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'L'uomo ha l'obbligo morale di approcciare' - Intervista a un pick up artist italiano

Kita ha 26 anni e fa l'istruttore di 'seduzione'. L'abbiamo incontrato per capire chi sono e in cosa credono i pick up artist italiani.
Foto di Rishi Luchun via Flickr (CC BY 2.0).

Frank T.J. Mackey emerge da un cono d’ombra illuminato da un unico occhio di bue con in sottofondo un epico Richard Strauss. La luce gialla sottolinea le pose plastiche di questa figura sfacciata, tracotante e un po’ grottesca. "Io non insegno solo come rimorchiare una donna o come scoparsela," spiega Frank, "ma anche come scoprire cosa possiamo diventare nella vita, scegliere un ruolo, avere il controllo e poi dire: 'Io prenderò quello che mi spetta'."

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Frank è il personaggio interpretato da Tom Cruise in Magnolia, il film di Paul Thomas Anderson del 1999. È un motivatore e guru della seduzione che scrive libri e tiene seminari ed è dichiaratamente ispirato a Ross Jeffries, papà della community dei pick up artist, gli artisti del rimorchio. Il libro di Jeffries, How to Get the Women You Desire into Bed [Come portare a letto le donne che desideri], esce nel 1992, ma la vera esplosione del fenomeno si ha nel 2005 con la pubblicazione di The Game di Neil Strauss, considerata la vera bibbia.

"Il gioco" parte dal presupposto che, con l’adeguata conoscenza dei meccanismi che stanno alla base dei rapporti umani, ogni uomo possa elevare il proprio status e sedurre qualsiasi donna desideri. In sostanza si tratta di un mix di tecniche motivazionali, formule comportamentali sbrigative e nozioni discutibili di psicologia evolutiva che danno una parvenza scientifica al tutto, forniscono una rassicurante spiegazione per ogni insuccesso e un’altrettanto confortante soluzione. L’approccio non è riuscito? È perché non hai giocato nel modo giusto. La ragazza ti ha mollato? È perché ti sei dimostrato “needy” (troppo bisognoso). Il tutto condito da un linguaggio da società segreta che gratifica gli iniziati.

Per capirne di più ho contattato puatraining.it, una società italiana che offre libri, seminari e consulenze agli aspiranti pick-up artist, che ci ha messo a disposizione uno dei suoi istruttori: Kita, 26 anni, di Vicenza. Gli ho fatto qualche domanda e ho assistito a una delle sue lezioni.

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VICE: Ciao Kita. Come sei entrato a contatto con il mondo dei pick up artist?
Kita: Credo nel destino: che le cose accadano perché, sotto sotto, le stai cercando. Al tempo ero coinvolto in una relazione molto sofferta. Era un continuo tira e molla e stavo molto male, ma non riuscivo a vedere sbocchi al di fuori di lei. Un giorno, in libreria, ho trovato per caso un libro sulla seduzione. L’ho aperto, nonostante la copertina non mi attirasse, l’ho sfogliato e alcune informazioni mi hanno incuriosito. Dopo qualche settimana sono tornato a comprarlo e leggendolo ho trovato consigli che ho voluto mettere subito in pratica, come esperimento.

Che tipo di consigli?
In discoteca, per esempio: rimani lì a fissare i gruppi di ragazze e poi torni a casa pensando a loro. Il libro dava delle frasi da usare per cominciare a interagire. Riuscire a conversarci per una ventina di minuti era un passo avanti. Ma non ero ancora arrivato alla fase in cui riuscivo a baciarle, sedurle, portarle a letto e fare in modo che fossero attratte da me. Quindi ho deciso di proseguire e fare altre ricerche.

A quel tempo avevi quasi 17 anni, eri giovanissimo. Non è normale a quell’età essere un po’ timidi negli approcci?
Immagino di sì, ma se vedi gli amici intorno a te che riescono senza troppi problemi e tu invece sei bloccato, provi un forte senso di frustrazione.

Quindi ti sei rivolto a PUATraining?
Sì: ho deciso di frequentare un corso pratico, per ampliare quello che avevo appreso a livello teorico. Ho frequentato un seminario di due giorni a Genova che è andato benissimo. [Prima del corso] avevo già avuto un’escalation di successi con le donne, e dal corso è migliorata anche la qualità. Poi ho conosciuto una ragazza con la quale ero appagato e mi sono fermato. Non avevo ancora capito che anche dopo aver conquistato una donna bisogna continuare a sedurla anche all’interno della relazione, altrimenti si creano monotonia e dipendenza, quella situazione cioè in cui hai talmente bisogno della ragazza che finisci per svalutarti ai suoi occhi. Quindi la mia relazione è finita in modo disastroso.

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A quel punto, dato che non riuscivo più a rimettere in pratica gli insegnamenti che conoscevo, ho deciso di frequentare la full immersion di sette giorni, lavorando in modo completo sulla mia personalità e sulle mie credenze limitanti, cercando di estirparle e di sostituirle con credenze potenzianti. Ero un po’ incasinato con il lavoro, in quel periodo, così ho deciso di licenziarmi per frequentare il corso. Mi sono detto che avrei fatto tutto quello che mi avrebbero detto di fare, per non avere rimpianti. In quella settimana ho contato una media di 100 approcci al giorno.

Ma cosa intendi esattamente per “approccio”?
Quando riesci a fermarla e ci parli per almeno tre minuti.

Ma alcune ragazze si fermeranno a parlare semplicemente perché sono gentili, non significa che siano interessate.
Dipende da come ti poni: dalla parole che usi, dall’energia e dall’intenzionalità che trasmetti. Se voglio chiedere un’informazione troverò magari nove ragazze su dieci che si fermano. Se invece vado da una ragazza facendole capire che ci voglio provare con lei, devo essere bravo a far capire le mie intenzioni senza sfociare nel maniacale. Quello è un errore in cui cadono in molti.

Avevo bisogno di riacquistare fiducia in me stesso e nelle donne. E capire anche che l’approccio può rimanere una semplice chiacchierata, che non devo per forza baciare la ragazza o sentirmi obbligato a chiederle il numero.

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Lo scopo quindi non è per forza portarle a letto.
Il bisogno di concludere per forza non deve esistere. Ovvio che se la ragazza ti piace e hai fatto un gioco sufficiente, la conclusione ci deve essere, perché altrimenti tu saresti poco furbo e la donna rimarrebbe con l’acquolina in bocca. Se invece vai a conoscere una ragazza che ti ispira ma ti accorgi che non è ciò che stai cercando, non sei obbligato a concludere, anzi. Però diciamo che portare una ragazza a essere attratta anche se non ti piace tanto può essere un sistema per accrescere l’autostima. Con le ragazze particolarmente belle tanti uomini si bloccano, e questo va risolto. Andare per gradini—iniziare quindi con ragazze che ti interessano di meno—può essere un escamotage. Ai nostri studenti lo consigliamo.

Questo modo di vivere l’approccio non relega le donne a un ruolo passivo? Come se subissero il corteggiamento?
Le donne non hanno un ruolo passivo. L’uomo ha l’unico obbligo morale di approcciare e fare il primo passo. È un po’ come nel ballo: devi essere in grado di condurre la donna. La donna però non subisce il ballo: balla e si diverte a sua volta. Però se la donna si accorge che non sei in grado di condurre tende ad allontanarsi.

Perché dici che l’uomo ha l’obbligo dell’approccio?
Già nella preistoria era così: è scolpito nella mente delle persone che l’uomo è colui che deve agire la donna è quella che viene sedotta.

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Le tecniche che hai imparato ti sono servite anche in ambito lavorativo?
Assolutamente. Ho fatto un’esperienza a Lloret de Mar in cui dovevo vendere feste e visite turistiche. In pratica, passeggiavo sulla spiaggia e ogni volta che incontravo italiani mi sedevo di fianco a loro, chiacchieravo e provavo a vendergli questi eventi. Ho fatto top seller due mesi su tre e la percentuale di donne presenti è aumentata grazie a me! Sapersi vendere meglio è utile per qualsiasi lavoro. Anche dal punto di vista affettivo, il rapporto con amici e familiari è migliorato tantissimo.

Hai amiche donne? Sanno che sei un PUA?
Sì. Un paio lo sanno e mi aiutano anche. E anch’io cerco di aiutarle nei loro rapporti.

Secondo te, corsi simili a quelli che tieni sarebbero utili anche per le donne?
In realtà sì. E immagino esistano, ma sono rari perché per la donna la difficoltà non è tanto conquistare un uomo ma tenerselo, che è una cosa più complicata da insegnare. Però si può insegnare facilmente come porsi per aumentare le possibilità di essere approcciata. Per esempio sui segnali da dare: non troppo bassi, perché rischiano di non essere percepiti, e non troppo alti, per non sembrare una da una botta e via. Ma non c’è abbastanza richiesta.

Cosa ne pensi delle teorie red pills?
Non so cosa siano.

Ti hanno mai accusato di essere un manipolatore?
No. Anche perché non mi permetterei mai di portare una persona a fare qualcosa contro la sua volontà. L’essere a conoscenza di certe tecniche ti pone in vantaggio, certo, ma sta all’indole della persona applicarle in modo leale o meno.

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Che tipo di uomo frequenta i tuoi corsi?
La tipologia è la più vasta possibile: dal ragazzo che non è mai stato baciato, a quello che va già a letto con diverse donne ma vuole aumentarne il numero o la qualità; c’è chi vuole riconquistare la ex o chi si trova a disagio nel toccare una ragazza. Anche le età sono le più varie. Dal ragazzo di 18 anni all’uomo di 65 che ha una lunga storia monogama alle spalle. Alcuni fanno richieste specifiche per i siti di incontro.

Tinder in effetti non funziona ancora come dovrebbe.
Colpa dei maschi che non sanno usarlo!

Dopo l’intervista, Kita mi permette di assistere all’incontro one to one con uno dei suoi studenti. Alcuni PUA non lo sanno, ma il retropensiero alla base delle proprie tecniche proviene dalle teorie Red Pill (le stesse a cui si rifanno MRA e incel, i quali però odiano i PUA, per ovvi motivi), da cui hanno mutuato anche termini e modalità espressive. Infatti l’allievo di Kita, chiamato a esporre il suo problema, si lamenta di non aver il coraggio di provarci con ragazze da 8 o da 9 [alle HB, hot babies, è affidato un punteggio, mentre le brutte sono brutte e basta], ma è abbastanza chiaro che il suo è un problema di insicurezza molto più generalizzata. Oltre che l’oggettiva e diffusissima difficoltà di fare incontri interessanti, soprattutto in provincia e per chi frequenta ambienti lavorativi in cui non è facile socializzare.

La prima parte della lezione è teorica e va dai più generici consigli motivazionali (trasformare i problemi in sfide e via dicendo) che lo studente si appunta diligentemente, ai suggerimenti più pratici su come presentarsi in maniera corretta. "Devi farlo come un bambino che sta mostrando il suo nuovo gioco della Play Station," gli spiega Kita, "Devi essere felice e orgoglioso di ciò che fai vedere." Gli mostra anche il video di un suo approccio in discoteca, in cui si vede l’escalation dalla chiacchiera intima al bacio: lo scopo è mostrargli come l’apparente riluttanza di lei in realtà sia solo dettata dal contesto, in questo caso la presenza delle amiche (vai alla voce "bitch shield").

La consapevolezza che possano esistere donne a cui, molto semplicemente, potresti non piacere sembra essere un tabù: sotto sotto si sa, ma è meglio fare finta di niente, per non intaccare l’arma più importante di cui si può disporre, l’autostima. E se l’obiettivo è strappare un numero di telefono, un limone o una notte di sesso, con la legge dei grandi numeri, un sorriso e un po’ di sfacciataggine, qualche risultato in più lo si guadagna sicuramente.

Nel descrivere al suo allievo le fasi che si troverà ad affrontare, Kita lo avverte che quando i successi si faranno più numerosi, dovrà mettere in conto l’invidia di amici e conoscenti. E questo apre un’altra questione interessante: in che misura tutto ciò ha a che fare con il piacere del fare sesso e non, piuttosto, con la ricerca di approvazione da parte degli altri uomini?

Perché l’aspetto più straniante di questo tipo di dinamiche non è la supposta manipolazione delle fanciulle, quanto il sentir parlare delle donne come esseri radicalmente altri, distanti e quasi insondabili, che alimenta una visione fortemente polarizzata della dinamiche tra i sessi. "Il gioco" è la versione più “da grandi” della casetta sull’albero il cui l’ingresso è vietato alle ragazze. Un rifugio puerile alle delusioni d’amore, un manuale di comportamento che può essere utile a chi ha poca autostima per affrontare il mondo—oltre che le donne—ma che riduce la complessità dei rapporti umani a leggi di causa-effetto che danno l’illusione di avere o poter avere il controllo totale della situazione.

Dopo pranzo seguirà la fase pratica. Kita e lo studente gireranno per il centro di Milano approcciando ragazze. La frase di apertura sarà sempre più o meno la stessa. Magari vi è capitato di sentirla: "Ciao/Ehi. Ti ho vista/notata [citare un’azione appena compiuta dalla ragazza, esempio: mentre guardavi le vetrine]. E non mi sarei perdonato/mi sarei preso a calci se non fossi venuto a conoscerti/parlarti." A questo punto tendere la mano per presentarsi e scandire bene il proprio nome.