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Musica

Tutte le volte in cui i gruppi punk si sono venduti alle major

Facendo incazzare a morte i loro fan.

Anche se ora sembra assurdo parlarne, una volta i fan ci tenevano che i loro gruppi rimanessero nell'underground, e il concetto di "venduto" era molto più sentito di ora. Il modo più veloce per far incazzare i fan di una punk band era firmare un contratto con una major. Un'azione così semplice era in grado di rovinare per sempre il rapporto di tale band con la propria fanbase, e non solo. Locali DIY come il 924 Gilman di Berkeley si rifiutavano di ospitare concerti di chiunque fosse sotto contratto major, numerosi pezzi vennero scritti in quest'ottica e, pensate, i Reel Big Fish ci scrissero pure una hit da primi posti in classifica.

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Insomma, mosse di questo genere non sono mai state viste di buon occhio, perché considerate una specie di affronto contro i luoghi, le persone e le modalità su cui il punk ha edificato le proprie basi. Che poi il debutto su major fosse un successo o un flop, poco importava, che fosse elogiato dalla critica oppure no, erano i fan a decretare, a prescindere, che quella era stata una cazzata, come a dire "Noi vi supporteremo sempre, TRANNE nel caso in cui vogliate tirar su dei soldi dal vostro lavoro."

Poi è arrivato Internet, il luogo in cui tutto è famoso e nulla è fonte di guadagno. Ma prima che morisse la gallina dalle uova d'oro dell'industria musicale, alcuni punk riuscirono a trarne profitto. Ecco una retrospettiva su tutte le volte che i dischi—buoni o brutti che fossero—hanno sfondato quella parete di dollaroni.

Drive Like Jehu - Yank Crime, Interscope (1994)

Livello di tradimento punk: 4/10

A quanto pare, nel momento in cui i Rocket from the Crypt firmarono per Interscope (dio benedica l'ubris musicale degli anni Novanta per cui queste parole sembravano sensate), il frontman John Reis insistette per portarsi dietro anche il suo side project post-hardcore Drive Like Jehu, e così anche Yank Crime uscì sotto major. Non crediamo che sui muri della Interscope ci sia anche questa cover appesa, vicino ai dischi d'oro di Eminem o Maroon 5, ma dovrebbe esserci. Yank Crime forse è l'album più selvaggio e fondamentale ad aver avuto l'onore di una pubblicazione major. Stava anni luce avanti. Purtroppo, per la maledizione delle major, i Jehru si divisero l'anno successivo, ma, dopo vent'anni, la gente ancora si chiede come abbiano fatto a tirar insieme un album del genere.

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Green Day – Dookie, Reprise (1994)

Livello di tradimento punk: 7.5/10

Dookie è stato l'album che ha rovinato tutto. I punk adorano prendersela con questo disco, e hanno ragione. Ha venduto venti cazzo di milioni di copie, cioè è stato uno degli album più venduti di sempre, forse solo secondo a Purple Rain di Prince o Off The Wall di Michael Jackson (certo, tutto questo prima che arrivasse Adele).

Ma i problemi principali del successo di Dookie non sarebbero affiorati nel punk se non a posteriori. La conseguenza più drammatica di questo sellout fu che aprì la strada a punk band radiofoniche come Blink-182 e New Found Glory. Contribuì anche a creare il clima adatto perché le major mettessero sotto contratto altri gruppi punk come i Jawbreaker, che rimasero stroncati definitivamente sotto la morsa major. E, sul piano personale, per la band segnò il passaggio dalla dignità a fare musical per Broadway con solo l'eyeliner come ultimo rimasuglio punk a cui appigliarsi.

A parte questo, però, cazzo quella batteria all'inizio dell'album spacca proprio tanto. Bisogna ammettere che qui i Green Day erano riusciti a stare sul filo del rasoio tra il pop punk californiano e le band alt-rock degli anni Novanta, e a tirar fuori un classico dei classici. La discografia della band, successivamente, iniziò a colare a picco, a partire dal passabile Insomniac del 1995, fino all'inutile tentativo di trattare la politica senza dire assolutamente nulla aka American Idiot, fino ai successivi concept album completamente superflui e fastidiosi che gli sono seguiti. I tre hanno decisamente volato troppo vicino al sole, con le loro ali fatte di riff semplicistici e monocorde.

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Bad Religion – Stranger than Fiction, Atlantic (1994)

Livello di tradimento punk: 9/10

La storia è questa: Una volta, in un buco-locale di New York, verso la fine degli anni Novanta, c'era un ragazzino appoggiato al muro con il suo patch dei Bad Religion in bella vista sulla giacca. Sopra al nome della band, con un pennarello, aveva scritto la parola "OLD". Ecco quanto i fan dei Bad Religion erano arrivati a odiare la band dopo il suo approdo al mondo major. Soltanto i "vecchi" Bad Religion furono accettabili, da allora, mentre i BR della fase nuova, quella da Stranger Than Fiction in poi, vennero considerati apocrifi. Il passaggio da Epitaph ad Atlantic (il contratto sarà stato davvero vantaggioso, dato che li convinse a mollare un'etichetta il cui boss era uno della band) contiene comunque i loro singoli di punta, “Infected” e “Stranger Than Fiction.” Col senno di poi, comunque, questo è uno degli album più catchy della band.


Jawbox – For Your Own Special Sweetheart, Atlantic (1994)

Livello di tradimento punk: 6.5/10

I Jawbox devono essere grati ai Jawbreaker per essersi presi tutta la merda per “Quella punk band che si è venduta col nome che inizia con Jawb-” Ma questo non rende i loro crimini contro il punk meno perversi, soprattutto dal momento che sono saltati sul treno di Atlantic a partire da quel dolce carretto DIY che era la Dischord Records. Solo due band, loro e gli Shudder to Think, hanno avuto il coraggio di mollare la Dischord per fare i soldoni. Come potrete immaginarvi, per il tenore del disco, la massa non ne comprese molto bene il valore. E quindi Atlantic li mollò e questo segnò la fine dei Jawbox. Che sia da lezione. Proprio come non puoi mollare un animale selvaggio in uno zoo senza prima fare in modo che si adattino al nuovo ambiente, le band della Dischord non possono catapultarsi a caso nella gabbia delle major. Bisogna lubrificarsi bene prima di vendersi.

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ALL – Pummel, Interscope (1995)

Livello di tradimento punk: 3.5/10

Gli ALL sono dei poveri stronzi che non sono mai riusciti a farcela. Per i punk sono sempre stati "quelli che non sono i Descendents." Quindi, nel momento in cui sono riusciti ad entrare, per miracolo, nelle grazie di Interscope, qualcosa li ha spinti a far uscire un album decente, anche se dimenticabilissimo: Pummel. Non è il loro lavoro migliore (anche se ci sono pezzi ok come "Million Bucks," "Long Distance," e "Breakin' Up") ma almeno i soldi raccolti sono stati usati per aprire lo studio di registrazione della band, The Blasting Room, in cui il batterista Bill Stevenson ha poi prodotto parecchi dischi punk, tra cui Everything Sux dei Descendents, quindi almeno non tutto il male viene per nuocere, giusto?


Jawbreaker – Dear You, Geffen (1995)

Livello di tradimento punk: 9/10

Dopo che i Green Day ebbero un mega successo con Dookie, le major corsero a fotocopiare contratti discografici da milioni di dollari e iniziarono a distribuirli fuori dai locali punk della West Coast come fossero flyer. A quei tempi i Jawbreaker erano freschi di tour coi Nirvana, cosa che preoccupava i loro fan, convinti che questo li avrebbe portati a vendersi a qualche major, e indovina un po' cos'è successo? Le major li puntarono eccome.

Anziché sciogliersi, ed erano al punto di farlo, i ragazzi decisero di firmare quel contratto milionario con la DGC Records (parte dello Universal Music Group) per poi pubblicare, nel 1995, Dear You. I fan criticarono l'album perché suonava "più pettinato" dei loro lavori precedenti. Dove "pettinato" è un modo punk per dire "Sono incazzato nero, vaffanculo alla band che un tempo mi piaceva!" Pare che il pubblico dei Jawbreaker si sedesse per terra e voltasse pure le spalle al gruppo ogni volta che questo suonava pezzi di quell'album.

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Ora che possiamo guardare le cose senza i fumi della rabbia come esseri umani dotati di razionalità, una volta passato il malumore perché Dear You non suona come dovrebbe secondo i canoni punk, possiamo dire che è il disco più intelligente e maturo dei Jawbreaker. Blake qui ha sguinzagliato la propria poetica oscura e tracce come “Accident Prone” e “Jet Black” furono fondamentali per la nascente scena emo, insieme a band come Sunny Day Real Estate e Texas Is the Reason. “Million” è invece una lucida autocritica alla loro relazione con la label. E “Sluttering (May 4th)” è la miglior canzone a tema 4 Maggio che sia mai stata scritta, senza dubbio.

Nonostante fosse un buon album, non è mai diventato il pupillo dell'alt-rock di MTV come invece fu Dookie. Pensate a quante volte passarono in televisione il video di "Basket Case" in confronto a quello di "Fireman." Ecco. Dear You vendette 40.000 copie, solo alcuni fantabilioni di copie in meno di quel disco milionario dei Green Day. Un fallimento gigantesco per la label. La band, come prevedibile, si sciolse poco dopo e ora le loro magliette valgono un sacco su eBay.


Less Than Jake – Losing Streak, Capitol (1996)

Livello di tradimento punk: 5/10

Un'altra prova della tracotanza musicale degli anni Novanta sono i Less Than Jake, che batterono cassa nell'industria discografica americana approfittando del momento in cui gli Stati Uniti ebbero un breve un flirt con lo ska, che includeva i Mighty Mighty Bosstones e… uh… Quella canzone dei Reel Big Fish. I LTJ lasciarono Asian Man e No Idea per far uscire il loro terzo album Losing Streak con Capitol. Ma, guarda un po', voi puristi dello ska ve la prendete in quel posto perché, nonostante magari dobbiate scucire un po' più di soldi per averlo, quest'album li vale tutti!

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The Offspring – Ixnay on the Hombre, Columbia (1997)

Livello di tradimento punk: 3/10

Il terzo album degli Offspring, Smash, aveva venduto un numero scemo di copie. Undici cazzo di milioni di copie, che lo rendevano l'album indipendente più venduto di sempre. Portò così tanti soldi alle casse di Epitaph, per cui era uscito, che cementò la sicurezza finanziaria della label per tutti gli anni a venire. Ma questo successo distrusse anche il suo fondatore Brett Gurewitz che mollò i Bad Religion per concentrarsi sull'etichetta. Mollò anche la moglie e iniziò una relazione pericolosa con crack ed eroina.

Tre anni più tardi, per l'album successivo, Ixnay on the Hombre, gli Offspring si affiliarono alla Columbia, una mossa che Gurewitz ammise di aver preso sul personale, ai tempi. In quel momento la band aveva fatto abbastanza soldi da riempirci una piscina (o almeno per assumere gente che li rassicurasse sul fatto che i dread sono ok anche per i ragazzi bianchi), a nessuno sembrò che volessero "vendersi" o che la loro mossa fosse scema.

Ixnay vendette bene—tre milioni di copie—ma poco in confronto agli undici milioni di Smash. Dieci milioni delle quali comunque ora riposano in pace nei reparti di CD usati di tutto il mondo.


Blink-182 – Enema of the State, MCA (1999)

Livello di tradimento punk: 10/10

Cavoli se le creste dei veri punk si rizzarono per il livore contro quest'album—e in generale contro questa band. Tutti si sentivano autorizzati a giudicare l'operato dei Blink dopo il loro secondo LP Dude Ranch (che tecnicamente era uscito per metà per una label indie, Cargo Records, e una major, MCA), dai fan di una vita che li vedevano come dei venduti, fino ai lettori di Maximum Rock’n’Roll che non volevano avere nulla a che fare con quest'attitudine clown-punk.

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Il problema era molto sentito: i Blink-182 stavano mettendo talmente in discussione il punk con il successo di Enema of the State, la loro prima uscita sotto major, che anche Johnny Rotten dei Sex Pistols fu interrogato su che ne pensava di questa band. E lui rispose: “Non sono solo dei ragazzini stupidi? Sono l'imitazione di una gag. Fanno così schifo che dovrebbero stare sempre al Saturday Night Live, che, per quanto mi riguarda, è l'insulto più grave che ci sia.” Parole dure dal testimonial del burro e delle carte di credito.

Sono passati più di quindici anni da quando uscì Enema Of The State. Possiamo guardare quel disco che parlava di diarrea e clisteri con un occhio adulto ora? Forse è perché, da lì in poi, sono stati commessi crimini ben più efferati contro il punk (in parte dovuti alla porta sfondata dai Blink stessi), ma Enema ora sembra un nonnulla in confronto ai vari Sum 41 o Avril Lavigne dei primi 2000. O forse è che ora sappiamo che i Blink ora sono uomini adulti che si battibeccano su gigantesche stronzate. Comunque sia, col senno di poi, quel periodo sembra quasi un'epoca d'oro del non-punk. Dai, siamo obiettivi, non c'è niente di male in quel disco a parte un atteggiamento insopportabile, a tratti infantilistico a tratti misogino. Tutto sommato è un album che ti piglia.


H2O Go, MCA (2001)

Livello di tradimento punk: 2/10

Gli H2O hanno pubblicato lo stesso album per tre volte di fila. Per la quarta volta hanno scelto di pubblicarlo sotto major. Solo che nessuno se n'è accorto e, soprattutto, a nessuno fregava un cazzo.

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Rancid – Indestructible, Warner Bros. Records (2003)

Livello di tradimento punk: 8/10

I Rancid sono un po' un'anomalia. Se guardiamo alla loro carriera, si potrebbe pensare che il loro periodo "vneduto" fosse più o meno quello a metà degli anni Novanta quando li si vedeva al SNL che suonavano “Roots Radicals” e su MTV passavano in continuazione i loro video punk à porter tipo “Salvation” o “Ruby Soho.” Certo, erano belli in vista, ma rimasero fedeli alla loro etichetta indipendente, Epitaph Records, per tutto quel decennio. Il che non significa che le major non li corteggiassero. Certo che li corteggiavano. Il corteggiamento era così disperato che a quanto pare i Rancid convinsero un emissario della Epic a farsi una cresta blu in testa oppure obbligarono i dirigenti della Maverick a procurare alla band foto di Madonna nuda (anche lei sotto contratto con quella label). Le foto sexy di Madonna erano la moneta con cui si stringevano accordi economici, a quell'epoca.

Dopo ben cinque album per Epitaph, label che li aveva portati con gloria fino all'incomprensibilmente sottovalutato album omonimo del 2000, i Rancid si vendettero a quello contro cui, a parole chiare e urlate ad alto volume, si erano sempre opposti: firmarono con una major—la Warner Bros Records. O almeno il loro album fu distribuito dalla Warner. In ogni caso. Non rivelarono molti dettagli di questo infausto passaggio e, oltretutto, le vendite del loro primo disco con loro, Indestructible, non furono abbastanza per onorare il logo Warner.

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Ma guarda un po', ai fan non fregò un cazzo di quest'album. Forse i cameo di Kelly Osbourne e del tizio dei Good Charlotte nel video del singolo “Fall Back Down” non fecero acquistare altri punti credibilità alla band. I punk punirono i loro Rancid per la loro infedeltà, come c'era da aspettarsi, e oltretutto sostenevano che quei suoni un po' più pop fossero diretta conseguenza dell'affiliazione Warner. In realtà, un accordo di distribuzione con una major probabilmente non aveva avuto niente a che fare con il declino del sound della band. Era un album dimenticabile, tutto qui.

Ora i fan non sono più così incazzati con i Rancid per quella svendita, forse perché la gente che li ascolta, oggi, ha tutta intorno ai 45 anni e non ha più voglia di polemizzare. Per tutti gli album successivi, la band tornò all'ovile Epitaph, il frontman Tim Armstrong si è tatuato in testa e deve ancora imparare a beccare le corde giuste della chitarra.


The Distillers – Coral Fang, Sire (2003)

Livello di tradimento punk: 6/10

L'amore ti fa fare delle cose pazze. Prendi Tim Armstrong dei Rancid. Per tutta la vita se n'è stato ben alla larga dalle major. Poi, nel 2003, ha divorziato dalla moglie Brody Dalle e lei, con la sua band, i Distillers, firmarono per Sire Records. Proprio lo stesso anno in cui i Rancid fecero quello scivolone con la Warner, che distribuì un loro album pieno di riferimenti a coppie scoppiate. Forse tutto questo gioco con le major era una reazione passivo-aggressiva della coppia al fallimento del loro matrimonio. E forse siamo tutti stati semplici pedine del gioco punk-amoroso di Tim e Brody. Non lo sapremo mai. Ma una cosa è certa: da qualche parte, nei corridoi della Sire, qualche idiota del reparto vendite avrà definito i Distillers come “Rancid per ragazze.”

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The Ataris – So Long, Astoria, Columbia (2003)

Livello di tradimento punk: 0/10

Oh, gli Ataris sono usciti anche con una major. Buon per loro.


Saves the Day – In Reverie, Dreamworks (2003)

Livello di tradimento punk: 7/10

Già da un po' i Saves the Day non erano visti di buon occhio dalla loro fanbase, e poi uscì In Reverie. Dopo aver conquistato sia il pubblico pop punk che quello hardcore con i loro primi due dischi, usciti per Equal Vision, si erano ammorbiditi con il loro terzo disco, Stay What You Are, un disco che procurò loro apparizioni al Late Late Show e da Conan. Dopodiché, zomparono sul carro Dreamworks per il loro album più pop e, se non fosse stato per il loro pedigree, sarebbe una bestemmia far rientrare quest'album in territorio punk. Perché è un disco quasi puramente pop. (Il frontman Chris Conley dichiarò che in quel periodo stava davvero sotto con i Beatles.) Alla Dreamworks in realtà non importava granché di quest'album, anche perché poche settimane più tardi si sarebbero venduti alla Interscope e avrebbero accidentalmente dimenticato di portare con sé i Saves the Day durante il trasloco. Dieci anni dopo la band tornò con le pive nel sacco da Equal Vision. Il pop punk è un'illusione.


Cave In – Antenna, RCA (2003)

Livello di tradimento punk: 3.5/10

Se i Cave In hanno provato qualcosa, è che a loro non batte letteralmente un cazzo di niente. Possono fare un album hardcore fuori di testa e visionario come Until Your Heart Stops, i cui primi dieci minuti sono il più violento angolo di hardcore mai registrato. Ma poi, due anni dopo, ti fregano facendo uscire Jupiter, un disco space-rock viaggioso che sembra arrivare da un altro pianeta (probabilmente da Giove), e soprattutto sembra arrivare da un'altra band. Quindi, nel momento in cui il gruppo fu messo sotto contratto da RCA per l'album del 2003 Antenna, tutti sapevano che era come giocarsi una fortuna ai dadi. Quello che la label ottenne fu un esperimento mal riuscito di una band hardcore che tentava di raggiungere un qualche livello di radiofonicità. Il disco fu spinto bene a livello promozionale, ma il problema fu proprio la label, che non sapeva bene come muoversi con questi geniali e bizzarri musicisti. Fu ovvio che l'amore tra RCA e Cave In durò molto poco e la band fu di nuovo accolta nelle calde braccia indie di Hydra Head Records per cui pubblicarono due spesso dimenticati album di un'aggressività tecnica sensazionale, Perfect Pitch Black e White Silence. E il mondo tornò ad essere un posto felice.

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AFI Sing the Sorrow, Dreamworks (2003)

Livello di tradimento punk: 7/10

Gli AFI ne hanno passate di ogni, e in vent'anni sono ovviamente passati per cambiamenti sostanziali. Hanno iniziato come hardcore band generica che ti metti in cuffia quando fai il tapis-roulant e poi sono passati ad essere quelle strane cose extra-gotiche che ora tutti abbiamo davanti agli occhi. Da qualche parte, però, sono riusciti a centrare il punto. Erano più o meno i tardi Novanta, e loro se ne uscivano con Black Sails in the Sunset, album in cui avevano chiesto ai fan di seguirli in acque ben più oscure, cosa che i fan fecero. In pratica gli AFI stavano riempiendo quel vuoto lasciato dai Misfits nella nicchia estetica punk-goth. Il frontman Davey Havok, però, ci diede un po' troppo dentro quando l'album del 2003 Sing the Sorrow uscì per Dreamworks. Certo, la band ne guadagnò un'audience mainstream, ma perse anche un botto dei suoi fan della prima ora che, all'improvviso, si svegliarono dall'ipnosi e si ritrovarono con gli occhi truccati e con le unghie dipinte di nero.


Thursday – War All the Time, Island (2003)

Livello di tradimento punk: 7/10

Nei primi 2000, l'industria musicale era messa così male che iniziarono a cercare nuovi musicisti nei centri anziani del New Jersey. Una delle band che trovarono in questo modo era i Thursday. I Thursday erano reduci del loro secondo successo, Full Collapse, uscito per Victory Records. Un album che aveva perfezionato il loro sound hardcore e del quale il frontman Geoff Rickly dice: "è il nostro miglior lavoro".

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Più o meno come ogni band uscita per Victory Records, i Thursday non vedevano l'ora di mandare a fanculo la Victory Records. Quindi, appena ne ebbero l'opportunità, saltarono sul carro di Island Records, approfittando di una clausola nel loro contratto che permetteva loro di lasciare la Victory per una major. Per Island uscirono due loro album, uno dei quali vendette 45.000 copie nella prima settimana. Se vai a dire ai tipici fan di band come i Thursday che hai venduto quel numero di copie solo nella prima settimana, ti risponderanno che sei una specie di divinità, ma agli occhi di una major quel numero è super deludente. Il problema era che, da contratto, dovevano farne altri tre, di dischi. Rickly racconta di essersi incontrato con il presidente della label e di avergli chiesto di potersi suddividere gli introiti di quel disco e farla finita lì. I due si strinsero la mano, e non fu fatto alcun danno. A parte quelle centinaia di migliaia di dollaroni che Island aveva investito nei Thursday. Ma vogliamo davvero starli a contare? Siamo forse i commercialisti della Island?


Rise Against – Siren Song of the Counter-Culture, Dreamworks (2004)

Livello di tradimento punk: 3/10

I Rise Against sono esattamente quel tipo di band che solletica le fantasie punk dei dirigenti delle major, e questo non è un complimento. Quindi era prevedibile che la Dreamworks volesse mettere le mani sopra al loro album del 2004, intitolato Qualcosa a Caso Sulla Rivoluzione o Sarcazzo.


Anti-Flag For Blood and Empire, RCA (2006)

Livello di tradimento punk: 3.5/10

C'è sempre un aspetto tenero nel vedere un disco punk politicamente carico pubblicato da una major. Il sottotesto è qualcosa tipo: "Hey, certo che vogliamo cambiare il mondo, ma nemmeno vogliamo vivere in casa con quattro studenti per sempre, dato che abbiamo quarant'anni." Comunque, per i fan degli Anti-Flag, esiste solo Die for the Government. Quindi a loro poco è cambiato quando, dopo dieci anni in cui pagavano regolarmente i propri debiti al punk e diffondevano messaggi anti-corporate tramite svariate label indie, gli Anti-Flag fecero uscire questo disco per RCA. Buon per voi, Anti-Flag. Adesso raccogliete quello che avete seminato.


Against Me! – New Wave, Sire (2007)

Livello di tradimento punk: 12/10

Gli Against Me! hanno fatto incazzare i propri fan in maniera esponenziale, nel corso della loro carriera. Dopo aver tirato fuori un po' di EP grezzi su label piccoline come Crasshole, Plan-It-X e Sabot, iniziarono a muovere i primi passi verso la vita adulta firmando per la label indie No Idea, che pubblicò il loro debut Reinventing Axl Rose. Finora tutto ok, punk? Bene. Andiamo avanti…

Ecco che poi saltarono alla label di Fat Mike, Fat Wreck Chords, che voi penserete non sia stato sto gran affare e invece, per motivi che non sto qui ad elencarvi, lo è stato. I fan, in protesta nei confronti delle mosse della loro band preferita, una volta rovesciarono candeggina sul carretto del merch. Ma come se non bastasse, la band se ne fregò del parere dei fan e firmò un contratto con Sire Records, una costola della Warner. La gente iniziò a chiedersi quanto lontano gli Against Me! sarebbero arrivati, ricordandosi che si erano innamorati di questa band quando suonava inni DIY nei buco-locali della Florida. Queste lamentele nei confronti degli Against Me! continuarono fino al momento in cui la band rese l'argomento "casa discografica" totalmente dimenticabile in confronto al capolavoro che aveva tirato fuori: Transgender Dysphoria Blues. Il resto è leggenda.