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Italia

Cosa sta succedendo a Rosarno

Un centinaio di migranti ha manifestato per le strade di San Ferdinando, in Calabria, per protestare contro l'uccisione di un giovane africano da parte di un carabiniere.
Grab dal video del canale YouTube di Inquieto Notizie

Nella mattinata di giovedì 9 giugno un centinaio di migranti ha manifestato per le strade di San Ferdinando, comune di poco più di quattromila abitanti nella piana di Gioia Tauro, per protestare contro quello che è avvenuto in una tendopoli il giorno precedente: un carabiniere ha sparato e ucciso un giovane migrante africano che lo aveva aggredito.

Secondo quanto riporta Repubblica, la mobilitazione - che pure è stata segnata da rabbia e tensione - non ha registrato episodi di violenza. I manifestanti hanno scandito slogan contro i carabinieri e alzato cartelli contro "l'Italia razzista," ma la situazione è sempre rimasta sotto controllo.

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"Non siamo qui per fare la guerra o per fare casini, siamo qui per lavorare e per mangiare," ha detto uno dei manifestanti. "I carabinieri devono venire per mettere pace e non per uccidere."

I migranti hanno infine concluso la loro marcia davanti alla sede del municipio, dove si sono radunati per denunciare le condizioni in cui sono costretti a vivere — la tendopoli di San Ferdinando ospita centinaia di braccianti ingaggiati in inverno per raccogliere le arance nella piana di Gioia di Tauro.

Una delegazione ha incontrato il commissario prefettizio del Comune, Francesco Pepe, il vicequestore vicario di Reggio Calabria, Roberto Pellicone, e il dirigente della Digos Cosimo Candita. Nel corso della riunione i rappresentanti hanno chiesto il rimpatrio della salma del ragazzo africano e maggiore sicurezza nell'accampamento.

"Chiedo al governo di intervenire con urgenza," ha affermato Giuseppe Idà, il neoeletto sindaco di Rosarno - comune adiacente alla baraccopoli di San Ferdinando. "Vorrei sottolineare un clamoroso paradosso: qui da noi a Rosarno non abbiamo neanche un commissariato di polizia. Si può andare avanti così?"

La vicenda che ha scatenato la manifestazione è avvenuta - sempre in base alla ricostruzione di Repubblica - nella tarda mattinata di mercoledì 8 giugno all'interno di una sorta di bar allestito nella tendopoli.

Un gruppo di sette fra carabinieri e poliziotti è intervenuto per sedare una rissa tra il ventisettenne originario del Mali, Sekine Traore, e un altro ospite dell'accampamento — non è ancora chiaro se la lite fosse dovuta a un furto o a una sigaretta. A chiamare le forze dell'ordine sono stati gli stessi migranti che hanno assistito alla scena.

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Secondo la versione ufficiale dei carabinieri e della procura di Palmi, alla vista degli uomini in divisa Traore avrebbe estratto un coltello e ferito al volto l'appuntato Antonino Catalano. In risposta, il carabiniere avrebbe aperto il fuoco, colpendo mortalmente Traore all'addome. Nella colluttazione sono rimasti feriti anche un altro carabiniere e alcuni migranti, che hanno tentato di fermare il 27enne.

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"Il carabiniere che ha ucciso l'immigrato dovrà essere iscritto nel registro degli indagati come atto dovuto a garanzia dei diritti della difesa, in relazione all'autopsia che sarà eseguita sul corpo della vittima," ha riferito all'ANSA il procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza. "Ma il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare."

I migranti che hanno assistito allo scontro fra Traore e il carabiniere hanno però fornito versioni parzialmente discordanti su quanto accaduto. Alcuni sostengono che ad avere esploso il colpo non sia stato il carabiniere ferito, ma un suo collega. Altri smentiscono il fatto che il giovane maliano fosse ubriaco o soffrisse di problemi psichici - come riportato da diverse fonti.

A detta di altri ancora, Traore avrebbe colpito il militare con "un grosso pezzo di ferro," e non con un coltello - usato invece per aggredire il ragazzo con cui aveva discusso.

Un'attivista di ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa) ha raccontato in un'intervista radiofonica che "c'è stata una piccola lite tra di loro, hanno cercato di calmarla ma non ci sono riusciti e hanno chiamato la polizia: per loro era una cosa molto logica." Una volta arrivati sul posto, i sette agenti hanno chiesto ai migranti di "lasciarli solo con questo ragazzo; i ragazzi sono usciti, poi hanno sentito lo sparo e dicono di non essere più riusciti ad entrare." L'attivista ha anche parlato della possibile esistenza di un video girato nei momenti successivi al colpo di arma da fuoco.

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La tendopoli di San Ferdinando, sorta per ospitare 350 persone, accoglie in realtà tra i 500 e i mille migranti, impegnati in larga parte nella raccolta di agrumi e ortaggi nei campi agricoli della zona. Il 3 giugno, in un agrumeto a Rosarno a poca distanza dall'accampamento, è stato trovato il cadavere di un immigrato africano.

"La morte di Traore è uno spartiacque," ha detto a Repubblica Giulia Bari, attivista di Medici per i diritti umani, che da tre anni lavorano nella tendopoli.

Dei braccianti di Rosarno si era già parlato nel gennaio 2010, quando il ferimento di due immigrati con una carabina ad aria compressa aveva provocato una violenta rivolta degli extracomunitari, che avevano devastato la cittadina.

I migranti, che allora vivevano nell'ex Cartiera di Rosarno, furono trasferiti nella tendopoli allestita dalla Protezione Civile regionale a San Ferdinando - che al momento, a causa della mancanza di fondi, non è gestita da nessuna organizzazione.

Lo scorso febbraio Claudio Sammartino, il prefetto di Reggio Calabria, aveva firmato un protocollo per bonificare la zona e trovare un'altra sistemazione ai braccianti stranieri. Ma da allora la situazione non è cambiata.

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Nel pomeriggio di giovedì 9 giugno Sammartino ha convocato un Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica per parlare della situazione della tendopoli dopo la morte di Traore.

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"[I braccianti di Rosarno] lavorano, quando va bene, per un euro all'ora, fino a 13 ore al giorno," ha detto a Lettera43 Leonardo Palmisano, docente di Sociologia urbana al Politecnico di Bari e autore con Yvan Sagnet di Ghetto Italia. "[Le baraccopoli come quella di San Ferdinando] sono un serbatoio per il caporalato."

Secondo il terzo rapporto 'Agromafie e Caporalato', lo sfruttamento del lavoro nei campi dei braccianti da parte della criminalità organizzata muove un giro d'affari pari a 14-17 miliardi di euro all'anno — un'economia illegale che spesso viaggia di pari passo con la tratta degli esseri umani e con lo sfruttamento dei lavoratori stagionali stranieri.


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