Ristoranti sri lanka napoli
Tutte le foto Alessandra Mustilli

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Cibo

Cose che non ti aspetti a Napoli: mangiare dell'ottimo cibo cingalese

La comunità dello Sri Lanka a Napoli è numerosa, ma si estende in circa 4 km quadrati. E per conoscere meglio questa cultura e la sua cucina sono andata in alcuni dei loro migliori ristoranti.

Sono seduta tête a tête con Alessandra (la mia fotografa di fiducia) a un tavolino sul piccolo balcone di un appartamento arredato in stile Bollywood, ma sono al secondo piano di una palazzina di Vico Lungo Gelso, nei quartieri spagnoli di Napoli, e sto mangiando cingalese. Paradossale? Beh, un pochino. Stimolante? Da morire!

Ristoranti cingalesi a Napoli

Tutte le foto di Alessandra Mustilli per Munchies Italia.

Ma facciamo qualche passo indietro.

La comunità dello Sri Lanka a Napoli (che ormai conta più di 15.000 cingalesi) si sviluppa su 4 km quadrati (…) più del 90% lavora come domestico, mentre la parte restante è impiegata nella ristorazione.

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La mia città è, ed è sempre stata, molto solidale, un buon modello di inclusione sociale: basti pensare a quante persone provenienti dalle regioni e dai paesi più diversi e disparati abbiano coabitato a Napoli fianco a fianco negli anni. Portavoce di culture all'apparenza anche poco compatibili che hanno dato vita a quella commistione di elementi etnici, religiosi e sociali che oggi costituisce l'anima stessa del popolo napoletano.

Anche in cucina, abbiamo sempre accolto le novità con entusiasmo facendole nostre o, addirittura, facendone simbolo della città stessa (gli spaghetti dalla Cina, il pomodoro dall’America, il caffè dall’Arabia, i babà dalla Polonia).

Eppure Napoli non ha mai espresso grandi esperienze di ristorazione estera, salvo qualche ristorante greco qua e là, i kebabbari alla Pak Doner, i molteplici e commercialissimi ristoranti cinesi (alcuni dei quali negli ultimi anni ho visto – incredula – magicamente trasformarsi in ristoranti giapponesi) e i ristoranti di sushi più modaioli. E invece, fa ormai parte integrante della città una raccolta di spezie che vengono da molto molto lontano: l’odore intenso del Rice and Curry e il profumo del Kottu Roti ormai inondano i vicoli e avvicinano i rioni popolari a usi e costumi del più esotico oriente.

La comunità dello Sri Lanka a Napoli (che ormai conta più di 15.000 cingalesi) si sviluppa su 4 km quadrati, precisamente tra i quartieri Spagnoli e i quartieri Stella e San Carlo Arena. Per la maggior parte sono venuti qui per trovare lavoro e inviare soldi ai familiari: più del 90% lavora come domestico, mentre la parte restante è impiegata nella ristorazione.

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La moglie di mio zio è cingalese, ho un amico originario dello Sri Lanka, trasferitosi a Napoli in età adolescenziale, e ogni tanto frequento un bar in centro storico (Samanà) dove vado a giocare a carambola, e il cui proprietario è cingalese. Qui la clientela è mista: molti napoletani, molti stranieri, ma per lo più sono cingalesi. In qualche modo sono abituata ad avere a che fare con questo popolo da molto tempo, con la loro lingua melodiosa, con la loro scrittura a caratteri tondeggianti, con il Gatà Berà, con il Thammatama (strumenti musicali tipo percussioni) e ovviamente con i loro abbondantissimi banchetti della domenica. Ma onestamente non mi sono mai spinta a provare i loro ristoranti in città.

E così, è proprio in un’uggiosa domenica di febbraio che ho deciso di andare in esplorazione della cucina cingalese e delle sue tradizioni. Stavolta ci ha accompagnato anche il mio amico Raph Regan, ex chef di SoulCrumbs.

COLAZIONE DA JOSEPH

All’inizio di Via Salvator Rosa salendo da Piazza Dante c’è Joseph, cingalese doc.

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Lui vive a Caserta da 12 anni, ma sono sei anni che fa il pendolare. Ogni mattina si sveglia all’alba, prende il treno, poi un autobus e apre il suo piccolo fast food. Di domenica uno spicchio di Sri Lanka si affolla per mangiare le sue prelibatezze. Entro incuriosita, il locale è pieno e io mi sento quasi a disagio, come se stessi rompendo un momento di magia.

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Ma ci pensa subito Joseph a mettermi a mio agio, mi invita a entrare dietro il bancone e mi dice di chiamarlo Giuseppe: il ghiaccio è bello che rotto.

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Gli dico che voglio assaggiare i loro piatti tipici della domenica e così cominciamo con dei triangolini di pasta croccante simili ai samosa indiani, fritti e con vari ripieni (tra cui anche un uovo sodo). Proseguiamo con i bitter rolls, involtini ripieni di carote, porri e patate e i malu rolls, ripieni invece di verdure e tonno. Ad accompagnare, del tè nero bollente.

Napoli cibo cingalese Joseph

È il momento del Biryani: riso saltato nel burro chiarificato in una padella (Kayvan) simile al wok cinese. Le spezie e i condimenti sono vari, dal cumino al cardamomo, dalla cannella ai chiodi di garofano, dal coriandolo alle foglie di alloro, dalla cipolla agli anacardi.

Il biryani è in realtà un piatto di origini persiane, ma venne portato da viaggiatori e mercanti un po’ in tutta l’Asia meridionale, dove oggi ognuno lo prepara nella variante locale; generalmente è un piatto che non resta vegetariano, ma include vari tipi di carne o di pesce. Il nostro era guarnito con una grossa coscia di pollo che ho aggredito stracciandola a morsi come potete vedere qui sotto.

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Il riso, nonostante l’abbondanza di sapori, era delicato e leggero, tutto era ben dosato, gli ingredienti erano freschissimi e le spezie molto profumate.

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Chiudiamo con il cibo più tipico dello Sri Lanka che è il rice and curry. Per chi non lo sapesse il rice and curry consiste in una portata principale di riso (che può essere di diversi tipi) accompagnato da diversi stufati di verdure, accomunati dall’uso abbondante di quella miscela di spezie in polvere detta appunto curry. Il mondo del curry è estremamente complesso, ne esistono a migliaia e ogni curry che mangerete sarà diverso da tutti gli altri.

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stufati-di-verdura

Nel rice and curry di Joseph, tra i miei preferiti, il dhal curry fatto con lenticchie rosse e mantecato con il latte di cocco, il curry di melanzane che vengono prima fritte e poi stufate o con il latte di cocco o con la polpa di dattero, e il curry di zucca. Ne ho assaggiati anche un paio che non avevo mai provato, quello di “angunokolè” che è un erbetta sconosciuta al mondo cccidentale e amarissima e il curry di ananas piccante dove piccante sta per allarme incendio.

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Continuerei ma ho altre mete che mi aspettano e ho abbastanza elementi per dire che da Joseph la cultura del cibo cingalese è più che ben rappresentata.

KOTTU ROTI ALLA SANITÀ

Chiunque sia stato in Sri Lanka racconta che nei centri abitati si sente un sottofondo sonoro intermittente, metallico, ritmato. Questo ritmo cadenzato lo dettano le lame dei coltelli che battono sulla piastra rovente quando si prepara il Kottu Roti.

Mentre mi addentro nel Rione Sanità riesco a riconoscere proprio quel suono ricorrente. Non avendo riferimenti precisi, scelgo a sentimento il locale che mi ispira di più e che emana gli odori più invitanti.

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Il kottu roti è il piatto di punta dello street food cingalese, perché è molto economico e riunisce tutti i sapori tipici della cucina locale: il curry di carne, il paratha, che è un pane indiano spugnoso, una specie via di mezzo tra una crepes e una piadina, e il soffritto di verdure che è la base di molte preparazioni.

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Lo chef versa l’olio sulla piastra calda e comincia a soffriggere insieme cipolle, carote, peperoncini verdi, zenzero, e ancora una dose generosa di spezie.

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Quando le verdure sono cotte, aggiunge le uova e il paratha tagliato a listarelle. Infine un mestolo di curry di carne bello piccante. Ma la parte più scenografica arriva quando lo chef afferra le due lame (senza manico) e comincia a picchiettare velocemente sminuzzando tutti gli ingredienti fino a ridurli in poltiglia.

Si cimenta anche Raph che devo dire, se la cava dignitosamente.

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In Sri Lanka servono il kottu roti in carta di giornale e va rigorosamente mangiato con le mani. Noi da bravi occidentali invece usiamo le forchette. Ce ne andiamo con 5 euro in meno ma con lo stomaco un po’ più felice.

DARSHANA FOOD IN VIA BELLINI

Beh diciamo che, a posteriori, forse questo lo avrei saltato. Ma bisogna sempre provare, anche per poter dire non ci torno, no?

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Questo posto lo conoscevo bene: passando per Via Bellini, tutte le volte, sentivo questo fortissimo odore di curry e una sera che ero a bere in un bar lì accanto mi ci avvicinai per capire di che si trattava. Capii subito che era un ritrovo per la comunità cingalese, ma non mi soffermai più di tanto.

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Ho deciso quindi di tornarci per assaggiare qualcosa, ma ho avuto parecchie difficoltà a farmi capire, data la loro scarsa dimestichezza sia con l’italiano che con l’inglese.

Polpette di lenticchie ristorante cingalese

Ad ogni modo ho preso delle vadai che sono delle polpette di lenticchie, e in tutta onestà erano così secche che ho dovuto bere un litro d’acqua per finirle e poi ho preso un paratha con due curry, quello di ceci e quello di patate.

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Entrambi i curry erano troppo carichi di pasta di peperoncino, i ceci erano mezzi crudi e il pane gommoso.

A CASA DI ASHLEY

Era un bel po’ che sapevo dell’esistenza di una casa ai quartieri spagnoli in cui un cingalese preparava leccornie per i suoi conterranei. Ma non sapevo assolutamente dove, di preciso

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.Giriamo tra i vicoli alla ricerca di Ashley da mezz’ora, ma senza mai trovare neanche l’ombra di un chicco di riso. Siamo ormai sfatti e un po’ stanchi, ma poco prima di arrenderci vedo una famiglia cingalese in un vascio. Non avrei mai voluto disturbarli, di domenica per giunta, ma la forza della disperazione ha vinto. Il capo famiglia, con enorme gentilezza, si offre di accompagnarci. E così lo seguo. A un certo punto intravedo finalmente una grande bandiera cingalese appesa in bella mostra. E infatti il signore ci indica il portone e sorridente ci saluta.

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Lo ringraziamo e saliamo al secondo piano della palazzina: eccolo là, il proprietario che ci accoglie in divisa in una grande sala. L’atmosfera rievoca un po’ quella dei film di Bollywood, appese alle pareti ci sono immagini di elefanti e di donne vestite con il tradizionale sari indiano.

Il locale lo ha aperto il fratello di Ashley nel ’96, ma è Ashley stesso che lo ha reso un vero e proprio ristorante. Gli ospiti sono pressoché tutti cingalesi o indiani che vengono a ritrovare i sapori di casa. E poi ci siamo noi.

Vedo questo tavolino appartato sul balcone e mi ci fiondo all’istante. Alessandra mi segue a ruota.

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Facciamo fare ad Ashley con le portate e ci arrivano in ordine: un dhal curry (curry di lenticchie di cui vi ho già parlato più su), un curry di fagiolini e carote, un riso saltato con porri, carote e uovo a stracciatella, lo stesso piatto ma in versione spaghetti di riso al posto del riso, un curry di carne di maiale e un pane mai visto tanto fine (fatto con un legume verde dal nome intraducibile e fritto).

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Compongo il mio piatto, Alessandra il suo e cala il silenzio. Ashley è riuscito a conquistarci in pochi minuti. Bilanciare sapori difficili come questi non è una cosa che si impara ma una dote innata. Finiamo il nostro pranzo tra i mugulii e paghiamo: 12 euro.

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E infine rispondo a qualche domande che, ahimè, alcuni mi hanno già fatto:

  • Hai mangiato carne di dalmata? No, o almeno non credo. Non ho mai mangiato carne di dalmata in vita mia, ma le cucine erano a vista e non ho sentito abbaiare.
  • I ristoranti erano sporchi? No, per nulla. Sono molto più sporche alcune trattorie di mia conoscenza.
  • Sei stata male dopo? Nonostante anche io pensavo di risentire di tutte quelle spezie a cui il mio organismo non è abituato, no. Per fortuna sono stata benissimo.

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