto è un'area straordinaria di opportunità. Abbiamo fiducia nella sua leadership, nelle sue riforme macroeconomiche," aveva detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi nel marzo del 2015 a Sharm el Sheikh, durante una conferenza sugli investimenti in Egitto.

Si era trattato di parole che esprimevano gli ottimi rapporti tra i due paesi, alla luce anche della presenza dell'Eni. L'azienda italiana conta infatti 14 miliardi di dollari di investimenti, ed ha intensificato la sua presenza con la scoperta del giacimento di Zohr — 850 miliardi di metri cubi di gas in grado di cambiare gli assetti del bilancio statale egiziano sulla questione del fabbisogno energetico.

Secondo i ricercatori, dunque, puntare il dito sulla ricerca e sull'ateneo è un modo per alleggerire la pressione sulle autorità egiziane.

"Mentre ricercatori europei ed egiziani sono impegnati in uno sforzo comune per analizzare criticamente un contesto in cui il governo appare più impegnato a reprimere accademici, giornalisti e attivisti dei diritti umani, piuttosto che ad affrontare la gravissima situazione economica e sociale del paese, i governi europei firmano trattati di collaborazione in materia di sicurezza con quel governo," dichiara a VICE News Lucia Sorbera, docente di Storia e dei paesi arabi e dell'Islam all'Università di Sidney.

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"Chi parla di disinteresse o mancata collaborazione da parte dei docenti di Cambridge non è informato o, forse, preferisce spostare l'attenzione dell'opinione pubblica su un terreno meno controverso della collaborazione con un paese in cui non vige lo stato di diritto," chiosa Sorbera.

L'atteggiamento distaccato di Cambridge, tra l'altro, è molto simile a quello dell'American University del Cairo, università a cui Regeni era afferente come visiting scholar per il suo periodo di ricerca partecipata.

"È interessante notare che a Cambridge, ad AUC e in molte università italiane il corpo docenti e gli studenti si sono mobilitati, mentre il management delle università è stato reticente," continua Sorbera. "Nelle università c'è una tendenza transnazionale a trasferire le responsabilità sugli individui, ed evitare la politicizzazione delle questioni. L'intervento di Renzi va pure in questa direzione e, di fatto, produce l'effetto di distrarre l'attenzione dal problema vero: la partecipazione dei governi europei al mantenimento dello 'stato d'eccezione' in Egitto."

Intanto, sul fronte egiziano le indagini continuano a non portare nessuna novità. Secondo quanto riportato dall'ultima inchiesta di Reuters sul caso, il lavoro di ricerca di Giulio sui sindacati aveva suscitato l'attenzione dei servizi di intelligence.

Il capo del sindacato degli ambulanti Ahmed Abdallah, che era in contatto con Giulio per un piccolo finanziamento relativo a dei training, sarebbe stato sentito più volte dai servizi di intelligence nei mesi prima della sparizione del ricercatore di Fiumicello. E secondo alcune fonti dei servizi di sicurezza, Abdallah sarebbe una persona che aveva già aveva avuto stretti contatti con l'intelligence.

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Il fatto che il ricercatore fosse monitorato dai servizi per la sua ricerca vicina anche alle questione economiche del paese - cosa non gradita al governo e ai militari - non è però sufficiente a giustificare la sua uccisione. Fino allo scorso gennaio, infatti, i cittadini ritenuti ritenuti "scomodi" dal regime erano stati allontanati dal paese.

Reuters ricorda l'esempio di Fanny Ohier, ricercatrice francese di 23 anni che è stata espulsa dal paese. Dopo aver seguito l'ultima riunione del "6 aprile," movimento laico tra i promotori della rivoluzione del 25 gennaio 2011, sei poliziotti hanno bussato alla porta nel suo hotel di Ras al Bar. Ohier era già stata seguita dai servizi di sicurezza due settimane prima ad Alessandria.

Un'altra studentessa di Cambridge, che ha preferito restare anonima, ha affermato di aver lasciato l'Egitto nel 2014 perché aveva realizzato di essere sotto sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza. Reuters aggiunge anche un tassello all'inchiesta pubblicata ad aprile che, citando tre fonti all'interno dei servizi di sicurezza egiziani, aveva parlato di una sorta di "punizione" per la ricerca di Giulio. Resta però il mistero sul perché gli agenti di sicurezza si siano spinti a tanto e non si siano limitati, come nei casi precedenti, ad espellere Regeni dal paese.

Alcune settimane fa, comunque, al Cairo si è costituita una commissione parlamentare trilaterale che ha ribadito che per l'Egitto è incostituzionale fornire agli inquirenti italiani i tabulati telefonici. Il documento partorito dalla commissione – oltre ad utilizzare un tono ambiguo sullo stop della fornitura dei pezzi per gli F16 da parte di Roma – contiene vari punti inesatti, tra cui la richiesta di estradizione di alcuni cittadini egiziani, un elemento smentito dalle autorità italiane.

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La confusione da parte delle autorità egiziane sembra insomma non aver fine, e alcuni analisti cominciano a credere che il fascicolo egiziano di Giulio non verrà mai chiuso.

Questa prassi, d'altronde, è stata utilizzata anche in altri casi. Uno dei più eclatanti è quello di Gaber Salah, conosciuto con il nome di "Gika," un attivista del movimento 6 aprile ucciso dalle forze di sicurezza durante una manifestazione di piazza nel novembre del 2012. Le indagini sulla sua morte non sono mai state chiuse e in molti, a distanza di quasi quattro anni, hanno perso la speranza di trovare un colpevole.

Leggi anche: 'Tu lo conoscevi Giulio?': Le verità su Regeni, i silenzi di al-Sisi e la banalità del male


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Foto di TheOnePhotogroup via Amnesty International - Italia