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Musica

Tropic Of Cancer: l'amore è un errore

Camilla Lobo sarà in tour in Italia fra pochissimi giorni. L'abbiamo intervistata proprio mentre stava preparando il suo secondo viaggio in Europa.

L'oscurità è una materia davvero complicata da maneggiare, soprattutto nei modi che pesano già di una grossissima "letteratura," vale a dire, quei percorsi stilistici oramai usurati dalla quantità di artisti, anche di un certo peso, che ci sono passati sopra. Non solo si rischia di ripetere in maniera stomachevole la stessa formula stantia senza trovare una cifra personale da aggiungere, ma anche di risultare patetici e poco credibili, in maniera direttamente proporzionale alla convinzione con cui si canta di morti ammazzati, cimiteri ed eterna disperazione.

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Una soluzione possibile è quella tentata da Camella Lobo con il progetto Tropic Of Cancer: la sottrazione. Anziché aggiungere varianti a caso, ci si appropria solo degli elementi-base del "genere" mantenendoli. Il risultato può essere notevole: se da una parte diventa difficile distinguere i pezzi tra loro, dall'altra si costruisce un un loop continuo che viene giustificato dalla sua stessa insistenza, che convince proprio perché monoliticamente intriso di un solo mood, reiterato fino a sorpassare il grottesco e doppiarlo. Un sound monocromatico, quindi, che si mantiene credibile proprio perché impassibile ai cambiamenti di tono, ma che alla fine suona più come un esercizio di brutale onestà che di stile. Lezione, questa, imparata in contesti dance ma sfruttata in un contesto completamente introspettivo. Non a caso, nella band era inizialmente coinvolto anche il marito di Camella, Juan Mendez detto Silent Servant.

A parole sembra assurdo, ma la musica di Tropic Of Cancer suona talmente "banale" da non somigliare davvero a nessun genere preciso, sfruttando una sola idea sonora fondamentale che vale tanto per il primisismo post punk che per decine di altre realtà venute dopo. L'ho sentita via Skype all'inzio di settembre mentre finiva di preparare il tour che la porterà in italia tra pochi giorni, per parlare dell album appena uscito, prodotto da Karl O'Connor e garantito Blackest Ever Black: Restless Idylls. Tutto questo mentre il gatto di Camella si lamentava sonoramente della carenza di attenzioni.

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NOISEY: Sei contenta di questo tour?

Camella Lobo: Molto. è la seconda volta che veniamo in europa. Ci siamo già state nel 2011, ma per un tour molto più breve. Meno di due settimane, mentre questo sarà di tre e mezza. Sono molto eccitata, non vedo l’ora di salire sul primo aereo, ma tra ora a quel momento c’è ancora parecchio lavoro da fare. Prove, dettagli, strumentazione… ho molte cose noiose da fare nei prossimi dieci giorni. Sono molto contenta anche di avere i DVA Damas in tour con me: Taylor mi ha accompagnata la scorsa volta, ma solo come componente di Tropic Of Cancer, senza la sua band. Stavolta sarà più interessante partire tutti insieme.

Quindi sarete solo tu e Taylor? Per qualche motivo ero convinto che anche Karl O’Connor sarebbe stato della partita.

Nah, non stavolta. Però sarebbe bello, prima o poi.

Come sei finita a lavorare con lui e com’è andata?

È amico mio e di mio marito da molti anni. È stato il primo a fare uscire materiale di Tropic Of Cancer, circa nel 2008. Siamo legati personalmente da molti anni, col fatto che lui e Juan erano parte di Sandwell District, e Juan ora gestisce Downwards North America. Per cui è stata una decisione abbastanza semplice: stavo discutendo con Kiran di Blackest Ever Black della possibilità di fare un LP e a un certo punto lui ha detto a Juan che gli sarebbe piaciuto prendere parte. Negli ultimi due anni ho lavorato al progetto completamente da sola, ed è bello ma anche un po’.. spaventoso, sai [ride]. Ho cercato di imparare molto in questo periodo. Il livello a cui lil progetto è ora mi ha fatto sentire una certa responsabilità, per cui tutto il lavoro degli ultimi tempi è stato parecchio impegnativo. Per questo è stato molto importante avere Karl che mi ha aiutato a rifinire i dettagli. Ha mixato l’album e curato la postproduzione. Prima me ne occupavo io, ma c’era sempre qualcosa che andava corretto all’ultimo minuto.

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Ti senti più a tuo agio ora che componi da sola senza Juan?

Da un lato è stato più semplice perché, a dire il vero, non lavoriamo molto bene insieme. Abbiamo entrambi un’idea molto ben definita di cosa vogliamo dalla musica, ma anche se le nostre prospettive perlopiù si sovrappongono, ci sono degli elementi critici in cui vanno a cozzare l’una con l’altra. Un po’ mi manca lavorare con lui. Ci scherziamo spesso ma chissà, prima o poi potremmo tornare a collaborare, magari con un nuovo progetto. Per ora, comunque, è fondamentale tenere le due cose separate, chiesa&stato, insomma… All’inizio lavorare insieme era molto divertente, ma non appena abbiamo inziato a sentire della pressione—scadenze, concerti più grossi, un numero maggiore di uscite—le cose si sono fatte brutte.

Parliamo un attimo di Los Angeles. Tempo fa hai scritto un pezzo per Self Titled Mag in cui descrivi i tuoi luoghi preferiti in città. Mi ha colpito che la maggior parte di essi fosse legata al classico “lato oscuro di L.A.”, cioè tutto quell’immaginario che va dalla Dalia Nera a Charles Manson, passando per la Hollywood degli anni d’oro. In che modo pensi che quella cultura ti abbia influenzata?

È un po’ difficile da dire. Mio padre era un detective della squadra omicidi qui a L.A., cioè, non proprio nell’LAPD, a Gardena, che è comunque parte di Los Angeles. Per “colpa” sua ho iniziato a nteressarmi a questo tipo di tematiche, quando ero molto giovane… Aspetta, devo portare fuori il gatto…

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No problem.

Eccomi scusa [segue una poco interessante conversazione sugli animali].

Tornando a noi, parlavamo di quando eri adolescente e dei tuoi interessi…

Oh no, si tratta di ancora prima dell’adolescenza. Ero davvero piccola, ma in biblioteca prendevo solo polizieschi o libri sui serial killer. Ho letto Helter Skelter quando avevo 11 anni.

Wow…

Ero semplicemente affascinata da quel mondo. Credo davvero che avesse a che fare col lavoro che faceva mio padre. Ho letto anche The Black Dahlia proprio in quel periodo. Era l’atmosfera a colpirmi, sai, il periodo “noir” di Los Angeles. Non era qualcosa di cui fossi troppo consapevole. Credo che in realtà questo mondo abbia influenzato molta gente cresciuta a Los Angeles, e mettici anche che mio padre non si faceva davvero problemi, ci raccontava tutto quello con cui aveva a che fare al lavoro ed era un sacco di roba davvero orrenda, ogni giorno. Ho queste immagini mentali molto vivide di cose che ho visto da piccola e che probabilmente sarebbe stato meglio che non mi venissero mostrate. Probabilmente era solo il suo modo di liberarsi dello stress, o forse voleva davvero spaventare me e le mie sorelle per educarci. Era strano, insomma [ride].

Lo immagino.

E mia madre era una gran fan dei vecchi horror, soprattutto Hitchcock e film come The Bad Seed.

L'epoca noir, questo tipo di film… Tutta roba che nell’immaginario comune è legata a un'idea di oscurità abbastanza malinconica ed elegante, non trovi? Ha molto in comune con la tua musica.

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Beh, io adoro davvero il modo “sottile” di spaventare che avevano i thriller dagli anni Trenta ai Sessanta. Un modo di narrare più.. um, ora dico una parola pesante… gotico. In senso letterario. Probabilmente l’unione di questo tipo di racconti con le cose che sentivo e vedevo da mio padre ha formato l’idea che ho ora di orrore, o più in generale l’idea che ho di oscurità.

Uhm.. hai detto quella parola. Gotico, goth. Una parola sfaccettata che dal punto di vista musicale non significa praticamente più nulla. Eppure un sacco di gente ha catalogato ToC sotto quel “genere” senza battere ciglio. Los Angeles ha una tradizione di band “goth” o “death rock” abbastanza lunga ma, almeno da un certo punto in poi, anche abbastanza schifosa. Pensi di avere qualcosa in comune con quel mondo?

Rispetto molto quella scena. Non credo di sentirmene parte, ma allo stesso tempo non voglio rifiutarla categoricamente. Qualsiasi “ambiente” accetti la mia musica, a me fa comunque piacere e ne sono grata. Che sia la scena techno, il giro minimal wave, o appunto la scena goth… Credo che ci associno soprattutto a causa dell’iconografia che usiamo. Certo, capita che molte delle mie influenze stiano sotto quel “tetto”, ma insomma, qualcuno dice shoegaze, qualcuno dark wave, altri dream pop, cazzo. In generale si tratta solo di termini che la gente usa per orientarsi, ma nel caso specifico di Tropic Of Cancer, credo che il lato visuale della mia musica sia effettivamente molto goth. Non si può negare.

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E i testi?

Non saprei. Non credo. Certo, parlo di morte, di amore… ma ragionando così chiunque potrebbe essere definito goth. Non so, è una questione molto confusa, soprattutto perché non so dirti con certezza quali sono i miei sentimenti a riguardo. Ognuno ha una sua idea di cosa il termine voglia dire e dove finisca. Non so, per qualcuno i Cocteau Twins sono gotici… Ma avrei davvero potuto darti la stessa risposta per ognuno dei termini con cui sono stata definita. Shoegaze…? Non so, davvero.

È proprio per questo che te l’ho chiesto. Il fatto è che tutti accusano sempre Tropic Of Cancer di suonare eccessivamente “familiare.” Questo non si può negare, ma non vuol dire nemmeno che sia derivativo.

È una cosa di cui sono consapevole, il punto è prendere quegli aspetti essenziali di eleganza e sottigliezza e portarli in una dimensione nuova. Ad esempio, sempre dal punto di vista visuale, per l’artwork del nuovo album abbiamo deciso di continuare con lo stesso imamginario oscuro e di riproporlo con un’estetica diversa, hi-fi, colorata, massimalista. Mi ero davvvero rotta di avere sempre davanti agli occhi la stessa cagata in bianco e nero. Credo sia piuttosto normale.

Ma pensi si possa parlare di una “scena” oscura di Los Angeles? Oltre che a te e Juan penso ovviamente ai DVA Damas ma anche a gente si è spostata sulla west coast ultimamente come Dominick Fernow [Vatican Shadow, Prurient] o Wes Eisold [Cold Cave]?

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Direi di sì, è una cosa che si è evoluta negli ultimi anni. Io ho vissuto nel midwest per un po’, e siamo tornati qui da circa un paio d’anni. Prima di spostarci avevamo fatto un paio di concerti non ci aveva cagato nessuno. A Minneapolis eravamo molto prolifici, perlopiù a causa del tempo atmosferico, stavamo chiusi in casa a comporre. Siamo tornati proprio nel periodo in cui avevamo iniziato ad essere un po’ più conosciuti, da ambienti abbastanza diversi tra loro, per via dei vari progetti di Juan. Al momento la scena gira tutta intorno a Mount Analog, che oltre a vendere dischi organizza parecchi eventi. Ad esempio, hanno organizzato il tour che abbiamo fatto con i Demdike Stare. Direi che hanno dato un contributo fondamentale. Quindi sì, la musica underground da queste parti si sta decisamente muovendo in questo senso, quando abbiamo iniziato la gente era più interessata a cose come Geneva Jacuzzi o Ariel Pink, e label come Not Not Fun. Si potrebbe dire che è un trend, ma non c’è niente di male, alla base c’è comunque un interesse genuino. Magari tra due anni non ci filerà più nessuno e va bene così…

Tornando ai tuoi testi: hai detto molte volte che alla base c’è una tua ossessione nei confronti dell’amore. In che senso?

È un’ossessione che rimane nell’ambito del songwriting. Si tratta di qualcosa di mi viene abbastanza naturale e intuitivo occuparmi: leggere, scrivere e coltivare riflessioni sui rapporti umani. Mi capita di riflettere sull’amore, e su quanto la gente investa nell’amore, fin da quando ero molto giovane, osservando come le stesse storie si ripetano di continuo, e che la gente continui a fare scelte in nome dell’amore mettendoci tutta la loro speranza pure con la coscienza che finiranno certamente per venirne ferite. Eppure la gente continua a innamorarsi, accoppiarsi, separarsi, tradirsi… È tutto legato all’idea di mortalità e di ciclicità della storia, e l’amore è una forza motrice indecifrabile e continua. Il semplice atto di costruire una relazione con un altro essere umano e svilupparci dell’intimità mi fa porre molte domande. In contesti lavorativi ad esempio, non si costruiscono relazioni di cui sai già che andrà a finire male… Vabè, sto sproloquiando. Per farla breve: credo che prendere una decisione per amore sia tendenzialmente la cosa sbagliata, ma è inevitabile. Metà dei miei testi parlano di amore, l’altra metà del dolore di avere perso qualcuno. Di morte, insomma. Non so con precisione da dove venga il bisogno di parlare di queste cose, credo sia il mio modo di relazionarmi al… uhm.. dolore… di esistere. Cazzo, tutto questo è un sacco Goth, no? [ridiamo]

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Te l’ho detto.

Haha, ok. Suono in una cazzo di goth band, è ufficiale.

ITALIAN TOUR DATES:

03/10 Stereo Live, Torino

04/10 Robot, Bologna

05/10 Viper CLub, Firenze

06/10 Teatro Lo Spazio, Roma

09/10 Bastione Alicorno, Padova

Si ringrazia Pulse Data Segui Francesco su Twitter - @FBirsaNon